Sull’Autorità con gli scout

Incontro sull’Autorità -3 marzo 2018

  1. L’autorità fra potere e funzione
  2. Le attese: cosa ci si attende dall’autorità, cosa l’autorità si attende dalle persone che rappresenta e per le quali è in carica?
  3. Considerazioni e iniziative utili a evidenziare come si combinano potere e funzione nell’esercizio del ruolo.

Link di approfondimento:

Le immagini mi richiamano quello che per me è uno dei tratti centrali dell’Autorità. Grazie a Sofia, dunque, per avermi concesso di servire per qualche minuto la sua Autorità prediletta.

Istruire una prossimità

Qualche tempo fa il Gruppo della Trasgressione aveva preso parte nel carcere di Opera a un incontro sul rapporto fra vittime e autori di reato. Il confronto, cui avevano preso parte anche magistrati e giornalisti, era stato giudicato da tutti i presenti interessante, ma più di una persona aveva osservato con bonaria ironia che… “mancavano i carnefici”.

Non potevo non convenirne! Anche se erano loro stessi a dire che “… all’epoca dei reati, non avevamo lo spazio dentro per sentire la vittima”, i detenuti che avevano preso la parola sembravano ben altro da quello che avevano dichiarato di essere stati all’epoca dei loro crimini. Dicevano apertamente che “quando non si dà valore alla propria vita, non si può avere coscienza del dolore della vittima”, ma il loro modo di parlare sembrava guidato proprio dalla coscienza e dal gusto di viverla e di ricercarla.

D’altra parte, essi erano tutti parte di un gruppo di studio dove si cerca di comprendere: 1) come si diventa criminali; 2) il modo confuso con cui il principio della giustizia è presente anche nel predatore; 3) se e come si può rinunciare gradualmente all’eccitazione dell’abuso per il piacere della relazione; 4) quanto sia difficile stabilizzare l’equilibrio psico-sociale del neo-cittadino proveniente da un’adolescenza vissuta nella devianza.

Dopo avere ascoltato per anni i loro contributi, oggi credo che dietro ogni gesto criminale ci sia un genitore al quale il reo fantastica di restituire un tradimento subito. Ma la trama storica e psicologica che dà origine a queste fantasie e gli atti criminosi che ne discendono sono difficili da ricostruire; e così, spesso si trascura che rancore, reato e fantasie di rivalsa fanno parte di un impasto tumultuoso, spesso artificiosamente glaciale, nel quale l’abuso e la violenza hanno per chi li esercita il sapore del risarcimento.

Ma proviamo a entrare in questa oscura selva di fantasie negate! Da più di un detenuto era stato detto che nell’atto del reato “… la vittima non è una persona, ma soloun ostacolo da eliminare”, in altre parole, un oggetto col quale non si vive alcuna relazione affettiva. Pur se in presenza di diverse vittime di reato, parlando dei loro crimini, i detenuti avevano confidato che “… è brutto dirlo, ma io alla vittima non ci pensavo, non provavo nulla”.

A me pare però che le loro affermazioni corrispondano solo a un frammento di verità… e mi sembra, piuttosto, che fra chi commette il reato e chi lo subisce esista una relazione molto più intensa, pur se sotterranea, che somiglia a quella che il bullo ha con la sua vittima e, prima ancora, a quella che la bambina ha con la sua bambola quando la sgrida. Mi sembra, insomma, che la vittima sia per il reo un “oggetto” molto meno estraneo di quanto egli senta coscientemente e sia, come per il bullo, il supporto sul quale egli proietta in modo espulsivo la sua fragilità e il suo senso d’impotenza, cioè un fratello al quale far pagare il tradimento subito (o che fantastica di aver subito) dalle persone deputate a proteggerlo e gli stati d’animo che ne discendono: rancore, senso di emarginazione, difficoltà a muoversi nella legge del padre, implicita autorizzazione alla pirateria.

Ma recuperare la coscienza della parentela negata fra il reo e la vittima è per tutti un percorso in salita, che equivale a perdere i vantaggi dell’abuso, senza la certezza di guadagnare qualcosa in cambio! L’abuso, per il reo, corrisponde a una rivolta contro il tiranno, a un delirante flash di libertà, a un’affermazione della propria onnipotenza; per il comune cittadino, a un sistema per identificare i tratti del persecutore e tenerlo distante; per i giornalisti, a un banchetto cui invitare quante più persone possibile; per il tribunale, a una violazione di cui restituire il peso a chi l’ha commessa e i conteggi ai cittadini; per la vittima, a un trauma che toglie il fiato e placca il pensiero.

Insomma, interpretare l’abuso come l’indicatore di una parentela (e non solo di un conflitto fra estranei) è un’operazione difficile, costosa, temeraria. Eppure, dopo qualche tempo dallo shock, qualcuno si mette in cerca di questa parentela; e a farlo, è proprio la vittima o i suoi congiunti più cari… forse, semplicemente perché sono proprio loro ad avere il bisogno più sentito di “istruire una prossimità”.

Quando un bullo umilia un suo coetaneo estorcendogli un panino, lo sottomette per avere il panino o gli prende il panino per umiliarlo? E il suo bisogno di umiliare la vittima da cosa nasce?

La scena dell’abuso, nella gran parte dei casi, può essere riassunta come quella di una vittima costretta all’impotenza da chi, pilotato dall’odio verso chi lo ha reso a sua volta impotente, ha bisogno di espellere la propria vulnerabilità. Il bottino, che nell’opinione comune è la meta del reato (ma che non a caso viene consumato in un baleno), credo sia soprattutto un diversivo per coprire che l’obiettivo del reato è ottenere un’ennesima conferma (che però non basta mai!) d’essere così invincibili da non potere essere sottomessi, tanto duri da potere sfidare il fantasma di un genitore castrante e/o latitante, tanto indipendenti da potersi lasciare alle spalle la propria impotenza, delegandola, una volta per tutte, alla vittima. Qualcuno lo fa umiliandola, qualcuno offrendo un bicchiere d’acqua a chi sbianca per la paura nel corso di una rapina, ma è ancora un sintomo… e i sintomi, si sa, ritornano mille volte proprio perché non se ne riconosce il messaggio, costringendo il loro “esecutore” a girare dentro un loop da fare invidia a Sisifo.

Le persone detenute che avevano offerto le loro considerazioni nel corso dell’incontro, invece, sembravano motivate a interrogarsi sull’origine dei loro sintomi e sull’humus dei loro reati quanto gli altri protagonisti della ricerca, vittime e magistrati compresi. Fra di loro, uno confidava che un tempo pensava di essere diventato adulto il giorno in cui ha picchiato suo padre, e che in tempi più recenti si era invece reso conto che essere adulti è una meta verso la quale, nella più sorridente delle ipotesi, si procede intrecciando il piacere della libertà con il piacere della responsabilità verso l’altro.

Finalmente possiamo rallegrarci, almeno con alcuni, del fatto che le stesse persone che in passato sono state carnefici oggi ci aiutano a ricostruire il mosaico dell’identità deviante e a toccare con mano che, quando l’arbitrio e l’eccitazione diventano il principale strumento per zittire il proprio senso di marginalità, il reato può investire chiunque, come chiunque può essere investito da un autista ubriaco o da un burattino intontito dal delirio di un’indipendenza posticcia.

Ma se perdere un figlio per un incidente, per una disgrazia priva di intenzioni, causa dolore e sgomento, perderlo per volontà di una marionetta mossa dal delirio, comprensibilmente, genera un tormento che non si placa. Chi perde un congiunto rimane legato per tempi lunghissimi all’omicida. Quasi sempre, in un primo momento, la vittima sviluppa verso il colpevole odio e voglia di vendetta; poi, molte volte, passa al desiderio che il processo gli “restituisca” la giusta punizione; infine (ma qualche volta anche in tempi molto brevi), soprattutto per chi a causa del reato ha perso un congiunto, accade che il desiderio di giustizia si trasforma nel desiderio che il reo possa sviluppare la coscienza della perdita causata. Ricordo le parole straziate della moglie di una delle vittime della strage di Capaci al funerale: “Io li perdono, ma loro si devono inginocchiare… ma lo so, loro non si inginocchiano”. Perché questo bisogno così intenso che la persona che ci ha ferito abbia coscienza del nostro dolore? Perché questo bisogno di far pace con gli assassini del marito?

Probabilmente, anche dopo che il male ha ultimato il suo corso, nessuno quanto la vittima ha bisogno che nel carnefice nasca la coscienza dell’altro. Sembra paradossale, ma molto spesso chi ha subito una perdita così grave ha bisogno di pensare al congiunto che ha perso la vita insieme con la persona che gliel’ha tolta, qualche volta persino di sentirla parte della sua stessa cerchia affettiva. Chi patisce il dolore ha bisogno che dal dolore nasca qualcosa e di orientarlo in una direzione… e questa direzione non può essere quella dell’odio… perché nel tempo la vittima capisce che la prigione dell’odio consuma la sua stessa vita senza restituirle nulla. La vittima capisce, potremmo aggiungere, quello che il carnefice ha difficoltà a riconoscere e che tiene distante da sé grazie all’eccitazione compulsiva di droghe e abusi di potere.

