Relazione di tirocinio

TIROCINIO PRE LAUREA PRESSO “ASSOCIAZIONE TRASGRESSIONE.NET”

Lucia Brizzi, Matricola:  822087
Corso di studio: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE
Tipo di attività: Stage  esterno
Periodo: dal 09/1/2018 al 02/01/2019

 


Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Il gruppo della trasgressione è un’associazione che opera all’interno degli istituti penitenziari milanesi di Milano Opera, Bollate e San Vittore.

Il gruppo è guidato dal Dott. Angelo Aparo, psicologo e psicoterapeuta che lavora da anni all’interno degli istituti. L’obiettivo, grazie alla collaborazione fra detenuti, volontari e studenti universitari, è di sviluppare una sinergia interna e un dialogo costruttivo per l’individuo attraverso tematiche che portino all’introspezione e a indagare sul passato. I detenuti, gli studenti e i volontari si scontrano con la propria emotività, con le debolezze, con la rabbia e l’orgoglio: la riflessione è faticosa, ma è una sfida con se stessi.

Inoltre, grazie a tale dialogo, che prende forma a partire dagli incontri settimanali che si svolgono all’interno degli Istituti, si sviluppano le diverse attività proposte dal gruppo mediante convegni, seminari, concerti e rappresentazioni teatrali che spesso coinvolgono gli studenti delle scuole medie e superiori.

Grazie al gruppo, il detenuto è spinto a reinserirsi nella società, non più come un soggetto deviante, bensì come membro effettivo in grado di dare un contributo utile grazie alla consapevolezza e alla responsabilizzazione maturate nel corso degli anni. Quello che una volta era considerato un membro “deviante” della società diventa così un membro “operante”.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

In quanto tirocinante ho partecipato agli incontri fissi del gruppo, ad alcuni incontri con gli studenti e ad eventi come il mercatino organizzato all’interno della casa di reclusione di Bollate.

Il mio ruolo consisteva nell’osservare criticamente le dinamiche del gruppo e gli interventi dello psicologo/coordinatore, oltre che nel partecipare attivamente con riflessioni e pensieri personali sulle tematiche discusse.

Inoltre, dal punto di vista logistico, ho aiutato nell’organizzazione di alcuni convegni che prevedevano la partecipazione di persone esterne agli istituti carcerari e mi sono occupata della creazione di alcuni eventi sulla pagina Facebook dell’associazione, al fine di divulgare le attività svolte dal gruppo.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

L’associazione propone numerose attività volte a rendere i detenuti consapevoli e in grado di dare un contributo alla società. Le attività settimanali consistono nel discutere tematiche differenti facendo emergere i diversi punti di vista dei partecipanti al gruppo con riflessioni autocritiche.

Ogni mese sono portati avanti vari progetti nelle scuole con lo scopo di aiutare i detenuti ad entrare in contatto con i ragazzi, in modo da dar loro la possibilità di raccontare le proprie esperienze rendendole strumento di prevenzione per le devianze giovanili. Questi incontri danno la possibilità di un’interazione curiosa e insolita tra adolescenti e detenuti, con spunti di riflessione da e per entrambe le parti in gioco: i detenuti si interfacciano con le nuove generazioni e gli studenti hanno la possibilità di conoscere una realtà che non sempre è realmente distante da loro.

Inoltre, da poco è stato avviato un progetto rivoluzionario che ha consentito ad alcuni detenuti ergastolani con la semi libertà (reclusi al carcere di Opera) di poter entrare a San Vittore come cittadini liberi grazie all’articolo 17. Il progetto permette di mettere in contatto persone detenute da anni e con un percorso rieducativo alle spalle con dei giovani detenuti ponendosi due obiettivi: responsabilizzare e rendere utili alla società i primi ed educare i secondi.

Tra le proposte rivolte al pubblico vi è la rappresentazione del mito di Sisifo a cui partecipano i componenti del gruppo (detenuti, studenti e volontari). Ciò permette a tutti di mettersi in gioco in prima persona, con uno scopo didattico sia per gli “attori” sia per gli spettatori. Un elemento importante di tali rappresentazioni è l’improvvisazione: gli attori si preparano sulle tematiche, le studiano e le elaborano per poterle trasmettere con maggior intensità possibile, ogni volta con parole e gestualità diverse.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Il coordinatore era presente a tutti gli incontri e a tutti gli eventi organizzati e aveva un rapporto diretto con tutti i tirocinanti. Egli cercava di farci sviluppare un pensiero critico e uno sguardo curioso verso la realtà carceraria. In quanto tirocinante dovevo mantenermi aggiornata sui diversi eventi organizzati dal gruppo e prendere appunti sui temi trattati e sulle eventuali organizzazioni degli eventi.

 

Conoscenze e abilità acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Tale esperienza mi ha portato ad acquisire conoscenze di diverso tipo.

Ho imparato a conoscere, seppur superficialmente, il mondo carcerario da un punto vista burocratico (richieste d’ingresso in carcere, richieste per fare uscire i detenuti), organizzativo (come si organizzano gli eventi che prevedono la partecipazione di persone detenute), ma soprattutto umano (il rapporto tra detenuti, detenuti-assistenti e detenuti-educatori).

Ho approfondito le dinamiche interne al gruppo, apprendendo concetti studiati precedentemente solo attraverso corsi universitari, e osservando come si possano sviluppare delle discussioni a partire da spunti filosofici, politici, sociali come dalle dinamiche quotidiane, apparentemente lontane dagli argomenti che verranno trattati.

Inoltre, ho esperito personalmente quanto l’ascolto e la condivisione possano essere difficili, ma anche come una coesistenza di essi possa portare a una crescita importante, capace di facilitare la comprensione dell’altro.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Grazie al tirocinio sono riuscita, parzialmente, a combattere qualche mia insicurezza e timidezza nel parlare di fronte agli estranei. Questa esperienza mi ha spinta a superare i miei limiti: ho dovuto parlare di fronte a un centinaio di studenti (in un momento inaspettato), sono stata mandata come “rappresentante” del gruppo in alcuni eventi. In questi casi, sono stata caricata di una responsabilità che mi ha aiutato ad avere fiducia nelle mie capacità espressive.

Ero una componente effettiva del gruppo, dovevo mettermi in gioco non solo come osservatrice, e ciò mi ha portato a sviluppare maggiori capacità nell’analizzare criticamente la realtà.

Il gruppo della trasgressione mi ha fatto riflettere molto su me stessa, su chi sono, chi voglio diventare. Il confronto con una realtà che vedevo come distante anni luce, mi ha portato a capire l’importanza di progettare il mio futuro e cominciare da subito a costruirne le basi.

 

Altre eventuali considerazioni personali

Più volte, al gruppo e nei momenti di incontro con gli studenti, si è parlato di progettualità. Si è detto che il progetto è ciò che ti porta a vivere con criterio e che ti guida nelle scelte. Per molti detenuti tale progetto non si è delineato o è stato cancellato e questo, insieme ad altri motivi contingenti, li ha portati a un disorientamento che li ha successivamente condotti alla reclusione.

Il disorientamento è ciò che, a parer mio, avvicina il mondo dei giovani di oggi e dei detenuti. Nella società odierna la maggior parte dei giovani non ha un progetto. Ciò potrebbe essere imputabile a una mancanza di prospettive o anche solo alla superficialità e al disinteressamento degli stessi.

Eppure, non tutti i ragazzi diventano dei delinquenti, non tutti commettono reati, non tutti si ritrovano a dover vivere reclusi. Perché? Chiunque può contribuire e dare la propria opinione per poter arrivare a delle conclusioni.

Questo è il genere di riflessioni che emergono al gruppo: riflessioni universali e che toccano ciascuno indistintamente, a prescindere dall’età, dalla nazionalità e dalla “residenza”.

L’esperienza al gruppo della trasgressione mi ha fatto toccare con mano una realtà che fino a poco tempo fa mi sembrava appartenere solo ai film d’azione e alle serie tv. Mi ha fatto comprendere come la detenzione possa essere utile se con essa è previsto un accompagnamento e se si è costretti a una riflessione quotidiana che porta a consapevolezza e responsabilità.
Grazie al tirocinio e alle riflessioni che ne sono emerse credo che le persone che commettono gravi errori possano affrontare il cambiamento solo se riescono a recuperare un legame con la società da cui hanno deviato. Per fare questo ci deve essere un accompagnamento da parte di quelle stesse istituzioni che il deviante ha tanto odiato nel suo passato.

