Per me che non ho mai fatto uso di sostanze e non ho mai provato il desiderio di farne uso è davvero difficile esprimere un’opinione originale al riguardo. Sono certa che la volontà abbia un ruolo determinante nel liberare la persona tossicodipendente, ma in qualche modo la volontà del tossicodipendente è inceppata. Per sbloccarla è necessario un aiuto esterno. Però, tale aiuto è a sua volta condizionato dalla volontà del tossicodipendente che, per accettarlo, si deve fidare.
Dunque la volontà e la fiducia sono due elementi fondamentali per uscirne. Credo di non sbagliarmi nell’affermare che uno appartiene alla sfera della razionalità e l’altro a quella delle emozioni, anche se non in termini assoluti. Infatti, l’esercizio della volontà, pur essendo un prodotto della sfera della ragione, non è esente da componenti e da condizionamenti emotivi e sentimentali, così come la fiducia, avvertita soprattutto a livello emotivo e sentimentale, non è esente da un processo razionale che ne legittima l’esistenza. L’intreccio è perverso. Come è pure perverso l’intreccio che si sviluppa nell’interazione tra droga come malattia e droga come scelta. Forse è lo stesso intreccio. Districarlo non è facile.
Ma perché si diventa tossicodipendenti? E qui mi si affaccia alla mente subito una parola: il vuoto. Forse dovrei dire che mi si affaccia alla mente un ricordo. Avevo appena cominciato a entrare a Bollate e tra i detenuti c’era Franco Legato. Un giorno, Legato mi disse: il dottor Aparo vuole che si portino testi per poterne parlare e per sviluppare riflessioni, ma io non posso portare un testo. Nella mia testa c’è il vuoto. Questa affermazione mi aveva fatto rabbrividire. E ieri nel dibattito è emersa più e più volte: “Mi drogo per riempire il vuoto”; “più mi drogo e più mi svuoto”.
La consapevolezza c’è, ma a quanto pare non basta per non cominciare e sicuramente non basta per uscirne. E allora ricordo anche quello che ieri ha detto Luciano per bocca di Tango: molti cominciano, perché sin da bambini vedono gente che si droga. Fa parte del panorama. E’ normale.
E allora, da ex insegnante, mi chiedo: Che responsabilità ha il contesto nell’indurre certi comportamenti, nel condurre a certe “scelte”? Possiamo ignorarlo se vogliamo affrontare il problema per risolverlo? Un’intera società si muove nella direzione quasi esclusiva del profitto. Educazione, nutrimento culturale e spirituale sono ormai opzionali quando non completamente sconosciuti o negletti. L’ignoranza riguarda anche il piano sentimentale e affettivo. Secondo me il piano sociale complica ulteriormente le cose, ma non può essere ignorato.
Nella mia pre-adolescenza e adolescenza mi sono molto annoiata, a volte mortalmente annoiata, ma non ho mai pensato, neanche per un attimo, che la soluzione potesse stare nella droga. Perché? Non credo sia una domanda banale, perché è la stessa che mi pongo quando di fronte alla responsabilità personale alcuni la esercitano e altri la negano, alcuni se l’assumono e altri la disertano.