Si intuisce che aiutare chi subisce un reato a emanciparsi dalla ragnatela che quasi sempre ne avviluppa i pensieri è doveroso e funzionale per la salute sociale almeno quanto favorire l’evoluzione del reo. Ma perché chi ha subito il male ha così tanto bisogno che chi lo aveva causato ne abbia coscienza? Spessissimo vediamo le vittime spendere a tale scopo incredibili quantità di energia. Ricordo che circa 20 anni fa Luciano Paolucci, padre del piccolo Lorenzo, ucciso da un pedofilo, venne una domenica da Foligno a San Vittore senza altro compenso che la possibilità di riflettere col Gruppo della Trasgressione sul perché del male subito da suo figlio.

Credo che la lacerazione dovuta a una grave perdita affettiva, giunta traumaticamente e senza una comprensibile ragione, per potere essere tollerata, debba diventare seme di una storia: il terremoto non ha volontà, traumatizza, ma non chiude i sopravvissuti nella prigione del rancore; quando la morte viene determinata intenzionalmente, invece, i parenti più stretti della vittima, per poterne sopportare la perdita, hanno bisogno che la volontà dell’omicida cambi direzione, che l’odio mortifero diventi coscienza della prossimità e origine di nuove relazioni. Ma perché questa “gravidanza” possa essere avviata, occorre la ricostruzione di una storia che, di fatto, non conosce nemmeno il carnefice, se non nei suoi risvolti più superficiali e comunque non nei nodi che sono all’origine delle sue scelte; occorre una storia che conduca chi ha commesso l’abuso alla libertà di entrare in relazione con l’altro.

Con questo non si vuol dire che il reato viene commesso in una condizione di “illibertà”; è assiomatico che chi commette un abuso ne è responsabile. Ma se per la società non è possibile fare a meno del presupposto della responsabilità e se per la Legge è ragionevole misurare soprattutto la responsabilità nel reato, per la psicologia è importante interrogarsi sui meccanismi in virtù dei quali la persona allarga o restringe ogni giorno i confini della propria libertà. Per chi indaga sui retroscena della scelta, l’area della responsabilità riguarda anche la cura o l’incuria con cui ci si occupa della propria libertà di scelta e degli stati d’animo che ne costituiscono il liquido amniotico. Al Gruppo della Trasgressione, dove l’esplorazione di questi territori è pratica quotidiana, recentemente uno dei componenti diceva che “recuperare la coscienza del proprio delirio e del male perpetrato corrisponde a restituire alle vittime il dolore e il rispetto che meritano e a noi stessi il risveglio dall’anestesia nella quale abbiamo vissuto”.

Ascoltando le parole dei magistrati, dei giornalisti, delle vittime e di chi a suo tempo è stato carnefice, si percepisce, chiaro, il desiderio di tutti di recuperare coscienze esiliate; da parte mia, credo che per farlo occorrano storie che permettano alla “banalità del male” di disvelare la sua intelaiatura nascosta e corrosiva.

Per riuscirci, però, non basta perdonarsi e abbracciarsi; è indispensabile, tra l’altro, che l’immagine cristallizzata dell’autorità che di solito ha il criminale (quella di un tiranno che esercita il potere esclusivamente a proprio beneficio) venga rielaborata e bonificata. Ma questo diventa del tutto impossibile senza programmi mirati e se non si tiene conto del fatto che personaggi pubblici e, a volte, perfino figure istituzionali si lasciano sovrapporre al prototipo di autorità che chi commette abusi ha interiorizzato già nei primi anni di vita. Affinché una punizione e la restrizione della libertà possano essere tollerate senza diventare per il ristretto un’ulteriore autorizzazione alla pirateria, occorre che il condannato possa imparare a nutrirsi della relazione con l’altro, e questo è possibile solo se il dolore della punizione e la fatica di recuperare la coscienza esiliata vengono condivisi dall’autorità stessa (particolarmente interessante sul tema la relazione della dott.ssa Cosima Buccoliero al Teatro Dal Verme lo scorso 15 ottobre).

Per fortuna, pur se il rinnovamento del clima istituzionale avviene con lentezza, questa è la direzione degli ultimi anni. Avviare studi e aprire spazi strutturati in cui ci si possa servire della motivazione che hanno in tal senso le vittime di reato non può che giovare alla causa. È vero che la vittima ha bisogno di recuperare la prossimità col suo carnefice per tornare a vivere libera dal rancore, ma questo, oltre a essere un valore morale, è in definitiva ciò di cui abbiamo bisogno noi tutti (l’amicizia fra Claudia e Irene)

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Adesso sono libero davvero

Angelica Chirulli, Matricola: 801098
Corso di studio: Scienze e tecniche psicologiche
Tipo di attività: Stage Esterno
Periodo: dal 05/04/2017 al 31/05/2017
Titolo del progetto: Adesso sono libero davvero

Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

È difficile descrivere tecnicamente il lavoro che ho svolto durante questo tirocinio. È stata un’attività del tutto inaspettata, sorprendente e anticonvenzionale. Ho trascorso queste 100 ore all’interno di un gruppo composto da detenuti, ex detenuti, studenti e liberi cittadini, discutendo di argomenti importanti e non scontati; abbiamo riflettuto su concetti come la libertà, la trasgressione con le sue premesse e le sue conseguenze di voglia di potere, di fragilità, di pentimento e desiderio di ricominciare.

Sono argomenti che non riguardano solo i detenuti. Ognuno di noi, infatti, si ritrova negli temi discussi con il gruppo, mettendo in gioco le proprie fragilità, trasgressioni piccole o grandi, manifeste o implicite.

Gli incontri avvengono in corso Italia in una sede ATS e nelle carceri di Opera e Bollate. È stata recentemente inaugurata un’altra delle attività ideate dal gruppo e resa possibile grazie alla loro forza di volontà e voglia di costruire: da un terreno abbandonato è stato creato uno spazio piacevole e ben curato, messo a disposizione dei cittadini del quartiere e non solo. Uno spazio in cui famiglie, bambini e ragazzi possono incontrare più da vicino il mondo della trasgressione.

Alcuni detenuti fanno prevenzione al bullismo nelle scuole, parlano di devianza e raccontano la propria storia cercando di fare in modo che i ragazzi si rendano conto di quali sono le conseguenze, spesso sottovalutate, delle proprie azioni.

Non credo si possa individuare un approccio teorico di riferimento: il nostro coordinatore, il dott. Angelo Aparo, ha un modo del tutto innovativo di fare psicologia e di insegnare, se di questo si può parlare. Allo stesso modo chi partecipa ai diversi incontri non arriva con un’idea di quello di cui si tratterà o delle conclusioni che verranno fuori: è tutto oltre gli schemi convenzionali che normalmente si potrebbero immaginare parlando di un tirocinio guidato da uno psicoterapeuta.

Lo scopo quotidiano che il gruppo si propone è quello di servirsi della conoscenza, dello studio, della filosofia, della letteratura, della cultura in genere, per discutere di temi importanti della vita, per portare tutti i partecipanti alla riflessione innanzitutto su se stessi, ma anche sulla società, sul mondo e sulle relazioni che ogni giorno ci definiscono.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Lo studente tirocinante è parte integrante del Gruppo della Trasgressione. A differenza degli altri tirocini non è posto lì su una sedia ad osservare, ascoltare o servire qualcuno con più competenze. Uno studente del Gruppo è chiamato in prima persona a mettersi in gioco, spogliarsi delle proprie armature, rispondere alle provocazioni lanciate durante la discussione.

Chi partecipa al gruppo si cimenta nella discussione critica degli argomenti trattati e dice la propria sulle questioni proposte. Non sono argomenti che si esauriscono nella durata dell’incontro, ma sono quesiti che ci si porta dietro per tutta la giornata o settimana, ciascuno cercando di ricavare quella verità profonda più adatta alle proprie esigenze.

Ci è stato chiesto anche di partecipare ad alcune delle attività esterne del gruppo. Abbiamo aiutato i detenuti a vendere frutta e verdura ad una bancarella su un terreno bonificato dai detenuti stessi. Il nostro compito però non si limitava a quello di fruttivendoli o giardinieri: abbiamo parlato con i cittadini del quartiere del Gruppo della Trasgressione, delle tante proposte in ballo, della nostra esperienza al gruppo e della forza di volontà che ha mosso molti di noi in questo progetto. La festa di inaugurazione organizzata nei giorni scorsi è stata la prova di un corretto compimento di questo proposito: la gente è arrivata incuriosita ed è tornata a casa divertita dalla buona musica, dai discorsi, dagli interventi e dalle iniziative portate avanti dal gruppo.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Per tutto il tempo del tirocinio, gli strumenti che abbiamo avuto a disposizione erano la nostra testa per ragionare e la nostra parola per esprimere quello che abbiamo sentito, non lasciandoci fermare dai pregiudizi o preconcetti. Tutto era lì per arricchirci, per guardarci dentro e per portare alla luce quello che abbiamo scacciato, tenuto nascosto o su cui non ci siamo mai soffermati più di tanto a riflettere.