La figura dello psicologo è centrale nel recupero del detenuto, ma senza la collaborazione delle istituzioni e della società stessa è difficile che il recupero sia completo.

Personalmente, credo che la riabilitazione del detenuto possa essere efficace, ma la società stessa deve essere rieducata a liberarsi dai pregiudizi che la legano a una visione ristretta e stigmatizzata della realtà carceraria. Il Gruppo della Trasgressione sta cercando di rivoluzionare il sistema, ma ha bisogno che la comunità impari a sostenere tali sforzi.

Torna all’indice della sezione

Il Gruppo della Trasgressione

di Jacopo Galasso e Angelo Aparo

L’Associazione Trasgressione.net, fondata più di vent’anni fa dal dottor Angelo Aparo, è formata da persone con alle spalle storie di vita diverse, ma accomunate da un unico obiettivo: studiare l’essere umano, con una attenzione particolare verso colui che, arrivando dal degrado, semina nel suo percorso altrettanto degrado, abuso e morte. Lo studio è rivolto anche al tempo che queste persone spendono all’interno del carcere e al come potranno impiegare questo tempo una volta che le porte della società si apriranno.

Questo obiettivo viene perseguito attraverso una sinergia tra psicologi, detenuti e studenti; ma anche familiari di vittime, giuristi, medici e comuni cittadini, i quali settimanalmente si riuniscono negli istituti penitenziari di Opera, Bollate e San Vittore.

Il lavoro svolto all’interno del Gruppo non va inteso nel senso del classico sostegno psicologico rivolto al detenuto ma come studio delle condizioni emotive e ambientali che spingono l’uomo alla voracità di potere e al successivo cambiamento. 

In merito al concetto di potere va ricordato il convegno del 21 novembre 2018 tenuto all’interno della Casa di Reclusione di Opera (Percorsi e derive del potere), dove il Gruppo ha potuto confrontarsi con personaggi illustri, quali Paolo Finzi (direttore della rivista anarchica “A”), Lella Costa, Dori Ghezzi, Amerigo Fusco e Roberto Cornelli (docente di criminologia dell’Università Milano Bicocca).  

Questo lavoro non resta isolato all’interno degli istituti di pena ma si diffonde e si concretizza anche all’esterno del carcere, dove i detenuti del Gruppo testimoniano il loro percorso, promuovono la legalità e la sensibilizzazione; prevengono le dipendenze e il bullismo; il tutto attraverso una serie di eventi con cornici diverse.

Il 26 novembre presso il Teatro De Sica di Peschiera Borromeo sono state interpretate dalla band del gruppo, la Trsg.band, diverse canzoni di Fabrizio De André. Le canzoni erano intervallate da considerazioni da parte di detenuti del carcere di Opera, ex detenuti e figure istituzionali su alcuni dei temi che uniscono il mondo di Fabrizio De André con quello del Gruppo della Trasgressione: l’abuso, il potere, il riconoscimento dell’Altro, il rapporto con l’autorità e le microscelte che portano l’individuo ad operare sul mondo ciò che si è seminato.

Un’altra serie di incontri che ha coinvolto il Gruppo prendono il nome de “Lo Strappo”, fra i più recenti quelli a Piacenza (29 gennaio) e a Novara (25 febbraio). Lo Strappo è un progetto nato dall’incontro di persone diverse ma complementari per le finalità e rivolto soprattutto alle scuole medie di secondo grado. Obiettivo principale è l’educazione alla complessità e alla cittadinanza, partendo da una domanda precisa: cosa succede a tutti i soggetti coinvolti quando viene commesso un reato? Le figure professionali che partecipano al progetto gravitano attorno al mondo della giustizia: magistrati, avvocati, giudici, psicologi, educatori, giornalisti, polizia penitenziaria, amministrazione carceraria. Tuttavia, le riflessioni più illuminanti sembrano venir fuori proprio dall’incontro paritetico dei protagonisti più coinvolti: i familiari di vittime e i rei, i quali dopo un lungo lavoro di conoscenza, introspezione, superamento del giudizio e del rancore, accettazione, apertura verso l’Altro e il suo dolore, recupero della coscienza esiliata e obnubilata, costruiscono una parentela, una prossimità. Un mutuo soccorso che può abbattere i muri più alti, quelli della mente.

Infine il Gruppo della Trasgressione tenta di consegnare i propri approfondimenti sulla legalità e la responsabilità agli adolescenti nelle scuole superiori: luoghi dove non sono rari atti di bullismo e dipendenze. Gli ultimi incontri di quest’anno, svolti presso l’Istituto Piamarta di Milano, sono stati decisamente proficui. Infatti hanno permesso ai detenuti del carcere di Opera di ascoltare e confrontarsi con gli studenti e di aiutarli a riflettere criticamente sulle loro fragilità, interne ed esterne all’ambiente scolastico.

Uno strumento importante di cui il gruppo si serve è il mito di Sisifo che, costruito anno dopo anno al tavolo del Gruppo della Trasgressione, consente ai detenuti di rappresentare, attraverso i dialoghi fra i vari personaggi, temi quali: l’arroganza, la seduzione, il rapporto difficle con l’autorità e quindi il rapporto genitori-figli; insomma i nodi problematici che vivono gli individui più a rischio.

Gli incontri in carcere e a scuola con i detenuti hanno consentito agli studenti di analizzare e comprendere meglio le storie dei detenuti del Gruppo e ogni singolo personaggio del mito, così da poterli riprodurre a loro volta. Infatti, la giornata conclusiva all’Istituto scolastico Piamarta, ha visto questa volta gli studenti nei panni dei personaggi del mito di Sisifo. 

In conclusione va anche evidenziato che l’Associazione viene affiancata dalla Cooperativa Trasgressione.net il cui obiettivo è il reinserimento socio-lavorativo del detenuto. Grazie al Lavoro esterno (art. 21), i detenuti hanno la possibilità di uscire dal carcere per svolgere attività lavorative oppure frequentare corsi di formazione professionale. Le difficoltà che queste persone incontrano durante o dopo avere scontato la pena non sono poche. Per questo motivo la Cooperativa le affianca permettendo loro di svolgere una serie di lavori, quali la consegna di frutta e verdura a bar, ristoranti e a gruppi di consumatori associati, bancarelle rionali con gli stessi prodotti (mercato di viale Papiniano, di Peschiera Borromeo), il restauro di beni artistici, lavori di manutenzione e di piccola ristrutturazione.

Progettare e lavorare con chi ha commesso reati giova al bene collettivo e alla conoscenza dei percorsi devianti più della pena che il condannato sconta in carcere. (A. Aparo)

L’eccitazione, un incontro di “Beat Storming”

Ciao Cisky. Ho riletto in questi giorni un tuo vecchio scritto su “Il furgone e il mito di Sisifo”. Sono contento dei frutti della nostra collaborazione.

Da qualche tempo frequentano il gruppo Mirko Chiari, un pugile simpatico che insegna boxe in carcere a Bollate, e Valeria Imbrogno, campionessa del mondiale per la pace WBC dei pesi mosca. Tutti e due insegnano pugilato a Bollate nel progetto “Pugni chiusi”. Non c’è dubbio; il Gruppo della Trasgressione di Bollate beneficia molto della loro presenza agli incontri e spesso vengono fuori idee che fanno venir voglia anche a chi staziona in carcere di entrare in partita.

Nel frattempo il Gruppo della Trasgressione porta avanti diverse iniziative con gli alleati che nel tempo si è guadagnato. Uno di questi è la Cooperativa “La Fucina”, che ha sede a Rho e con la quale siamo partner in un progetto per la prevenzione del bullismo nelle scuole e per la riduzione del degrado nei quartieri di periferia.

Tonino Scala è il musicista che suona il piano nella Trsg.band e che ha un ruolo centrale nell’iniziativa che riassumo.