I detenuti hanno raccontato le loro storie in modi differenti: si sono confrontati con ragazzi del liceo, hanno tirato fuori il loro lato più mostruoso, quello che difficilmente si vede nella realtà di ogni giorno. Si sono rivelati nudi e fragili, mostrando tutta la loro umanità anche in questo: un’umanità alla quale non si può credere se non la si vede con i propri occhi. Si sono inoltre espressi attraverso il teatro, nella rappresentazione del mito di Sisifo: una rappresentazione senza copione, dove ognuno di loro ci mette del proprio, dove ognuno si riconosce nel personaggio che rappresenta sul palco davanti a centinaia di persone. Improvvisano, riversando nella performance tutto il loro essere, le loro emozioni, le loro motivazioni e tutto ciò che hanno imparato negli anni.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Il coordinatore del gruppo, il prof. Aparo, è sicuramente una delle persone più ricche di conoscenze che io abbia incontrato nella mia ancora breve vita. È un uomo che difficilmente si arrende davanti alle cose. Qualsiasi spunto, anche quello che può sembrare il più banale, diventa fonte di discussione, di riflessione, di coinvolgimento al 100% delle nostre capacità emotive e non solo. Chiunque intesse un rapporto con lui sa che alla base vi è totale sincerità e schiettezza, che se guardata solo superficialmente può sembrare dura, fastidiosa o offensiva, ma in realtà è questo l’elemento che rende effettivamente due amici tali: la totale libertà di trattarsi con lealtà. Toccare quello che ci fa più paura o quello che riteniamo essere per noi inviolabile ci fa sentire di più parte del mondo in cui viviamo, più sinceri con chi ci è vicino e più svincolati dalle gabbie da noi stessi imposte.

È grazie a questa sincerità che il gruppo cresce e si arricchisce di persone che invece di sentirsi offese da questo atteggiamento, ne riconoscono il bene sincero e spesso decidono di restare per crescere e guardarsi con la stessa onestà con cui lui guarda ognuno dei partecipanti.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Ho imparato cos’è l’articolo 21, ho più o meno capito come è organizzato un carcere e ho scoperto cos’è la vera contentezza quando ho visto un detenuto ricevere la chiamata che lo informava dell’inizio del suo affidamento sociale. Ma tanto altro oltre questo. Ogni minuto passato al gruppo è un aumento di conoscenze dalla letteratura alla filosofia, alla psicologia e allo studio della devianza. Non era scontato tornare a casa con una risposta, anzi spesso il gruppo ha contribuito ad affollare nella testa altre domande, altri dilemmi a cui probabilmente nessuno potrà dare una risposta, ma il fatto stesso di aver posto l’attenzione su determinati argomenti mi ha migliorato e aperto la mente su alcune questioni. Ho inoltre imparato che niente è definitivo e che nella vita si può cambiare totalmente e in tutti i sensi possibili

 

Abilità acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Nel periodo trascorso con il gruppo ho avuto la possibilità di conoscere un modo del tutto nuovo di parlare, fatto di parole spesso non semplici da comprendere e con più significati, ma anche un modo di comunicare fatto di silenzi. Ho imparato a osservare e a stupirmi; ho imparato a lasciarmi istruire da tutto, ad ascoltare e, anche se spesso mi è ancora difficile, a giungere al nocciolo delle questioni, rielaborare delle mie opinioni e organizzare un discorso in modo da risultare chiaro a tutti. Ma su questo c’è ancora un bel po’ da lavorare

 

Caratteristiche personali sviluppate

In senso pratico non so in cosa sono cambiata. Vorrei poter dire di aver imparato ad ascoltare anche quello che non viene detto, di leggere fra le righe, percepire emozioni ed espressioni, ma questo lo scoprirò solo con il tempo. Ho sicuramente ancora più in mente quali sono i miei limiti e quali strumenti ho per superarli in senso costruttivo. Ho imparato che le critiche sono utili e possono servire a migliorarsi (e per una permalosa come me averlo capito è un grandissimo passo in avanti).

La fine di questo tirocinio non corrisponde alla fine di un percorso, come un libro da chiudere e riporre in libreria. È invece solo lo schizzo iniziale di quello su cui c’è da impegnarsi davvero, un abbozzo di quello che ho in mente per me e di quello che voglio essere

 

Altre eventuali considerazioni personali

La sfida di questo tirocinio è stata quella di esserci con la testa più che mai, esserci tutta al 100%. Con le parole non sono mai stata brava, né sono abituata a dire la mia: anche quando mi viene chiesto di farlo, faccio particolarmente fatica a sentirmi sicura di quello che ho da dire o ad esprimerlo in modo chiaro. Il prof in questo è stato un grandissimo esempio. Lo abbiamo sentito “fare l’amore con le parole”, riconoscere il bisogno della persona che si ha davanti e soddisfarlo così, con naturalezza e spontaneità.

Con il Gruppo ho imparato che ognuno conserva dentro uno scheletro posto in chissà quale botola recondita del nostro cuore, un esserino misterioso che tentiamo di nascondere anche se cerchiamo di convincerci che non è così e che siamo indistruttibili. Con i detenuti questo emerge chiaramente. Chi decide di parteciparvi sa che queste debolezze vanno tirate fuori, per conoscersi meglio: solo così lo stare al mondo diventa sincero, oltre a rendere più veri noi stessi.

Concludo con una parte di un discoro espresso al gruppo qualche giorno fa che mi ha davvero colpita perché secondo me esprime chiaramente l’aiuto che i partecipanti del gruppo vi hanno trovato: “il gruppo mi ha salvato. Mi dato la libertà mentale che va al di là dei confini della cella: mi ha aperto la mente. Non ho più il bisogno di imporre niente a nessuno perché adesso sono libero davvero

Il giorno nasce dalla notte oscura

Silvia Quattro, Matricola: 790108
Corso di studio: Scienze e tecniche psicologiche
Tipo di attività: Stage Esterno

Periodo: dal 01/04/2017 al 30/04/2017

Titolo del progetto:
TIROCINIO PRESSO “GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE”

Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Ho svolto la mia esperienza di tirocinio presso l’associazione e la cooperativa Trasgressione.net. Il Gruppo della Trasgressione, che definirei del tutto “rivoluzionario”, è composto da detenuti, studenti e cittadini sotto la guida del Dott. Angelo Aparo, ed è caratterizzato da un clima creativo e vitale nel quale coesistono differenti realtà. Gli obiettivi del gruppo riguardano:

  • l’intervento sul trattamento penitenziario ovvero come fare in modo che il rapporto con i limiti sia motivo di costruzione, di sviluppo e non di devianza;
  • la prevenzione del bullismo e della devianza, che avviene attraverso incontri tra detenuti e studenti (soprattutto adolescenti) nelle scuole;
  • la formazione dei tirocinanti e la creazione di un modello culturale nel quale detenuti, studenti e tirocinanti possano collaborare.

All’interno della realtà del gruppo, infatti, si assiste a tre percorsi diversi ma paralleli: l’evoluzione del condannato; la formazione dello studente universitario; la prevenzione alla devianza nei confronti degli adolescenti.

Per raggiungere tali obiettivi il gruppo si serve di molteplici strumenti, fra i quali spiccano in assoluto la cultura, il piacere di conoscere e il lavoro. A ciascun membro del gruppo è richiesto dunque di mettersi in gioco tanto nelle riflessioni quanto nelle attività più concrete.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Nel corso di questa esperienza ho cercato di apprendere il più possibile in ogni occasione. Ammetto che le prime volte che ho partecipato agli incontri ho fatto fatica ad entrare nelle dinamiche del gruppo; mi sono ritrovata con persone che non conoscevo, non sapevo bene cosa aspettarmi ed ero un po’ smarrita. Mi è servito del tempo ma devo dire che, una volta sintonizzata sulla frequenza del gruppo, è come se avessi scoperto un nuovo modo di vedere le cose.

Essendo un tirocinio poliedrico mi sono anche trovata a vendere frutta e verdura alla Bancarella allestita presso il terreno del “Coming Out” nel quartiere Barona di Milano, a consegnare nei locali cassette di frutta e a fare da cicerone con i clienti per raccontare le iniziative del Gruppo e far conoscere il suo spirito rivoluzionario.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Cosa si fa al Gruppo della Trasgressione? Beh di tutto e di più… si riflette, ci si esprime, si dialoga come accade in molti altri gruppi. L’eterogeneità del gruppo, data da età, cultura e ruolo dei suoi membri, dà luogo a una alchimia particolare grazie alla quale le diversità  diventano ricchezze, promuovono lo scambio di idee e la costruzione. Per far parte del gruppo l’unico requisito è avere una testa pensante ed essere disposti a indagare l’opera incompiuta che è l’essere umano. Cercare di capire le spinte che portano l’uomo alla devianza e alla regressione e quanto la presenza di uno “scheletro morale” dentro di noi invece ci indichi la strada del progresso; imparare ad ascoltare l’altro saper raccontare la sua storia in modo da riconoscerlo come fratello.

L’Associazione del Gruppo della Trasgressione si occupa anche di iniziative culturali come convegni, incontri con le scuole per la prevenzione al bullismo, rappresentazioni teatrali come il Mito di Sisifo. Una delle ultime conquiste del Gruppo è la bonifica del terreno del “Coming out” un luogo che rappresenta un punto di riferimento per il gruppo stesso, in quanto sede della bancarella di frutta e verdura della Cooperativa, e che speriamo diventi uno spazio di libera espressione anche per i cittadini del quartiere.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Guida e fondatore del Gruppo è il dottor Angelo Aparo, uno psicologo che lavora da circa 40 anni con i detenuti e ha creato con il suo “multiforme ingegno” il Gruppo della Trasgressione. Non posso fare a meno di associarlo alla figura di Ulisse che è stata anche oggetto di uno degli incontri a cui ho partecipato. In quella circostanza si era parlato di Ulisse come uomo della conoscenza, egli per amore della conoscenza è disposto anche a oltrepassare i limiti del mondo conosciuto, rappresentati dalle Colonne d’Ercole, sfidando cosi gli Dei e scatenando la loro ira. Anche nell’episodio delle sirene si riscontra la volontà di Ulisse di conoscere il fascino del canto delle sirene, egli infatti non esita a farsi legare all’albero della nave pur di raggiungere il suo obiettivo. D’altro canto però priva i suoi compagni di questa opportunità ordinando loro di tapparsi le orecchie. Nella mia mente il Gruppo della Trasgressione ha assunto le fattezze di un equipaggio che ha come guida il Dottor Aparo il quale utilizza la bussola della conoscenza, conoscenza che al contrario di Ulisse non tiene per sé ma condivide con il resto del gruppo. Ed è proprio perché vuole sapere quanto abbiamo capito dei suoi “sproloqui”- come lui li definisce- che non perde occasione di interpellarci e di scuoterci per vedere fino a che punto abbiamo compreso il suo messaggio e quali siano le nostre idee a riguardo. Lo stile del Dottor Aparo con noi studenti, per quanto mi riguarda, è una maieutica diretta, a volte incazzata, ma che ha sempre come obiettivo la nostra crescita come persone e studenti.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Quando si pensa alle attività legate a scuola e Università si sa che le nozioni abbondano. Potrei dirvi che ho imparato che in Paesi Europei come Danimarca e Norvegia la pena dell’ergastolo non è contemplata, che Melanie Klein con le sue teorie psicodinamiche ha indagato il legame tra i comportamenti dei bambini e la devianza o che per concederti i permessi il carcere ci impiega mesi e mesi. Certo è che, seppur siano cose interessanti, non sono queste le conoscenze che sento di aver acquisito. Mi sento di dire che le mie conoscenze riguardano le persone con le quali ho iniziato e ora condivido un cammino che ho intenzione di proseguire, dato che sento di avere ancora molto da dare al gruppo.

 

Abilità acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Partecipando al Gruppo della Trasgressione ho imparato a interrogarmi sempre, a mettermi in discussione e ad andare a fondo sulle questioni che si presentano nella vita di ogni giorno. Ho capito che spesso ci poniamo nei confronti dell’altro con un sacco di pregiudizi ma che bisogna guardare più lontano e trovare anche nel mostro quella parte di umanità che ci rende più simili di quanto pensiamo. Ho compreso che è importante ascoltare le fragilità altrui, per riconoscere le mie e che è giusto concedersi la libertà dei colori emotivi e quindi sperimentare ogni tipo di emozione.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Attraverso questo tirocinio sento di aver acquisito un nuovo modo di vedere le cose e di ragionare. In genere mi definisco e gli altri mi conoscono come una persona sicura di me, molto centrata sull’obiettivo; devo dire che nel gruppo è uscita la parte più timida di me e per me è stata un po’ una sorpresa. Riconosco di non aver mai parlato più di tanto di mia spontanea volontà non perché non avessi nulla da dire anzi… per questo spero in futuro di sfruttare al meglio l’opportunità che offre il gruppo per confrontarsi.

 

Altre eventuali considerazioni personali

Questa citazione la trovo particolarmente interessante e mi ha portato a riflettere su come debba rapportarmi con le mie crisi e volevo condividerla con voi del Gruppo. Finché saremo disposti a metterci in gioco e ad adoperarci per trovare soluzioni alle crisi non ci sarà mai una crisi di cui preoccuparsi!

Non pretendiamo che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi può essere una grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza. Il più grande inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita ai propri problemi. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito. E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. L’unico pericolo della crisi è la tragedia che può conseguire al non voler lottare per superarla.” Albert Einstein

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La Trasgressione: dal sintomo allo studio

Valeria Pozzoli, Matricola:789787
Corso di studio: Scienze e tecniche psicologiche
Tipo di attività: Stage esterno

Periodo: dal 5/04/2017 al 30/04/2017
Titolo del progetto: Gruppo della Trasgressione

Caratteristiche generali dell’attività svolta:
istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

L’associazione presso cui ho svolto il mio tirocinio è una realtà atipica: si tratta di un gruppo, coordinato abilmente da un altrettanto anticonvenzionale psicologo, composto da detenuti, ex detenuti, studenti e da tutti coloro che hanno desiderio di approfondire e far proprio l’oggetto principale di studio di cui il gruppo si occupa, ovvero la devianza; ma questo, lungi dall’essere confinato alla sola realtà del delinquente e della galera, diventa punto di partenza per una riflessione che riguarda l’essere umano e il suo modo di dialogare con il mondo.

Nei diversi incontri che si tengono sia all’interno che fuori dal carcere, tutti i membri si impegnano nell’approfondimento di temi di grande rilevanza che riguardano tanto chi si trova confinato quanto chi è, o meglio, si crede, al di fuori di questi confini; ogni incontro si arricchisce, così, delle esperienze di vita e delle riflessioni personali dei suoi partecipanti. L’obiettivo principale di questo agglomerato variegato di persone è quello di accorciare le distanze tra il mondo socializzato e quello delinquenziale, di ricordare alla società un po’ miope che la trasgressione esiste e non basta un muro di cemento per sbarazzarsene.

Il Gruppo della Trasgressione lavora per fare in modo che la reintegrazione sociale del detenuto sia il meno traumatica possibile e gli strumenti principali per fare in modo che questo avvenga sono la conoscenza e la consapevolezza; i detenuti all’interno del gruppo incominciano, infatti, ad imparare una lingua nuova e sconosciuta che spesso poco si concilia con quella vecchia e familiare che li contraddistingueva. Il reiterarsi degli atti delinquenziali deriva proprio da questo problema di comunicazione; per fare in modo che il nuovo linguaggio diventi florido e produttivo il percorso è lungo: perché “educarsi a godere di una margherita” è un’arte non facile da apprendere ed è proprio questo che il detenuto deve imparare a fare, attraverso un lungo e complesso lavoro interiore.

Accorciare le distanze con il mondo deviante significa anche umanizzare il mostro: dall’inconsueto  binomio detenuto-studente nasce infatti un tipo di interazione che mira alla ricerca, nella storia personale di ciascuno, di zone d’ombra e di luce; sia l’uomo carcerato sia quello che vive al di là delle mura del carcere condividono, in qualche misura, frammenti di vita che li rendono creature mostruose, e altri, che li dipingono invece come esseri umani spesso sopraffatti dalle proprie fragilità e dai propri conflitti.

Sebbene si possa dare per scontato che l’umanità tutta proviene dallo stesso “seme”, non è così facile comportarsi di conseguenza: è necessario un lavoro, di testa si intende, e un obiettivo comune. Il Gruppo della Trasgressione, a tal proposito, si occupa di prevenzione in scuole medie e superiori; l’approccio del Gruppo alla prevenzione della devianza minorile è, ancora una volta, unico nel suo genere: i giovani studenti diventano agenti attivi che condividono esperienze e riflessioni con i detenuti e imparano che la trasgressione, da esperienza lontana e mostruosa, può diventare, se ben amministrata e addomesticata, una ricchezza.