  • L’8 di novembre alle 9:30, viene una scolaresca al Mast, sede della Fucina, Via San Martino 22, Rho.
  • Tema dell’incontro: L’eccitazione.
  • Parte la conversazione fra studenti e componenti del Gruppo della Trasgressione, come di solito nei nostri incontri con le scuole.
  • Via via, saltano fuori delle parole che vengono combinate con “eccitazione”;
  • Per ogni associazione che vale la pena di valorizzare, uno che ci sa fare con le percussioni produce una breve sequenza ritmica che combina con il binomio appena trovato (ad es. eccitazione-masturbazione; eccitazione-regressione; eccitazione-evoluzione);
  • Il discorso va avanti e dalle associazioni di parole si passa a brevi frasi dotate di senso.
  • Queste prime frasi vengono combinate con brevi sequenze di note che individua Tonino Scala.
  • Andando avanti, grazie al contributo della nostra equipe e degli studenti dell’istituto scolastico nostro ospite, viene fuori una canzone che parla di smarrimento, di degrado, di avventura, di riscatto.
  • Nel corso delle due settimane successive, viene messo insieme un rap per giovani che si muovono come scimmie simpatiche o una canzone per anziani sonnolenti.
  • All’incontro successivo con la scuola la canzone viene presentata come il prodotto di un’alleanza dove stanno insieme ragazzi mezzo scapestrati, pugili che hanno voglia di vivere, musicisti, psicologi, detenuti, tutti indipendenti, ma con una voglia in comune.

Insomma, un movimento,
ancora meglio un fermento,
una voglia di esserci
di cimentarsi in un combattimento.

Forse vai incontro
a un pugno sotto al mento
Ma ce la puoi fare!
Se scegli bene gli alleati,
vai a bersaglio e sei contento.

 

Sull’Autorità con gli scout

Incontro sull’Autorità -3 marzo 2018

  1. L’autorità fra potere e funzione
  2. Le attese: cosa ci si attende dall’autorità, cosa l’autorità si attende dalle persone che rappresenta e per le quali è in carica?
  3. Considerazioni e iniziative utili a evidenziare come si combinano potere e funzione nell’esercizio del ruolo.

Link di approfondimento:

Le immagini mi richiamano quello che per me è uno dei tratti centrali dell’Autorità. Grazie a Sofia, dunque, per avermi concesso di servire per qualche minuto la sua Autorità prediletta.

Istruire una prossimità

Qualche tempo fa il Gruppo della Trasgressione aveva preso parte nel carcere di Opera a un incontro sul rapporto fra vittime e autori di reato. Il confronto, cui avevano preso parte anche magistrati e giornalisti, era stato giudicato da tutti i presenti interessante, ma più di una persona aveva osservato con bonaria ironia che… “mancavano i carnefici”.

Non potevo non convenirne! Anche se erano loro stessi a dire che “… all’epoca dei reati, non avevamo lo spazio dentro per sentire la vittima”, i detenuti che avevano preso la parola sembravano ben altro da quello che avevano dichiarato di essere stati all’epoca dei loro crimini. Dicevano apertamente che “quando non si dà valore alla propria vita, non si può avere coscienza del dolore della vittima”, ma il loro modo di parlare sembrava guidato proprio dalla coscienza e dal gusto di viverla e di ricercarla.

D’altra parte, essi erano tutti parte di un gruppo di studio dove si cerca di comprendere: 1) come si diventa criminali; 2) il modo confuso con cui il principio della giustizia è presente anche nel predatore; 3) se e come si può rinunciare gradualmente all’eccitazione dell’abuso per il piacere della relazione; 4) quanto sia difficile stabilizzare l’equilibrio psico-sociale del neo-cittadino proveniente da un’adolescenza vissuta nella devianza.

Dopo avere ascoltato per anni i loro contributi, oggi credo che dietro ogni gesto criminale ci sia un genitore al quale il reo fantastica di restituire un tradimento subito. Ma la trama storica e psicologica che dà origine a queste fantasie e gli atti criminosi che ne discendono sono difficili da ricostruire; e così, spesso si trascura che rancore, reato e fantasie di rivalsa fanno parte di un impasto tumultuoso, spesso artificiosamente glaciale, nel quale l’abuso e la violenza hanno per chi li esercita il sapore del risarcimento.

Ma proviamo a entrare in questa oscura selva di fantasie negate! Da più di un detenuto era stato detto che nell’atto del reato “… la vittima non è una persona, ma soloun ostacolo da eliminare”, in altre parole, un oggetto col quale non si vive alcuna relazione affettiva. Pur se in presenza di diverse vittime di reato, parlando dei loro crimini, i detenuti avevano confidato che “… è brutto dirlo, ma io alla vittima non ci pensavo, non provavo nulla”.

A me pare però che le loro affermazioni corrispondano solo a un frammento di verità… e mi sembra, piuttosto, che fra chi commette il reato e chi lo subisce esista una relazione molto più intensa, pur se sotterranea, che somiglia a quella che il bullo ha con la sua vittima e, prima ancora, a quella che la bambina ha con la sua bambola quando la sgrida. Mi sembra, insomma, che la vittima sia per il reo un “oggetto” molto meno estraneo di quanto egli senta coscientemente e sia, come per il bullo, il supporto sul quale egli proietta in modo espulsivo la sua fragilità e il suo senso d’impotenza, cioè un fratello al quale far pagare il tradimento subito (o che fantastica di aver subito) dalle persone deputate a proteggerlo e gli stati d’animo che ne discendono: rancore, senso di emarginazione, difficoltà a muoversi nella legge del padre, implicita autorizzazione alla pirateria.

Ma recuperare la coscienza della parentela negata fra il reo e la vittima è per tutti un percorso in salita, che equivale a perdere i vantaggi dell’abuso, senza la certezza di guadagnare qualcosa in cambio! L’abuso, per il reo, corrisponde a una rivolta contro il tiranno, a un delirante flash di libertà, a un’affermazione della propria onnipotenza; per il comune cittadino, a un sistema per identificare i tratti del persecutore e tenerlo distante; per i giornalisti, a un banchetto cui invitare quante più persone possibile; per il tribunale, a una violazione di cui restituire il peso a chi l’ha commessa e i conteggi ai cittadini; per la vittima, a un trauma che toglie il fiato e placca il pensiero.

Insomma, interpretare l’abuso come l’indicatore di una parentela (e non solo di un conflitto fra estranei) è un’operazione difficile, costosa, temeraria. Eppure, dopo qualche tempo dallo shock, qualcuno si mette in cerca di questa parentela; e a farlo, è proprio la vittima o i suoi congiunti più cari… forse, semplicemente perché sono proprio loro ad avere il bisogno più sentito di “istruire una prossimità”.

Quando un bullo umilia un suo coetaneo estorcendogli un panino, lo sottomette per avere il panino o gli prende il panino per umiliarlo? E il suo bisogno di umiliare la vittima da cosa nasce?

La scena dell’abuso, nella gran parte dei casi, può essere riassunta come quella di una vittima costretta all’impotenza da chi, pilotato dall’odio verso chi lo ha reso a sua volta impotente, ha bisogno di espellere la propria vulnerabilità. Il bottino, che nell’opinione comune è la meta del reato (ma che non a caso viene consumato in un baleno), credo sia soprattutto un diversivo per coprire che l’obiettivo del reato è ottenere un’ennesima conferma (che però non basta mai!) d’essere così invincibili da non potere essere sottomessi, tanto duri da potere sfidare il fantasma di un genitore castrante e/o latitante, tanto indipendenti da potersi lasciare alle spalle la propria impotenza, delegandola, una volta per tutte, alla vittima. Qualcuno lo fa umiliandola, qualcuno offrendo un bicchiere d’acqua a chi sbianca per la paura nel corso di una rapina, ma è ancora un sintomo… e i sintomi, si sa, ritornano mille volte proprio perché non se ne riconosce il messaggio, costringendo il loro “esecutore” a girare dentro un loop da fare invidia a Sisifo.

Le persone detenute che avevano offerto le loro considerazioni nel corso dell’incontro, invece, sembravano motivate a interrogarsi sull’origine dei loro sintomi e sull’humus dei loro reati quanto gli altri protagonisti della ricerca, vittime e magistrati compresi. Fra di loro, uno confidava che un tempo pensava di essere diventato adulto il giorno in cui ha picchiato suo padre, e che in tempi più recenti si era invece reso conto che essere adulti è una meta verso la quale, nella più sorridente delle ipotesi, si procede intrecciando il piacere della libertà con il piacere della responsabilità verso l’altro.

Finalmente possiamo rallegrarci, almeno con alcuni, del fatto che le stesse persone che in passato sono state carnefici oggi ci aiutano a ricostruire il mosaico dell’identità deviante e a toccare con mano che, quando l’arbitrio e l’eccitazione diventano il principale strumento per zittire il proprio senso di marginalità, il reato può investire chiunque, come chiunque può essere investito da un autista ubriaco o da un burattino intontito dal delirio di un’indipendenza posticcia.