Le forze trainanti del gruppo sono la cultura e la sete di conoscenza che vengono costantemente promosse con passione ed entusiasmo dalla sua guida e che si dispiegano in una grande varietà di iniziative quali spettacoli teatrali, lettura di poesie, concerti  ecc. Il Gruppo della Trasgressione, come cooperativa, si impegna, inoltre, in attività di restauro, di manutenzione e nella vendita di frutta e verdura. L’obiettivo è sempre quello di sensibilizzare la società e i suoi cittadini a un modo nuovo di pensare alla devianza: far sì che i limiti che prima il delinquente oltrepassava animato dall’arroganza, da smanie di potere e dal desiderio di sentirsi completo e libero, vengano ora varcati con un rinnovato tipo di consapevolezza: quello delle proprie fragilità e di un senso del potere tutto nuovo, quello della conoscenza.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Quella fatta all’interno del Gruppo della Trasgressione non può essere definita un’esperienza di tirocinio tradizionale: lo studente è, per prima cosa, un membro del gruppo che, come tutti gli altri, partecipa attivamente alle riflessioni su cui, di volta in volta, ci si sofferma, esponendo il suo personale punto di vista; l’idea del tirocinante che osserva ed esegue le direttive non è contemplata. Se avessi dovuto assecondare la mia natura timida ed insicura, di certo non avrei scelto di impegnarmi in questo tipo di esperienza; forse mi avrebbe fatto più comodo fare l’assistente-cagnolino di qualche psicologo e osservare tutto da un angolo nascosto; perché esporsi, dire ciò che si pensa, mostrarsi nudi e fragili a volte spaventa, o almeno, a me personalmente fa paura.

Lo studente che vive la realtà del gruppo è, invece, costretto a mettersi in gioco e fare i conti con le proprie fragilità. In sinergia con il detenuto, il tirocinante può, inoltre, creare ponti che accorcino le distanze tra mondi che, in realtà, un poco si assomigliano e può contribuire, con la sua opinione giovane e fresca, ad arricchire riflessioni su argomenti complessi.

Dal momento che l’attività principale del gruppo è proprio quella di fare cultura e di sollecitare la riflessione, un altro fondamentale compito del tirocinante è quello di studiare, comprendere i difficili discorsi fatti dallo psicologo coordinatore e guida del gruppo e dare prova di saperli maneggiare, a livello orale e scritto.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Senza ombra di dubbio, uno strumento imprescindibile per chi si accosta per la prima volta al Gruppo della Trasgressione è la voglia di spendere energie mentali e ragionare; non esistono mezzi concreti o particolari metodologie tecniche a cui fare affidamento. L’essenza del gruppo si fonda, inoltre, sulla capacità dei propri partecipanti di comunicare tra loro; il confronto e l’esposizione verbale dei propri pensieri è fondamentale perché la dinamica di gruppo funzioni. Le occasioni in cui tali strumenti possono essere spesi sono molteplici; quando ho iniziato il tirocinio non avrei mai immaginato di venire a contatto con una realtà tanto variegata e ricca di iniziative: oltre a seguire i gruppi dentro e fuori dal carcere, mi è stato possibile assistere agli incontri di prevenzione nelle scuole ed al geniale spettacolo teatrale ispirato al mito di Sisifo che viene, ormai da anni, interpretato da detenuti e studenti e che racconta con perspicacia la storia di compromesso e di tracotanza che contraddistingue tanto il carcerato quanto le istituzioni.

Da non dimenticare, poi, una delle ultime conquiste del Gruppo della Trasgressione: il “Coming out”; “coming out” o, in italiano “venir fuori” è il nome di un terreno in origine piuttosto malandato che, grazie al lavoro di alcuni detenuti, si sta trasformando in  una concreta possibilità di avvicinare la comunità e il mondo carcerario, nel nome della cultura, della bellezza e, perché no, anche della frutta. Sebbene il progetto sia appena partito, nel terreno rimesso a nuovo è stata piazzata una bancarella di frutta e verdura gestita da detenuti e studenti con l’obiettivo principale di far conoscere la realtà del gruppo; se la mia carriera da psicologa dovesse, per qualche motivo, rivelarsi un fallimento, potrò ripiegare sempre sulle mie abilità, per la verità per ora piuttosto scarse, di venditrice di fragole e banane!

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Una delle ricchezze più grandi di cui il gruppo può godere è rappresentata dal suo carismatico creatore nonché atipico coordinatore. Non è affatto un’esagerazione affermare che quest’ultimo è l’anima del bizzarro insieme di persone che a lui fanno capo; per i detenuti così come per gli studenti, è diventato una guida e un punto di riferimento che si fa portatore di beni preziosi quali la cultura e l’arte.  Lo definisco “atipico coordinatore” perché il suo modo di procedere e di approcciarsi a qualsiasi componente del gruppo è del tutto anticonvenzionale e allo stesso tempo acuto: i convenevoli e le belle parole sono messe da parte per lasciar spazio alla conoscenza sincera e intima dei partecipanti anche e soprattutto a partire dai conflitti e dalle fragilità che li contraddistinguono. Ci si sente, infatti, più liberi a essere introdotti nel mondo partendo da ciò che più ci fa paura; il suo modo di fare spontaneo e che alle volte può risultare aggressivo diventa un vero e proprio strumento di lavoro: attaccare l’altro, senza  tuttavia deriderlo, può essere un modo per creare familiarità e prendere confidenza; spesso, infatti, gli amici più cari sono proprio quelli che ti senti libero di insultare e di trattare male. Gli studenti che partecipano al gruppo, inoltre, ricevono sempre un feedback immediato da parte del loro coordinatore e grazie alle sue critiche e provocazioni hanno la possibilità di crescere e migliorarsi.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Ciò che questa esperienza mi ha lasciato non può essere ridotto ad una serie di competenze tecniche  e nozionistiche;  questo perché, più che semplice tirocinante, mi son sentita membro di una realtà culturale estremamente stimolante e ho potuto godere dei suoi frutti. Le questioni di cui il Gruppo della Trasgressione si occupa sono spesso complicate ma hanno anche il fascino di rivolgersi a chiunque: mi sento quasi egoista nell’affermare che frequentare gli incontri mi ha arricchito soprattutto come persona: pensavo di andar lì ad “aiutare” i detenuti come una crocerossina qualunque e invece ho aiutato me stessa; ogni riflessione affrontata mi ha permesso di capire qualcosa sulla natura umana e su di me che prima non contemplavo e, a volte, ha avuto tanta efficacia da riuscire a mettermi in crisi.

Il Gruppo della Trasgressione è, quindi, innanzitutto un’esperienza umana aperta a chiunque abbia voglia di investire energie mentali su temi che non riguardano solo la realtà del detenuto ma qualsiasi persona. Questo peculiare tirocinio mi ha poi dato la possibilità di osservare da vicino il mondo carcerario: una realtà che molto spesso disumanizza, che mortifica l’intelligenza, che svilisce l’esigenza innata dell’uomo di costruire e di inventare, dove il proposito rieducativo poco si spende.

Di questo mondo, il Gruppo costituisce una fortunata eccezione: i detenuti che ne fanno parte hanno alle spalle o ancora stanno compiendo un complesso e lungo percorso di consapevolezza interiore, sono persone che hanno voglia di abbandonare il loro modo di comunicare prettamente “delinquenziale” in favore di una lingua nuova, quella della cultura e dell’arte, in modo che essa diventi produttiva e spendibile.

Ho inoltre trovato estremamente interessante e formativo osservare sul campo il modo di procedere spontaneo e acuto dello psicologo coordinatore del gruppo: quest’ultimo, attraverso un’approccio assolutamente fuori dagli schemi, mi ha fatto comprendere il valore dello smarrimento e della capacità di giovarsi delle proprie crisi e dei propri conflitti. Avendo avuto a che fare con un gruppo variegato con esigenze differenti, ne ho potuto esplorare le dinamiche e gli accorgimenti che servono a mantenerlo in equilibrio.

In particolare, la relazione che si crea tra studente e detenuto è notevolmente complessa: entrambi spesso non fanno altro che appagare a vicenda i loro bisogni con il minor dispendio di energia possibile: il detenuto trova una facile scorciatoia nel farsi “salvare” da un ragazzo volenteroso, bypassando un lavoro mentale che è invece necessario, e lo studente, soddisfa, a poco prezzo, la sua voglia di aiutare il prossimo e di sentirsi importante: è facile diventare importanti per chi, di fatto, è fisicamente in gabbia.

 

Abilita acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Il Gruppo della Trasgressione è stato per me  una “palestra mentale”: ho imparato ad accostarmi alle questioni di volta in volta affrontate senza preconcetti e con la voglia di mettermi in discussione; ho acquisito più familiarità con l’oggetto principale di studio del gruppo, ovvero la devianza, anche attraverso un lavoro di rielaborazione. Dal momento che la comunicazione e l’interazione sono ingredienti irrinunciabili di questa esperienza di tirocinio, ho dovuto, per forza di cose, fare i conti anche con la mia naturale ritrosia a parlare in pubblico e a esprimere la mia opinione: ho imparato l’importanza di sapersi mettere in gioco e di diventare agenti di ciò che si pensa ma anche più semplicemente, di formulare in maniera chiara e comprensibile le proprie considerazioni.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Ho sempre invidiato le persone che procedono con un obiettivo saldo davanti a sé, sicure di quello che vogliono fare e di chi vogliono essere; questo perché io sono tutto l’opposto: sono timida, insicura e nonostante spesso abbia voglia di raccontarmi, faccio fatica ad espormi perché il mio Super io esagerato non mi concede frequentemente il lusso di sbagliare. Da questa esperienza, però, ho imparato qualcosa di assolutamente fondamentale: non basta affermare la propria esistenza.

Per fare in modo che la vita non sia vissuta all’insegna della mediocrità e del compromesso, è necessario affermare se stessi in maniera costruttiva, condividendo esperienze e non temendo di mostrare le proprie fragilità; proprio come il delinquente sceglie la strada più semplice della regressione per appagare i suoi bisogni di sicurezza, così spesso mi piace crogiolarmi nella mia natura introversa e schiva senza impegnarmi veramente in un percorso di crescita ed emancipazione che, per forza di cose, implica una spesa mentale maggiore. Qualche volta, scherzando, mi definisco una persona “a lenta attivazione”: ammetto che per mettere in pratica ciò che ho imparato, un mese di tirocinio non mi è sufficiente e che il mio percorso di crescita è solo agli inizi ma posso assicurare che ci sto lavorando!

 

Altre eventuali considerazioni personali

È proprio fuori strada chi pensa a questa esperienza come un’occasione di fare una gita turistica in una realtà distante e di osservare delle creature sconosciute e mostruose, tenendosi, però, sempre qualche passo indietro rispetto alla possibilità di essere aggrediti; la trasgressione accomuna tutti gli uomini e il fatto che esistano delle case di reclusione per chi ha fatto della devianza il suo mestiere non rende meno vera l’affermazione.

Le istituzioni preferiscono spesso indossare il paraocchi piuttosto che affrontare la questione; tutti coloro che, però, sono stufi di rimaner bendati e che hanno voglia di impegnarsi in un uno sforzo mentale maggiore, sono invitati a farlo: questo è ciò che il Gruppo della Trasgressione si auspica e ciò per cui lavora.

Se la tendenza ad oltrepassare i limiti è qualcosa che ci appartiene, la questione da risolvere è come farlo senza recare danno a chi ci sta accanto e a noi stessi: una trasgressione “addomesticata” e ragionata che sfrutti la voglia di potere all’insegna della cultura e della bellezza e che si realizzi nella relazione e nella condivisione di esperienze sembra essere la risposta. Quello che il Gruppo della Trasgressione si propone di fare è coraggioso e difficile, ma proprio grazie alla sua capacità di mettersi in discussione e alla sua voglia di migliorarsi non può che lasciare il segno in chi ha voglia di ascoltare; a me personalmente, dagli incontri del Gruppo non mi capita mai di uscire indifferente: oscillo sempre tra il massimo entusiasmo e la crisi più totale; questo mi dimostra che è proprio valsa la pena intraprendere questa avventura.

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Una domenica al Coming out

Domenica 11 giugno apriamo il Coming out alla città

Abbiamo un palco dal quale parlare, giocare, suonare. Potremo comunicare le nostre idee con discorsi seri o scherzando, con i congiuntivi al posto giusto o anche no. Magari facciamo qualche pezzo del nostro mito di Sisifo e i ragazzi delle scuole che visitiamo potranno dar voce a qualcuno dei personaggi.

O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate.
(
Divina Commedia, Inferno, 2° Canto)

Forse qualcuno di loro racconterà ai presenti il senso del rapporto fra gli adolescenti e i componenti del Gruppo della Trasgressione. Detenuti, tirocinanti e tutti i componenti del gruppo avranno la responsabilità e il piacere di verificare se e quanto il nostro progetto può interessare gli abitanti della zona Barona e i cittadini che interverranno.

Probabilmente ci sarà anche un campione italiano dei pesi welter, ma nessuno darà pugni. Noi tutti, invece, proveremo a dire cosa vogliamo far venir fuori da noi stessi e dal nostro progetto comune. Di certo sarà una giornata in cui detenuti e figure istituzionali, adolescenti e insegnanti, potranno vivere la trasgressione di oltrepassare le colonne d’Ercole e verificare se, al loro ritorno, riusciranno a comunicare agli altri l’umanità e la ricchezza dell’esperienza vissuta.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza
(Divina Commedia, Inferno, 26° Canto)

Per questo avremo chi porterà musica rap e chi canterà De André, avremo chitarre e violini e tamburi. Ci saranno grigliate, pane dal carcere, le piante di Opera in fiore e la bancarella di Frutta & Cultura. Se le cose vanno come si spera, dovremmo avere i primi esponenti del Coming out.

Curiosità e arrovellamenti

Cecilia Braschi, Matricola: 788994
Corso di studio: Scienze e tecniche psicologiche
Tipo di attività: stage esterno

Periodo: dal 01/04/2017 al 30/04/2017

Titolo del progetto:
STAGE ESTERNO PRESSO “GRUPPO DELLA TRASGRESSIONE”

Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Ho svolto il mio tirocinio presso il Gruppo della Trasgressione, un’associazione e cooperativa assolutamente innovativa e fuori dagli schemi ideata vent’anni fa dal dott. Angelo Aparo, psicoterapeuta che da quasi quarant’anni lavora all’interno delle carceri milanesi. Le attività del Gruppo sono molto variegate, ma tutte finalizzate al coinvolgimento ad un pari livello di detenuti, studenti universitari, adolescenti e liberi cittadini. Il Gruppo opera con le persone che vi partecipano, indipendentemente da età, status di detenuto o provenienza sociale, studiando e interrogandosi su tutto ciò che attiene alla sfera umana e relazionale, dal rapporto con le autorità al dialogo con se stessi, dal rispetto per gli altri al riconoscimento delle proprie fragilità, dal pericolo di cadere nella mediocrità all’importanza della relazione e tanto altro ancora.

Non so se il dott. Aparo abbia una corrente psicologica di riferimento, ma se dovessi definire l’approccio teorico/pratico adottato nel corso delle attività sicuramente lo etichetterei come “apariano” e niente di più. A chi non conoscesse il suddetto metodo lo spiegherei sintetizzandolo in tre parole: curiosità, arrovellamento e schiettezza, mentre per ulteriori dettagli suggerirei di partecipare in prima persona, perché solo così si può capire davvero.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Il ruolo richiesto a noi studenti è (tutt’altro che semplicemente) quello di partecipare ad ogni attività, quale che essa sia, dando il nostro personale contributo, cercando di metterci in gioco il più possibile e avendo il coraggio di mettere a nudo le nostre fragilità davanti agli altri membri del gruppo. Quest’ultimo aspetto è forse quello che viene maggiormente incoraggiato, poiché, sebbene possa sembrare destabilizzante per la persona, nei fatti è ciò che ci fa sentire vivi e uniti gli uni agli altri: un aspetto che mi ha colpito fin da subito nei detenuti è proprio il valore che attribuiscono al riconoscimento delle loro fragilità più profonde, riconoscimento che li rende più degni di stare al mondo invece che indebolirli. Ecco, da questo sforzo non è esente nessuno di noi, ognuno deve impegnarsi a tirar fuori ciò che di più profondo possiede, perché così facendo arricchisce il gruppo ma soprattutto se stesso. In un’accezione più pratica invece potrei aggiungere che nel mio ruolo rientravano compiti quali la stesura di verbali relativi alle attività svolte e la gestione di una bancarella di frutta e verdura di cui parlerò qui di seguito.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Le attività del Gruppo sono molto varie ed in continua evoluzione: alla base ci sono le discussioni che si svolgono tutte le settimane all’interno delle carceri di Opera e Bollate e in un ATS di Milano, momenti di studio, analisi e discussione di molte tematiche tra cui quelle prima citate. Sempre più consistenti e soddisfacenti stanno diventando inoltre le attività di prevenzione al bullismo e alla tossicodipendenza svolte nelle scuole, momenti in cui i detenuti insieme agli studenti offrono i racconti delle loro storie e crescite personali a ragazzi adolescenti che hanno già mostrato qualche segno di devianza, cercando di instaurare un sano rapporto di fiducia reciproca a due scopi: allontanare l’adolescente da un mondo che lo farebbe affondare e dare la possibilità al detenuto di ripagare in parte il danno commesso nei confronti del bene comune.

Recentemente alla cooperativa è stata affidata la gestione di un terreno in zona Barona a Milano che, ripulito e vivificato, oggi ospita la bancarella di frutta e verdura gestita dalla cooperativa stessa e mira a diventare luogo di ritrovo e libera espressione per detenuti, studenti, comuni cittadini del quartiere e non, ospitando eventi ed attività legati a teatro, musica, fotografia, orticoltura ecc.; il nome del terreno, “Coming out”, indica appunto la possibilità offerta da questo spazio di “venire fuori”, esprimersi liberamente e creativamente, superare la paura di esporsi.