Ma se perdere un figlio per un incidente, per una disgrazia priva di intenzioni, causa dolore e sgomento, perderlo per volontà di una marionetta mossa dal delirio, comprensibilmente, genera un tormento che non si placa. Chi perde un congiunto rimane legato per tempi lunghissimi all’omicida. Quasi sempre, in un primo momento, la vittima sviluppa verso il colpevole odio e voglia di vendetta; poi, molte volte, passa al desiderio che il processo gli “restituisca” la giusta punizione; infine (ma qualche volta anche in tempi molto brevi), soprattutto per chi a causa del reato ha perso un congiunto, accade che il desiderio di giustizia si trasforma nel desiderio che il reo possa sviluppare la coscienza della perdita causata. Ricordo le parole straziate della moglie di una delle vittime della strage di Capaci al funerale: “Io li perdono, ma loro si devono inginocchiare… ma lo so, loro non si inginocchiano”. Perché questo bisogno così intenso che la persona che ci ha ferito abbia coscienza del nostro dolore? Perché questo bisogno di far pace con gli assassini del marito?

Probabilmente, anche dopo che il male ha ultimato il suo corso, nessuno quanto la vittima ha bisogno che nel carnefice nasca la coscienza dell’altro. Sembra paradossale, ma molto spesso chi ha subito una perdita così grave ha bisogno di pensare al congiunto che ha perso la vita insieme con la persona che gliel’ha tolta, qualche volta persino di sentirla parte della sua stessa cerchia affettiva. Chi patisce il dolore ha bisogno che dal dolore nasca qualcosa e di orientarlo in una direzione… e questa direzione non può essere quella dell’odio… perché nel tempo la vittima capisce che la prigione dell’odio consuma la sua stessa vita senza restituirle nulla. La vittima capisce, potremmo aggiungere, quello che il carnefice ha difficoltà a riconoscere e che tiene distante da sé grazie all’eccitazione compulsiva di droghe e abusi di potere.

Si intuisce che aiutare chi subisce un reato a emanciparsi dalla ragnatela che quasi sempre ne avviluppa i pensieri è doveroso e funzionale per la salute sociale almeno quanto favorire l’evoluzione del reo. Ma perché chi ha subito il male ha così tanto bisogno che chi lo aveva causato ne abbia coscienza? Spessissimo vediamo le vittime spendere a tale scopo incredibili quantità di energia. Ricordo che circa 20 anni fa Luciano Paolucci, padre del piccolo Lorenzo, ucciso da un pedofilo, venne una domenica da Foligno a San Vittore senza altro compenso che la possibilità di riflettere col Gruppo della Trasgressione sul perché del male subito da suo figlio.

Credo che la lacerazione dovuta a una grave perdita affettiva, giunta traumaticamente e senza una comprensibile ragione, per potere essere tollerata, debba diventare seme di una storia: il terremoto non ha volontà, traumatizza, ma non chiude i sopravvissuti nella prigione del rancore; quando la morte viene determinata intenzionalmente, invece, i parenti più stretti della vittima, per poterne sopportare la perdita, hanno bisogno che la volontà dell’omicida cambi direzione, che l’odio mortifero diventi coscienza della prossimità e origine di nuove relazioni. Ma perché questa “gravidanza” possa essere avviata, occorre la ricostruzione di una storia che, di fatto, non conosce nemmeno il carnefice, se non nei suoi risvolti più superficiali e comunque non nei nodi che sono all’origine delle sue scelte; occorre una storia che conduca chi ha commesso l’abuso alla libertà di entrare in relazione con l’altro.

Con questo non si vuol dire che il reato viene commesso in una condizione di “illibertà”; è assiomatico che chi commette un abuso ne è responsabile. Ma se per la società non è possibile fare a meno del presupposto della responsabilità e se per la Legge è ragionevole misurare soprattutto la responsabilità nel reato, per la psicologia è importante interrogarsi sui meccanismi in virtù dei quali la persona allarga o restringe ogni giorno i confini della propria libertà. Per chi indaga sui retroscena della scelta, l’area della responsabilità riguarda anche la cura o l’incuria con cui ci si occupa della propria libertà di scelta e degli stati d’animo che ne costituiscono il liquido amniotico. Al Gruppo della Trasgressione, dove l’esplorazione di questi territori è pratica quotidiana, recentemente uno dei componenti diceva che “recuperare la coscienza del proprio delirio e del male perpetrato corrisponde a restituire alle vittime il dolore e il rispetto che meritano e a noi stessi il risveglio dall’anestesia nella quale abbiamo vissuto”.

Ascoltando le parole dei magistrati, dei giornalisti, delle vittime e di chi a suo tempo è stato carnefice, si percepisce, chiaro, il desiderio di tutti di recuperare coscienze esiliate; da parte mia, credo che per farlo occorrano storie che permettano alla “banalità del male” di disvelare la sua intelaiatura nascosta e corrosiva.

Per riuscirci, però, non basta perdonarsi e abbracciarsi; è indispensabile, tra l’altro, che l’immagine cristallizzata dell’autorità che di solito ha il criminale (quella di un tiranno che esercita il potere esclusivamente a proprio beneficio) venga rielaborata e bonificata. Ma questo diventa del tutto impossibile senza programmi mirati e se non si tiene conto del fatto che personaggi pubblici e, a volte, perfino figure istituzionali si lasciano sovrapporre al prototipo di autorità che chi commette abusi ha interiorizzato già nei primi anni di vita. Affinché una punizione e la restrizione della libertà possano essere tollerate senza diventare per il ristretto un’ulteriore autorizzazione alla pirateria, occorre che il condannato possa imparare a nutrirsi della relazione con l’altro, e questo è possibile solo se il dolore della punizione e la fatica di recuperare la coscienza esiliata vengono condivisi dall’autorità stessa (particolarmente interessante sul tema la relazione della dott.ssa Cosima Buccoliero al Teatro Dal Verme lo scorso 15 ottobre).

Per fortuna, pur se il rinnovamento del clima istituzionale avviene con lentezza, questa è la direzione degli ultimi anni. Avviare studi e aprire spazi strutturati in cui ci si possa servire della motivazione che hanno in tal senso le vittime di reato non può che giovare alla causa. È vero che la vittima ha bisogno di recuperare la prossimità col suo carnefice per tornare a vivere libera dal rancore, ma questo, oltre a essere un valore morale, è in definitiva ciò di cui abbiamo bisogno noi tutti (l’amicizia fra Claudia e Irene)

Torna all’indice della sezione

Adesso sono libero davvero

Angelica Chirulli, Matricola: 801098
Corso di studio: Scienze e tecniche psicologiche
Tipo di attività: Stage Esterno
Periodo: dal 05/04/2017 al 31/05/2017
Titolo del progetto: Adesso sono libero davvero

Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

È difficile descrivere tecnicamente il lavoro che ho svolto durante questo tirocinio. È stata un’attività del tutto inaspettata, sorprendente e anticonvenzionale. Ho trascorso queste 100 ore all’interno di un gruppo composto da detenuti, ex detenuti, studenti e liberi cittadini, discutendo di argomenti importanti e non scontati; abbiamo riflettuto su concetti come la libertà, la trasgressione con le sue premesse e le sue conseguenze di voglia di potere, di fragilità, di pentimento e desiderio di ricominciare.

Sono argomenti che non riguardano solo i detenuti. Ognuno di noi, infatti, si ritrova negli temi discussi con il gruppo, mettendo in gioco le proprie fragilità, trasgressioni piccole o grandi, manifeste o implicite.

Gli incontri avvengono in corso Italia in una sede ATS e nelle carceri di Opera e Bollate. È stata recentemente inaugurata un’altra delle attività ideate dal gruppo e resa possibile grazie alla loro forza di volontà e voglia di costruire: da un terreno abbandonato è stato creato uno spazio piacevole e ben curato, messo a disposizione dei cittadini del quartiere e non solo. Uno spazio in cui famiglie, bambini e ragazzi possono incontrare più da vicino il mondo della trasgressione.

Alcuni detenuti fanno prevenzione al bullismo nelle scuole, parlano di devianza e raccontano la propria storia cercando di fare in modo che i ragazzi si rendano conto di quali sono le conseguenze, spesso sottovalutate, delle proprie azioni.

Non credo si possa individuare un approccio teorico di riferimento: il nostro coordinatore, il dott. Angelo Aparo, ha un modo del tutto innovativo di fare psicologia e di insegnare, se di questo si può parlare. Allo stesso modo chi partecipa ai diversi incontri non arriva con un’idea di quello di cui si tratterà o delle conclusioni che verranno fuori: è tutto oltre gli schemi convenzionali che normalmente si potrebbero immaginare parlando di un tirocinio guidato da uno psicoterapeuta.

Lo scopo quotidiano che il gruppo si propone è quello di servirsi della conoscenza, dello studio, della filosofia, della letteratura, della cultura in genere, per discutere di temi importanti della vita, per portare tutti i partecipanti alla riflessione innanzitutto su se stessi, ma anche sulla società, sul mondo e sulle relazioni che ogni giorno ci definiscono.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Lo studente tirocinante è parte integrante del Gruppo della Trasgressione. A differenza degli altri tirocini non è posto lì su una sedia ad osservare, ascoltare o servire qualcuno con più competenze. Uno studente del Gruppo è chiamato in prima persona a mettersi in gioco, spogliarsi delle proprie armature, rispondere alle provocazioni lanciate durante la discussione.

Chi partecipa al gruppo si cimenta nella discussione critica degli argomenti trattati e dice la propria sulle questioni proposte. Non sono argomenti che si esauriscono nella durata dell’incontro, ma sono quesiti che ci si porta dietro per tutta la giornata o settimana, ciascuno cercando di ricavare quella verità profonda più adatta alle proprie esigenze.

Ci è stato chiesto anche di partecipare ad alcune delle attività esterne del gruppo. Abbiamo aiutato i detenuti a vendere frutta e verdura ad una bancarella su un terreno bonificato dai detenuti stessi. Il nostro compito però non si limitava a quello di fruttivendoli o giardinieri: abbiamo parlato con i cittadini del quartiere del Gruppo della Trasgressione, delle tante proposte in ballo, della nostra esperienza al gruppo e della forza di volontà che ha mosso molti di noi in questo progetto. La festa di inaugurazione organizzata nei giorni scorsi è stata la prova di un corretto compimento di questo proposito: la gente è arrivata incuriosita ed è tornata a casa divertita dalla buona musica, dai discorsi, dagli interventi e dalle iniziative portate avanti dal gruppo.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Per tutto il tempo del tirocinio, gli strumenti che abbiamo avuto a disposizione erano la nostra testa per ragionare e la nostra parola per esprimere quello che abbiamo sentito, non lasciandoci fermare dai pregiudizi o preconcetti. Tutto era lì per arricchirci, per guardarci dentro e per portare alla luce quello che abbiamo scacciato, tenuto nascosto o su cui non ci siamo mai soffermati più di tanto a riflettere.

I detenuti hanno raccontato le loro storie in modi differenti: si sono confrontati con ragazzi del liceo, hanno tirato fuori il loro lato più mostruoso, quello che difficilmente si vede nella realtà di ogni giorno. Si sono rivelati nudi e fragili, mostrando tutta la loro umanità anche in questo: un’umanità alla quale non si può credere se non la si vede con i propri occhi. Si sono inoltre espressi attraverso il teatro, nella rappresentazione del mito di Sisifo: una rappresentazione senza copione, dove ognuno di loro ci mette del proprio, dove ognuno si riconosce nel personaggio che rappresenta sul palco davanti a centinaia di persone. Improvvisano, riversando nella performance tutto il loro essere, le loro emozioni, le loro motivazioni e tutto ciò che hanno imparato negli anni.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Il coordinatore del gruppo, il prof. Aparo, è sicuramente una delle persone più ricche di conoscenze che io abbia incontrato nella mia ancora breve vita. È un uomo che difficilmente si arrende davanti alle cose. Qualsiasi spunto, anche quello che può sembrare il più banale, diventa fonte di discussione, di riflessione, di coinvolgimento al 100% delle nostre capacità emotive e non solo. Chiunque intesse un rapporto con lui sa che alla base vi è totale sincerità e schiettezza, che se guardata solo superficialmente può sembrare dura, fastidiosa o offensiva, ma in realtà è questo l’elemento che rende effettivamente due amici tali: la totale libertà di trattarsi con lealtà. Toccare quello che ci fa più paura o quello che riteniamo essere per noi inviolabile ci fa sentire di più parte del mondo in cui viviamo, più sinceri con chi ci è vicino e più svincolati dalle gabbie da noi stessi imposte.

È grazie a questa sincerità che il gruppo cresce e si arricchisce di persone che invece di sentirsi offese da questo atteggiamento, ne riconoscono il bene sincero e spesso decidono di restare per crescere e guardarsi con la stessa onestà con cui lui guarda ognuno dei partecipanti.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Ho imparato cos’è l’articolo 21, ho più o meno capito come è organizzato un carcere e ho scoperto cos’è la vera contentezza quando ho visto un detenuto ricevere la chiamata che lo informava dell’inizio del suo affidamento sociale. Ma tanto altro oltre questo. Ogni minuto passato al gruppo è un aumento di conoscenze dalla letteratura alla filosofia, alla psicologia e allo studio della devianza. Non era scontato tornare a casa con una risposta, anzi spesso il gruppo ha contribuito ad affollare nella testa altre domande, altri dilemmi a cui probabilmente nessuno potrà dare una risposta, ma il fatto stesso di aver posto l’attenzione su determinati argomenti mi ha migliorato e aperto la mente su alcune questioni. Ho inoltre imparato che niente è definitivo e che nella vita si può cambiare totalmente e in tutti i sensi possibili

 

Abilità acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Nel periodo trascorso con il gruppo ho avuto la possibilità di conoscere un modo del tutto nuovo di parlare, fatto di parole spesso non semplici da comprendere e con più significati, ma anche un modo di comunicare fatto di silenzi. Ho imparato a osservare e a stupirmi; ho imparato a lasciarmi istruire da tutto, ad ascoltare e, anche se spesso mi è ancora difficile, a giungere al nocciolo delle questioni, rielaborare delle mie opinioni e organizzare un discorso in modo da risultare chiaro a tutti. Ma su questo c’è ancora un bel po’ da lavorare

 

Caratteristiche personali sviluppate

In senso pratico non so in cosa sono cambiata. Vorrei poter dire di aver imparato ad ascoltare anche quello che non viene detto, di leggere fra le righe, percepire emozioni ed espressioni, ma questo lo scoprirò solo con il tempo. Ho sicuramente ancora più in mente quali sono i miei limiti e quali strumenti ho per superarli in senso costruttivo. Ho imparato che le critiche sono utili e possono servire a migliorarsi (e per una permalosa come me averlo capito è un grandissimo passo in avanti).

La fine di questo tirocinio non corrisponde alla fine di un percorso, come un libro da chiudere e riporre in libreria. È invece solo lo schizzo iniziale di quello su cui c’è da impegnarsi davvero, un abbozzo di quello che ho in mente per me e di quello che voglio essere

 

Altre eventuali considerazioni personali

La sfida di questo tirocinio è stata quella di esserci con la testa più che mai, esserci tutta al 100%. Con le parole non sono mai stata brava, né sono abituata a dire la mia: anche quando mi viene chiesto di farlo, faccio particolarmente fatica a sentirmi sicura di quello che ho da dire o ad esprimerlo in modo chiaro. Il prof in questo è stato un grandissimo esempio. Lo abbiamo sentito “fare l’amore con le parole”, riconoscere il bisogno della persona che si ha davanti e soddisfarlo così, con naturalezza e spontaneità.

Con il Gruppo ho imparato che ognuno conserva dentro uno scheletro posto in chissà quale botola recondita del nostro cuore, un esserino misterioso che tentiamo di nascondere anche se cerchiamo di convincerci che non è così e che siamo indistruttibili. Con i detenuti questo emerge chiaramente. Chi decide di parteciparvi sa che queste debolezze vanno tirate fuori, per conoscersi meglio: solo così lo stare al mondo diventa sincero, oltre a rendere più veri noi stessi.