Altra attività interessante coltivata negli anni dal Gruppo è la rappresentazione teatrale del mito di Sisifo, che per i temi affrontati ben si adatta alle vicende dei detenuti e infatti sono essi stessi ad andare in scena insieme agli studenti improvvisando di volta in volta le parti che vengono loro assegnate, proprio perché avendone studiato a fondo i significati non necessitano di alcun copione. Infine, non perché meno importanti ma semplicemente perché non vi ho mai assistito in prima persona, il gruppo svolge diverse attività di restauro a Milano e dintorni, al fine di trasmettere ai detenuti quell’idea di lavoro come gratificazione e costruzione personale, idea che in passato molti di loro avevano rifiutato scegliendo di vivere nella mediocrità.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Nonostante lui non ami identificarsi in tale figura, il coordinatore del tirocinio è stato il dott. Angelo Aparo, il quale, al di là di ogni definizione, si è rivelato una figura a tal punto “trasgressiva”, ispiratrice e quasi comica da aver in qualche modo segnato il mio percorso di formazione in quanto psicologa ma soprattutto in quanto persona. Ciò che fa continuamente, anche partendo dalle piccole cose, è di spingerci a riflettere oltre i normali limiti e le frettolose conclusioni cui si giunge la maggior parte delle volte. Innumerevoli sono state le occasioni in cui, in seguito alla riflessione di un qualsiasi membro, lui ha risposto senza tanti complimenti “no, non sono d’accordo” e con tutta la calma e le parole necessarie ha accompagnato tutti noi un po’ più in là rispetto al punto in cui ci eravamo assestati fino a quel momento. Lui è colui che si fa ispirare dalle piccole cose, dalle semplici emozioni e dalle belle immagini dando poi vita a ciò che il gruppo concretamente fa. Il suo modo di assicurarsi la nostra partecipazione consiste nel farci “pagare il biglietto”, per citare le sue parole, ovvero stuzzicarci e stimolarci per farci sempre dare un nostro contributo personale, se questo non avviene già spontaneamente. Inoltre ci è richiesta la redazione occasionale di verbali piuttosto che di qualsiasi genere di scritto, sia esso in poesia o in prosa, che insieme alle produzioni dei detenuti vanno ad alimentare il bagaglio di testimonianze provenienti dal gruppo.

Aparo è sicuramente il motore del Gruppo della Trasgressione, ma ci si augura che negli anni abbia saputo trasmettere le sue idee a tal punto da lasciare dietro di sé una traccia che possa essere ricalcata da chi meglio l’ha conosciuto e apprezzato.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Le conoscenze che ho acquisito durante questo periodo di tirocinio sono senza dubbio molto consistenti sul piano personale, hanno contribuito e stanno contribuendo a farmi capire chi sono e solo in conseguenza di ciò imparo come dovrei lavorare in futuro. Effettivamente potrei dire di aver partecipato ad ogni incontro come ad un momento di studio da cui ogni volta sono uscita arricchita, talvolta turbata ma sempre con qualcosa in più su cui riflettere. Ora riconosco che per ascoltare e capire veramente le storie delle persone l’attenzione e l’empatia non sono mai abbastanza; che per guadagnarsi la stima e la fiducia del gruppo oltre che dei singoli bisogna impegnarsi costantemente, anche con piccoli contributi, ma cercando di esserci sempre e di farsi sentire.

Ora ne so un po’ di più di un mondo che mi era completamente estraneo, quello carcerario, ma soprattutto vedo quanta necessità vi è di rivoluzionare questo stesso mondo, promuovendo a braccia aperte iniziative come quella del dott. Aparo, alla base della quale c’è il tentativo di relazionarsi con le persone, evitando di lasciarsi ingabbiare da categorie ideologiche. Ho scoperto che chiunque può tornare indietro e cambiare, apprezzare cose che prima nemmeno vedeva e gioire di emozioni molto più semplici di quelle che per una vita ha ricercato. Inoltre ho capito che i modi che usiamo per relazionarci agli altri sono giusti solo se in linea con la persona che siamo, con il nostro modo di essere, con l’esperienza che viviamo in prima persona e che ci permette ogni giorno di affinarli.

 

Abilità acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Le abilità che sento di aver acquisito durante questo tirocinio riguardano principalmente le dinamiche di gruppo, in quanto ho potuto sperimentare pro e contro di un’attività che va avanti se e solo se è il gruppo a darle continuo carburante. Inoltre ho potuto mettere alla prova me stessa all’interno di queste dinamiche, provando tutto quel continuum di sensazioni che vanno dal senso di estraneità e inadeguatezza iniziale al sempre più forte senso di complicità che si sviluppa col tempo e la conoscenza delle persone.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Ciò che mi porterò dietro da quest’esperienza è la spinta a riflettere con più attenzione innanzitutto su di me, sulla mia storia e la mia evoluzione, individuando le fragilità che mi porto dietro per poterle meglio affrontare. Sono proprio i detenuti ad avermi mostrato le difficoltà e le soddisfazioni legate a un percorso di scoperta di se stessi: sebbene per loro si tratti di un sentiero più tortuoso e doloroso, nessuno di noi dovrebbe sottovalutare le piccole cose che ci permettono giorno per giorno di evolverci e di conoscerci meglio, presupposto fondamentale per poter lavorare con gli altri.

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Homo sum…

Cristina Brioschi, Matricola: 801356
Corso di studio: Scienze e Tecniche Psicologiche
Tipo di attività: Stage esterno

Periodo: dal 13/03/17 al 4/05/17
Titolo del progetto:
Il Gruppo della Trasgressione
Homo sum, humani nihil a me alienum puto

Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Il Gruppo della Trasgressione opera all’interno del carcere in modo del tutto singolare. Si tratta di un gruppo in cui detenuti e liberi cittadini hanno modo di confrontarsi, portando il proprio punto di vista e servendosi delle personali esperienze di vita, su tematiche di ampio respiro, come ad esempio la relazione con l’autorità, la responsabilità di ciò che si fa, la costruzione della propria libertà. Tutti possono partecipare agli incontri in modo costruttivo poiché ciascuno ha una vita che è stata portata in una certa direzione grazie alle scelte prese, ha delle spinte regressive ed evolutive che deve amministrare, ha trasgredito le regole, ha dentro di sé luci e ombre da riconoscere. Ciascuno cioè ha nella propria esperienza elementi che può mettere in campo e condividere con gli altri: ciò è faticoso, ma utile per il singolo che vuole conoscersi meglio e arricchire il gruppo collaborando con la ricerca che si fa. Questi incontri hanno luogo al SerT e all’interno del carcere di Bollate e di Opera.

Ci sono poi occasioni (ovvero gli incontri di prevenzione al bullismo e alla tossicodipendenza nelle scuole e la rappresentazione del mito di Sisifo) in cui il gruppo si mette in dialogo con la società nel tentativo di portare un cambiamento concreto. I detenuti in questi casi mettono a disposizione la loro esperienza, che comunicano a comuni cittadini e agli adolescenti delle scuole medie con delle sottolineature un po’ diverse rispetto a quel che accade in altri gruppi: in questo caso, l’obiettivo della comunicazione non è quello di mettere in guardia dalle conseguenze negative del trasgredire in modo impulsivo e disordinato, ma piuttosto ricostruire la gamma di scelte che li ha portati sulla strada della devianza e gli sforzi che oggi stanno facendo in favore della propria evoluzione. Grazie a questo lavoro, ciascuno può riconoscersi in tali spinte e rintracciarle nella propria esperienza e i detenuti si sentono parte attiva e utile di una società che in passato hanno ferito.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Non saprei dire con precisione quale ruolo ho svolto, il gruppo non ha una struttura e un’organizzazione rigida in cui è possibile sentirsi parte che dà un contributo chiaro e riconosciuto da tutti in modo univoco. Come componente, ho cercato di condividere le mie riflessioni e di partecipare con costanza ai gruppi in modo da riuscire ad avere più familiarità con i contenuti e con il livello del confronto, sempre alto e in alcuni casi difficile da approcciare.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Per riuscire ad orientarmi nelle dinamiche del gruppo e a pormi in modo costruttivo ho innanzitutto considerato con serietà i contenuti trattati e mi sono messa in discussione cercando sempre dentro di me o nella mia storia qualcosa che corrispondesse a ciò di cui si stava parlando. Sono così riuscita a cogliere più in profondità alcuni degli aspetti umani su cui il gruppo si interroga.

Inoltre mi sono impegnata nel redigere i verbali di alcuni incontri: mi è stato utile per chiarirmi i concetti trattati e per tenere una traccia dei passi fatti nell’avanzare della ricerca.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Spesso faccio fatica ad accettare e riconoscere come tale il ruolo di chi “supervisiona” su ciò che faccio negli ambiti in cui mi sperimento, lo percepisco come un intralcio alla mia autonomia, della quale sono molto gelosa. In questo caso però con il dottor Angelo Aparo (fondatore e coordinatore del gruppo nonché tutor del mio tirocinio) ho avuto meno difficoltà: ha trattato la questione come un gioco ed io ci ho trovato più gusto nel cercare un equilibrio tra ciò che voglio liberamente fare e i limiti che non posso oltrepassare… Mi sono divertita! L’ho trovato edificante per la mia crescita personale.