Concludo con una parte di un discoro espresso al gruppo qualche giorno fa che mi ha davvero colpita perché secondo me esprime chiaramente l’aiuto che i partecipanti del gruppo vi hanno trovato: “il gruppo mi ha salvato. Mi dato la libertà mentale che va al di là dei confini della cella: mi ha aperto la mente. Non ho più il bisogno di imporre niente a nessuno perché adesso sono libero davvero

Il giorno nasce dalla notte oscura

Silvia Quattro, Matricola: 790108
Corso di studio: Scienze e tecniche psicologiche
Tipo di attività: Stage Esterno

Periodo: dal 01/04/2017 al 30/04/2017

Titolo del progetto:
TIROCINIO PRESSO “GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE”

Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Ho svolto la mia esperienza di tirocinio presso l’associazione e la cooperativa Trasgressione.net. Il Gruppo della Trasgressione, che definirei del tutto “rivoluzionario”, è composto da detenuti, studenti e cittadini sotto la guida del Dott. Angelo Aparo, ed è caratterizzato da un clima creativo e vitale nel quale coesistono differenti realtà. Gli obiettivi del gruppo riguardano:

  • l’intervento sul trattamento penitenziario ovvero come fare in modo che il rapporto con i limiti sia motivo di costruzione, di sviluppo e non di devianza;
  • la prevenzione del bullismo e della devianza, che avviene attraverso incontri tra detenuti e studenti (soprattutto adolescenti) nelle scuole;
  • la formazione dei tirocinanti e la creazione di un modello culturale nel quale detenuti, studenti e tirocinanti possano collaborare.

All’interno della realtà del gruppo, infatti, si assiste a tre percorsi diversi ma paralleli: l’evoluzione del condannato; la formazione dello studente universitario; la prevenzione alla devianza nei confronti degli adolescenti.

Per raggiungere tali obiettivi il gruppo si serve di molteplici strumenti, fra i quali spiccano in assoluto la cultura, il piacere di conoscere e il lavoro. A ciascun membro del gruppo è richiesto dunque di mettersi in gioco tanto nelle riflessioni quanto nelle attività più concrete.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Nel corso di questa esperienza ho cercato di apprendere il più possibile in ogni occasione. Ammetto che le prime volte che ho partecipato agli incontri ho fatto fatica ad entrare nelle dinamiche del gruppo; mi sono ritrovata con persone che non conoscevo, non sapevo bene cosa aspettarmi ed ero un po’ smarrita. Mi è servito del tempo ma devo dire che, una volta sintonizzata sulla frequenza del gruppo, è come se avessi scoperto un nuovo modo di vedere le cose.

Essendo un tirocinio poliedrico mi sono anche trovata a vendere frutta e verdura alla Bancarella allestita presso il terreno del “Coming Out” nel quartiere Barona di Milano, a consegnare nei locali cassette di frutta e a fare da cicerone con i clienti per raccontare le iniziative del Gruppo e far conoscere il suo spirito rivoluzionario.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Cosa si fa al Gruppo della Trasgressione? Beh di tutto e di più… si riflette, ci si esprime, si dialoga come accade in molti altri gruppi. L’eterogeneità del gruppo, data da età, cultura e ruolo dei suoi membri, dà luogo a una alchimia particolare grazie alla quale le diversità  diventano ricchezze, promuovono lo scambio di idee e la costruzione. Per far parte del gruppo l’unico requisito è avere una testa pensante ed essere disposti a indagare l’opera incompiuta che è l’essere umano. Cercare di capire le spinte che portano l’uomo alla devianza e alla regressione e quanto la presenza di uno “scheletro morale” dentro di noi invece ci indichi la strada del progresso; imparare ad ascoltare l’altro saper raccontare la sua storia in modo da riconoscerlo come fratello.

L’Associazione del Gruppo della Trasgressione si occupa anche di iniziative culturali come convegni, incontri con le scuole per la prevenzione al bullismo, rappresentazioni teatrali come il Mito di Sisifo. Una delle ultime conquiste del Gruppo è la bonifica del terreno del “Coming out” un luogo che rappresenta un punto di riferimento per il gruppo stesso, in quanto sede della bancarella di frutta e verdura della Cooperativa, e che speriamo diventi uno spazio di libera espressione anche per i cittadini del quartiere.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Guida e fondatore del Gruppo è il dottor Angelo Aparo, uno psicologo che lavora da circa 40 anni con i detenuti e ha creato con il suo “multiforme ingegno” il Gruppo della Trasgressione. Non posso fare a meno di associarlo alla figura di Ulisse che è stata anche oggetto di uno degli incontri a cui ho partecipato. In quella circostanza si era parlato di Ulisse come uomo della conoscenza, egli per amore della conoscenza è disposto anche a oltrepassare i limiti del mondo conosciuto, rappresentati dalle Colonne d’Ercole, sfidando cosi gli Dei e scatenando la loro ira. Anche nell’episodio delle sirene si riscontra la volontà di Ulisse di conoscere il fascino del canto delle sirene, egli infatti non esita a farsi legare all’albero della nave pur di raggiungere il suo obiettivo. D’altro canto però priva i suoi compagni di questa opportunità ordinando loro di tapparsi le orecchie. Nella mia mente il Gruppo della Trasgressione ha assunto le fattezze di un equipaggio che ha come guida il Dottor Aparo il quale utilizza la bussola della conoscenza, conoscenza che al contrario di Ulisse non tiene per sé ma condivide con il resto del gruppo. Ed è proprio perché vuole sapere quanto abbiamo capito dei suoi “sproloqui”- come lui li definisce- che non perde occasione di interpellarci e di scuoterci per vedere fino a che punto abbiamo compreso il suo messaggio e quali siano le nostre idee a riguardo. Lo stile del Dottor Aparo con noi studenti, per quanto mi riguarda, è una maieutica diretta, a volte incazzata, ma che ha sempre come obiettivo la nostra crescita come persone e studenti.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Quando si pensa alle attività legate a scuola e Università si sa che le nozioni abbondano. Potrei dirvi che ho imparato che in Paesi Europei come Danimarca e Norvegia la pena dell’ergastolo non è contemplata, che Melanie Klein con le sue teorie psicodinamiche ha indagato il legame tra i comportamenti dei bambini e la devianza o che per concederti i permessi il carcere ci impiega mesi e mesi. Certo è che, seppur siano cose interessanti, non sono queste le conoscenze che sento di aver acquisito. Mi sento di dire che le mie conoscenze riguardano le persone con le quali ho iniziato e ora condivido un cammino che ho intenzione di proseguire, dato che sento di avere ancora molto da dare al gruppo.

 

Abilità acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Partecipando al Gruppo della Trasgressione ho imparato a interrogarmi sempre, a mettermi in discussione e ad andare a fondo sulle questioni che si presentano nella vita di ogni giorno. Ho capito che spesso ci poniamo nei confronti dell’altro con un sacco di pregiudizi ma che bisogna guardare più lontano e trovare anche nel mostro quella parte di umanità che ci rende più simili di quanto pensiamo. Ho compreso che è importante ascoltare le fragilità altrui, per riconoscere le mie e che è giusto concedersi la libertà dei colori emotivi e quindi sperimentare ogni tipo di emozione.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Attraverso questo tirocinio sento di aver acquisito un nuovo modo di vedere le cose e di ragionare. In genere mi definisco e gli altri mi conoscono come una persona sicura di me, molto centrata sull’obiettivo; devo dire che nel gruppo è uscita la parte più timida di me e per me è stata un po’ una sorpresa. Riconosco di non aver mai parlato più di tanto di mia spontanea volontà non perché non avessi nulla da dire anzi… per questo spero in futuro di sfruttare al meglio l’opportunità che offre il gruppo per confrontarsi.

 

Altre eventuali considerazioni personali

Questa citazione la trovo particolarmente interessante e mi ha portato a riflettere su come debba rapportarmi con le mie crisi e volevo condividerla con voi del Gruppo. Finché saremo disposti a metterci in gioco e ad adoperarci per trovare soluzioni alle crisi non ci sarà mai una crisi di cui preoccuparsi!

Non pretendiamo che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi può essere una grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza. Il più grande inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita ai propri problemi. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. L’unico pericolo della crisi è la tragedia che può conseguire al non voler lottare per superarla.” Albert Einstein

Torna all’indice della sezione

La Trasgressione: dal sintomo allo studio

Valeria Pozzoli, Matricola:789787
Corso di studio: Scienze e tecniche psicologiche
Tipo di attività: Stage esterno

Periodo: dal 5/04/2017 al 30/04/2017
Titolo del progetto: Gruppo della Trasgressione

Caratteristiche generali dell’attività svolta:
istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

L’associazione presso cui ho svolto il mio tirocinio è una realtà atipica: si tratta di un gruppo, coordinato abilmente da un altrettanto anticonvenzionale psicologo, composto da detenuti, ex detenuti, studenti e da tutti coloro che hanno desiderio di approfondire e far proprio l’oggetto principale di studio di cui il gruppo si occupa, ovvero la devianza; ma questo, lungi dall’essere confinato alla sola realtà del delinquente e della galera, diventa punto di partenza per una riflessione che riguarda l’essere umano e il suo modo di dialogare con il mondo.

Nei diversi incontri che si tengono sia all’interno che fuori dal carcere, tutti i membri si impegnano nell’approfondimento di temi di grande rilevanza che riguardano tanto chi si trova confinato quanto chi è, o meglio, si crede, al di fuori di questi confini; ogni incontro si arricchisce, così, delle esperienze di vita e delle riflessioni personali dei suoi partecipanti. L’obiettivo principale di questo agglomerato variegato di persone è quello di accorciare le distanze tra il mondo socializzato e quello delinquenziale, di ricordare alla società un po’ miope che la trasgressione esiste e non basta un muro di cemento per sbarazzarsene.

Il Gruppo della Trasgressione lavora per fare in modo che la reintegrazione sociale del detenuto sia il meno traumatica possibile e gli strumenti principali per fare in modo che questo avvenga sono la conoscenza e la consapevolezza; i detenuti all’interno del gruppo incominciano, infatti, ad imparare una lingua nuova e sconosciuta che spesso poco si concilia con quella vecchia e familiare che li contraddistingueva. Il reiterarsi degli atti delinquenziali deriva proprio da questo problema di comunicazione; per fare in modo che il nuovo linguaggio diventi florido e produttivo il percorso è lungo: perché “educarsi a godere di una margherita” è un’arte non facile da apprendere ed è proprio questo che il detenuto deve imparare a fare, attraverso un lungo e complesso lavoro interiore.

Accorciare le distanze con il mondo deviante significa anche umanizzare il mostro: dall’inconsueto  binomio detenuto-studente nasce infatti un tipo di interazione che mira alla ricerca, nella storia personale di ciascuno, di zone d’ombra e di luce; sia l’uomo carcerato sia quello che vive al di là delle mura del carcere condividono, in qualche misura, frammenti di vita che li rendono creature mostruose, e altri, che li dipingono invece come esseri umani spesso sopraffatti dalle proprie fragilità e dai propri conflitti.

Sebbene si possa dare per scontato che l’umanità tutta proviene dallo stesso “seme”, non è così facile comportarsi di conseguenza: è necessario un lavoro, di testa si intende, e un obiettivo comune. Il Gruppo della Trasgressione, a tal proposito, si occupa di prevenzione in scuole medie e superiori; l’approccio del Gruppo alla prevenzione della devianza minorile è, ancora una volta, unico nel suo genere: i giovani studenti diventano agenti attivi che condividono esperienze e riflessioni con i detenuti e imparano che la trasgressione, da esperienza lontana e mostruosa, può diventare, se ben amministrata e addomesticata, una ricchezza.

Le forze trainanti del gruppo sono la cultura e la sete di conoscenza che vengono costantemente promosse con passione ed entusiasmo dalla sua guida e che si dispiegano in una grande varietà di iniziative quali spettacoli teatrali, lettura di poesie, concerti  ecc. Il Gruppo della Trasgressione, come cooperativa, si impegna, inoltre, in attività di restauro, di manutenzione e nella vendita di frutta e verdura. L’obiettivo è sempre quello di sensibilizzare la società e i suoi cittadini a un modo nuovo di pensare alla devianza: far sì che i limiti che prima il delinquente oltrepassava animato dall’arroganza, da smanie di potere e dal desiderio di sentirsi completo e libero, vengano ora varcati con un rinnovato tipo di consapevolezza: quello delle proprie fragilità e di un senso del potere tutto nuovo, quello della conoscenza.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Quella fatta all’interno del Gruppo della Trasgressione non può essere definita un’esperienza di tirocinio tradizionale: lo studente è, per prima cosa, un membro del gruppo che, come tutti gli altri, partecipa attivamente alle riflessioni su cui, di volta in volta, ci si sofferma, esponendo il suo personale punto di vista; l’idea del tirocinante che osserva ed esegue le direttive non è contemplata. Se avessi dovuto assecondare la mia natura timida ed insicura, di certo non avrei scelto di impegnarmi in questo tipo di esperienza; forse mi avrebbe fatto più comodo fare l’assistente-cagnolino di qualche psicologo e osservare tutto da un angolo nascosto; perché esporsi, dire ciò che si pensa, mostrarsi nudi e fragili a volte spaventa, o almeno, a me personalmente fa paura.

Lo studente che vive la realtà del gruppo è, invece, costretto a mettersi in gioco e fare i conti con le proprie fragilità. In sinergia con il detenuto, il tirocinante può, inoltre, creare ponti che accorcino le distanze tra mondi che, in realtà, un poco si assomigliano e può contribuire, con la sua opinione giovane e fresca, ad arricchire riflessioni su argomenti complessi.

Dal momento che l’attività principale del gruppo è proprio quella di fare cultura e di sollecitare la riflessione, un altro fondamentale compito del tirocinante è quello di studiare, comprendere i difficili discorsi fatti dallo psicologo coordinatore e guida del gruppo e dare prova di saperli maneggiare, a livello orale e scritto.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Senza ombra di dubbio, uno strumento imprescindibile per chi si accosta per la prima volta al Gruppo della Trasgressione è la voglia di spendere energie mentali e ragionare; non esistono mezzi concreti o particolari metodologie tecniche a cui fare affidamento. L’essenza del gruppo si fonda, inoltre, sulla capacità dei propri partecipanti di comunicare tra loro; il confronto e l’esposizione verbale dei propri pensieri è fondamentale perché la dinamica di gruppo funzioni. Le occasioni in cui tali strumenti possono essere spesi sono molteplici; quando ho iniziato il tirocinio non avrei mai immaginato di venire a contatto con una realtà tanto variegata e ricca di iniziative: oltre a seguire i gruppi dentro e fuori dal carcere, mi è stato possibile assistere agli incontri di prevenzione nelle scuole ed al geniale spettacolo teatrale ispirato al mito di Sisifo che viene, ormai da anni, interpretato da detenuti e studenti e che racconta con perspicacia la storia di compromesso e di tracotanza che contraddistingue tanto il carcerato quanto le istituzioni.

Da non dimenticare, poi, una delle ultime conquiste del Gruppo della Trasgressione: il “Coming out”; “coming out” o, in italiano “venir fuori” è il nome di un terreno in origine piuttosto malandato che, grazie al lavoro di alcuni detenuti, si sta trasformando in  una concreta possibilità di avvicinare la comunità e il mondo carcerario, nel nome della cultura, della bellezza e, perché no, anche della frutta. Sebbene il progetto sia appena partito, nel terreno rimesso a nuovo è stata piazzata una bancarella di frutta e verdura gestita da detenuti e studenti con l’obiettivo principale di far conoscere la realtà del gruppo; se la mia carriera da psicologa dovesse, per qualche motivo, rivelarsi un fallimento, potrò ripiegare sempre sulle mie abilità, per la verità per ora piuttosto scarse, di venditrice di fragole e banane!

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Una delle ricchezze più grandi di cui il gruppo può godere è rappresentata dal suo carismatico creatore nonché atipico coordinatore. Non è affatto un’esagerazione affermare che quest’ultimo è l’anima del bizzarro insieme di persone che a lui fanno capo; per i detenuti così come per gli studenti, è diventato una guida e un punto di riferimento che si fa portatore di beni preziosi quali la cultura e l’arte.  Lo definisco “atipico coordinatore” perché il suo modo di procedere e di approcciarsi a qualsiasi componente del gruppo è del tutto anticonvenzionale e allo stesso tempo acuto: i convenevoli e le belle parole sono messe da parte per lasciar spazio alla conoscenza sincera e intima dei partecipanti anche e soprattutto a partire dai conflitti e dalle fragilità che li contraddistinguono. Ci si sente, infatti, più liberi a essere introdotti nel mondo partendo da ciò che più ci fa paura; il suo modo di fare spontaneo e che alle volte può risultare aggressivo diventa un vero e proprio strumento di lavoro: attaccare l’altro, senza  tuttavia deriderlo, può essere un modo per creare familiarità e prendere confidenza; spesso, infatti, gli amici più cari sono proprio quelli che ti senti libero di insultare e di trattare male. Gli studenti che partecipano al gruppo, inoltre, ricevono sempre un feedback immediato da parte del loro coordinatore e grazie alle sue critiche e provocazioni hanno la possibilità di crescere e migliorarsi.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Ciò che questa esperienza mi ha lasciato non può essere ridotto ad una serie di competenze tecniche  e nozionistiche;  questo perché, più che semplice tirocinante, mi son sentita membro di una realtà culturale estremamente stimolante e ho potuto godere dei suoi frutti. Le questioni di cui il Gruppo della Trasgressione si occupa sono spesso complicate ma hanno anche il fascino di rivolgersi a chiunque: mi sento quasi egoista nell’affermare che frequentare gli incontri mi ha arricchito soprattutto come persona: pensavo di andar lì ad “aiutare” i detenuti come una crocerossina qualunque e invece ho aiutato me stessa; ogni riflessione affrontata mi ha permesso di capire qualcosa sulla natura umana e su di me che prima non contemplavo e, a volte, ha avuto tanta efficacia da riuscire a mettermi in crisi.