I modi che il dottore ha di verificare il lavoro dei tirocinanti sono principalmente la lettura dei loro verbali oppure la richiesta di una rielaborazione orale durante lo svolgimento degli incontri. In questi casi si è sempre posto con una certa severità nei confronti della trasmissione dei contenuti e della forma in cui questi vengono espressi, ciò mi ha spronata a fare sempre più attenzione ai dettagli, a cogliere le differenze e a provare a rendere attraverso le parole la complessità del reale e delle questioni trattate.

E’ successo più volte durante i gruppi che mi invitasse a dire la mia, mi è stato d’aiuto per andare un po’ oltre la mia chiusura e riservatezza solite. Ho imparato grazie a questa cosa a chiedere più spesso a me stessa che cosa io abbia di tanto segreto e inconfessabile da doverlo nascondere agli altri e da tenere imprigionato dentro di me, il risultato è che mi esprimo con più facilità, lo considero come un valore e perciò riesco ad avere meno timore di quello che gli altri potrebbero pensare o a eventuali giudizi.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Trovo difficile identificare delle conoscenze nozionistiche o circoscritte apprese al Gruppo della Trasgressione; più che altro ho acquisito molti spunti di riflessione in più sulla natura umana, sull’equilibrio tra la persona e l’ambiente circostante e sulla società in generale. Spesso mi trovo ad approcciare situazioni del quotidiano utilizzando spunti o coordinate appresi al gruppo, le trovo molto concrete come conoscenze perché vive e aderenti al reale, al contrario di molte delle cose apprese dai libri all’università.

Nel corso del mio tirocinio non ho puntato però ad acquisire un corpus di conoscenze e di risposte da calare nelle situazioni, piuttosto ho visto nascermi dentro molte domande, le trovo più nutrienti, mi spingono a continuare a cercare e sperimentare ancora.

Inoltre ho scoperto che cos’è una nevrosi.

 

Abilita acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Ho acquisito maggior fiducia in me stessa per quanto riguarda la rielaborazione dei contenuti trattati e la capacità di trasmetterli ad altri in modo chiaro. Mi sono impegnata nel riflettere sulle tematiche e nel lasciarmi interrogare, credo di essere diventata più abile nel venire a capo di questioni espresse in modo non lineare o addirittura contorto, cercando sempre di scovare l’essenza, il nocciolo.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Durante la mia permanenza al gruppo ho sfruttato l’occasione succosa del tentativo delle persone di portare fuori ciò che dentro di sé è difficile da accettare ed esporre agli altri per affinare le mie capacità di ascolto, cercando di porre l’attenzione sulle emozioni e le sensazioni che queste cose mi provocavano dentro, per stabilire una connessione diversa con chi parla e per espandere la mia comprensione. Ciò è stato possibile anche perché ho riconosciuto nei processi e in alcuni stati interiori descritti dai componenti del gruppo (detenuti e non) qualcosa della mia storia, perciò mi sono sentita simile, vicina, appartenente.

 

Altre eventuali considerazioni personali

Or ti piaccia gradir la sua venuta:  
libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.”

Grazie a questa esperienza mi si è aperta una finestra su un aspetto della società e della realtà interiore delle persone che troppo spesso non viene considerata: la libertà è soprattutto una condizione interna che dobbiamo costruire e tutelare, ha poco a che fare con i limiti fisici come ad esempio le mura del carcere. Capisco di aver avuto dentro già da tempo questa consapevolezza, certo è che poterla toccare con mano e poter andare a fondo nei vari aspetti della questione con i detenuti (i quali in molti casi nella loro vita hanno portato all’esasperazione conflitti che tutti hanno, rendendoli così più facilmente osservabili) mi ha svegliato il desiderio di prendermi cura di questa cosa dentro di me, e di combattere per un mondo che non sia di persone libere nei fatti ma prigioniere nella sostanza.

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Il mito di Sisifo a San Donato

Il mito di Sisifo a San Donato milanese
Scuola Santa Maria Ausiliatrice
Via Sergnano, 10

Qualche notizia sul nostro mito di Sisifo

www.mariausiliatrice.it

 

 

Sisifo alla villa di Giove

Marco Ghirlandi

C’è un grande parco sopra la collina. I muri di recinzione intorno sono abbastanza alti, ma non difficili da scavalcare, e c’è un viale alberato lunghissimo che dal cancello sulla strada principale porta alla casa. La villa è grande, bellissima e nel giardino di fronte all’ingresso ci sono fontane dove zampilla acqua giorno e notte. Il proprietario è un boss, anzi il boss dei boss, si chiama GIOVE; con lui vive ADE il fratello, suo braccio destro.

ASOPO è il giardiniere e tutto fare della villa, ha il compito di pulire le fontane e le piscine. Vive in una dependance con EGINA sua figlia che, come molti adolescenti, non sopporta il padre; vorrebbe fosse in un posto d’onore accanto a Giove e non un umile giardiniere. Padre e figlia litigano in continuazione perché lei rientra la notte tardi e fuma troppo.

Dopo un inverno particolarmente arido, l’acqua inizia a scarseggiare e le forniture idriche non ne danno a sufficienza per le fontane.

Giove ordina quindi a Asopo di porvi rimedio; il giardiniere decide di deviare, direttamente nel parco della villa, la conduttura dell’acqua che fornisce il quartiere di Corinto sotto la collina. Lo sfarzo del parco è garantito.

SISIFO è un piccolo boss del quartiere di Corinto, un bulletto spaccone che con il suo atteggiamento spavaldo è riuscito a diventare un riferimento per il quartiere. Tutti si rivolgono a lui per qualsiasi necessità, salvo poi contraccambiare con favori sempre più vincolanti.

La mancanza d’acqua diventa in breve un problema e tutto il quartiere pretende che Sisifo lo risolva. Con la spavalderia che lo contraddistingue Sisifo, che aveva già intuito qualcosa, promette che risolverà il problema, ma quando raggiunge la collina rimane incantato. Non aveva mai visto tanta bellezza. Decide così di tornare più volte alla villa per capire come trarne vantaggio. Trova il modo di scavalcare il muro di recinzione e di introdursi nel parco dove osserva di nascosto le feste attorno alle fontane e a le piscine.

Ora ha capito, è questa la vita che vuole fare e pensa di avere tutte le capacità per primeggiare anche fra i frequentatori della villa. Una sera mentre sta per scavalcare il muro di cinta sente Asopo e Egina che litigano come sempre. Lei esce sbattendo la porta e, mentre lei si accende una sigaretta, un macchinone che sta rientrando frena sul viale. Ne esce Giove che abbraccia Egina e la fa salire in macchina per poi dirigersi verso la villa.

Qualche giorno dopo Sisifo incontra Asopo a Corinto. Camminano sullo stesso marciapiede, Sisifo lo riconosce e provocatoriamente non gli dà il passo. Asopo si crede potente perché lavora da Giove e minaccia Sisifo dicendogli di abbassare la cresta. L’alterco sfocia in una lite; Sisifo rinfaccia ad Asopo lo spreco d’acqua nella villa, lo deride per la sua incapacità di controllare la figlia e poi gli promette di rivelargli dove è la figlia solo se in cambio riporterà l’acqua nel quartiere di Corinto. Non contento della risposta positiva, Sisifo umilia Asopo davanti a tutti i ragazzi del quartiere facendolo inginocchiare.

Quando Asopo chiede di sua figlia a Giove questi si arrabbia tantissimo, chiama suo fratello Ade e gli ordina di mandare Tanatos detto Tano il killer a uccidere Sisifo.

A Tano piace bere, lo tiene nascosto, ma Sisifo l’aveva visto una volta che era entrato nel giardino bere direttamente da un bottiglione e poi nasconderlo.

Quando Tano arriva a casa di Sisifo per ucciderlo questi lo ubriaca. Sentendosi sempre più forte e furbo, Sisifo va nella villa di Giove candidandosi come suo braccio destro e promettendogli di contribuire ad ampliarne il potere.

Giove pensa che Sisifo è troppo stupido per poter diventare un suo luogotenente, ma l’arroganza del giovane gli ricorda la sua gioventù. Decide di non ammazzarlo e di assegnargli, invece, una “missione”, in realtà una specie di vendetta che possa essere per tutti un monito e la dimostrazione di chi detiene il potere.

Lo lusinga dicendogli che potrà diventare il suo autista personale… ma solo dopo che lo avrà fatto per un po’ per tutta la “Famiglia”. Così Sisifo si ritrova a dover scarrozzare su e giù i componenti del clan e i loro parenti. Un eterno andare e venire a qualsiasi ora del giorno e della notte, senza rendersi conto che, se anche è alla guida della macchina del boss dei boss, lui rimane seduto a prendere ordini, mentre quelli che contano, compresi i bambini, sono seduti dietro a darglieli.

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