Il Gruppo della Trasgressione è, quindi, innanzitutto un’esperienza umana aperta a chiunque abbia voglia di investire energie mentali su temi che non riguardano solo la realtà del detenuto ma qualsiasi persona. Questo peculiare tirocinio mi ha poi dato la possibilità di osservare da vicino il mondo carcerario: una realtà che molto spesso disumanizza, che mortifica l’intelligenza, che svilisce l’esigenza innata dell’uomo di costruire e di inventare, dove il proposito rieducativo poco si spende.

Di questo mondo, il Gruppo costituisce una fortunata eccezione: i detenuti che ne fanno parte hanno alle spalle o ancora stanno compiendo un complesso e lungo percorso di consapevolezza interiore, sono persone che hanno voglia di abbandonare il loro modo di comunicare prettamente “delinquenziale” in favore di una lingua nuova, quella della cultura e dell’arte, in modo che essa diventi produttiva e spendibile.

Ho inoltre trovato estremamente interessante e formativo osservare sul campo il modo di procedere spontaneo e acuto dello psicologo coordinatore del gruppo: quest’ultimo, attraverso un’approccio assolutamente fuori dagli schemi, mi ha fatto comprendere il valore dello smarrimento e della capacità di giovarsi delle proprie crisi e dei propri conflitti. Avendo avuto a che fare con un gruppo variegato con esigenze differenti, ne ho potuto esplorare le dinamiche e gli accorgimenti che servono a mantenerlo in equilibrio.

In particolare, la relazione che si crea tra studente e detenuto è notevolmente complessa: entrambi spesso non fanno altro che appagare a vicenda i loro bisogni con il minor dispendio di energia possibile: il detenuto trova una facile scorciatoia nel farsi “salvare” da un ragazzo volenteroso, bypassando un lavoro mentale che è invece necessario, e lo studente, soddisfa, a poco prezzo, la sua voglia di aiutare il prossimo e di sentirsi importante: è facile diventare importanti per chi, di fatto, è fisicamente in gabbia.

 

Abilita acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Il Gruppo della Trasgressione è stato per me  una “palestra mentale”: ho imparato ad accostarmi alle questioni di volta in volta affrontate senza preconcetti e con la voglia di mettermi in discussione; ho acquisito più familiarità con l’oggetto principale di studio del gruppo, ovvero la devianza, anche attraverso un lavoro di rielaborazione. Dal momento che la comunicazione e l’interazione sono ingredienti irrinunciabili di questa esperienza di tirocinio, ho dovuto, per forza di cose, fare i conti anche con la mia naturale ritrosia a parlare in pubblico e a esprimere la mia opinione: ho imparato l’importanza di sapersi mettere in gioco e di diventare agenti di ciò che si pensa ma anche più semplicemente, di formulare in maniera chiara e comprensibile le proprie considerazioni.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Ho sempre invidiato le persone che procedono con un obiettivo saldo davanti a sé, sicure di quello che vogliono fare e di chi vogliono essere; questo perché io sono tutto l’opposto: sono timida, insicura e nonostante spesso abbia voglia di raccontarmi, faccio fatica ad espormi perché il mio Super io esagerato non mi concede frequentemente il lusso di sbagliare. Da questa esperienza, però, ho imparato qualcosa di assolutamente fondamentale: non basta affermare la propria esistenza.

Per fare in modo che la vita non sia vissuta all’insegna della mediocrità e del compromesso, è necessario affermare se stessi in maniera costruttiva, condividendo esperienze e non temendo di mostrare le proprie fragilità; proprio come il delinquente sceglie la strada più semplice della regressione per appagare i suoi bisogni di sicurezza, così spesso mi piace crogiolarmi nella mia natura introversa e schiva senza impegnarmi veramente in un percorso di crescita ed emancipazione che, per forza di cose, implica una spesa mentale maggiore. Qualche volta, scherzando, mi definisco una persona “a lenta attivazione”: ammetto che per mettere in pratica ciò che ho imparato, un mese di tirocinio non mi è sufficiente e che il mio percorso di crescita è solo agli inizi ma posso assicurare che ci sto lavorando!

 

Altre eventuali considerazioni personali

È proprio fuori strada chi pensa a questa esperienza come un’occasione di fare una gita turistica in una realtà distante e di osservare delle creature sconosciute e mostruose, tenendosi, però, sempre qualche passo indietro rispetto alla possibilità di essere aggrediti; la trasgressione accomuna tutti gli uomini e il fatto che esistano delle case di reclusione per chi ha fatto della devianza il suo mestiere non rende meno vera l’affermazione.

Le istituzioni preferiscono spesso indossare il paraocchi piuttosto che affrontare la questione; tutti coloro che, però, sono stufi di rimaner bendati e che hanno voglia di impegnarsi in un uno sforzo mentale maggiore, sono invitati a farlo: questo è ciò che il Gruppo della Trasgressione si auspica e ciò per cui lavora.

Se la tendenza ad oltrepassare i limiti è qualcosa che ci appartiene, la questione da risolvere è come farlo senza recare danno a chi ci sta accanto e a noi stessi: una trasgressione “addomesticata” e ragionata che sfrutti la voglia di potere all’insegna della cultura e della bellezza e che si realizzi nella relazione e nella condivisione di esperienze sembra essere la risposta. Quello che il Gruppo della Trasgressione si propone di fare è coraggioso e difficile, ma proprio grazie alla sua capacità di mettersi in discussione e alla sua voglia di migliorarsi non può che lasciare il segno in chi ha voglia di ascoltare; a me personalmente, dagli incontri del Gruppo non mi capita mai di uscire indifferente: oscillo sempre tra il massimo entusiasmo e la crisi più totale; questo mi dimostra che è proprio valsa la pena intraprendere questa avventura.

Torna all’indice della sezione

Una domenica al Coming out

Domenica 11 giugno apriamo il Coming out alla città

Abbiamo un palco dal quale parlare, giocare, suonare. Potremo comunicare le nostre idee con discorsi seri o scherzando, con i congiuntivi al posto giusto o anche no. Magari facciamo qualche pezzo del nostro mito di Sisifo e i ragazzi delle scuole che visitiamo potranno dar voce a qualcuno dei personaggi.

O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate.
(
Divina Commedia, Inferno, 2° Canto)

Forse qualcuno di loro racconterà ai presenti il senso del rapporto fra gli adolescenti e i componenti del Gruppo della Trasgressione. Detenuti, tirocinanti e tutti i componenti del gruppo avranno la responsabilità e il piacere di verificare se e quanto il nostro progetto può interessare gli abitanti della zona Barona e i cittadini che interverranno.

Probabilmente ci sarà anche un campione italiano dei pesi welter, ma nessuno darà pugni. Noi tutti, invece, proveremo a dire cosa vogliamo far venir fuori da noi stessi e dal nostro progetto comune. Di certo sarà una giornata in cui detenuti e figure istituzionali, adolescenti e insegnanti, potranno vivere la trasgressione di oltrepassare le colonne d’Ercole e verificare se, al loro ritorno, riusciranno a comunicare agli altri l’umanità e la ricchezza dell’esperienza vissuta.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza
(Divina Commedia, Inferno, 26° Canto)

Per questo avremo chi porterà musica rap e chi canterà De André, avremo chitarre e violini e tamburi. Ci saranno grigliate, pane dal carcere, le piante di Opera in fiore e la bancarella di Frutta & Cultura. Se le cose vanno come si spera, dovremmo avere i primi esponenti del Coming out.