Una porta aperta per il campione

Una porta aperta per il campione di MMA
Vincenzo Solli

Mentre mi chiedo come cominciare questa lettera, il pensiero mi porta indietro nel tempo, che percepisco fermo come un orologio che non funziona più.

Solo la fantasia può aiutarmi nell’immaginare che oggi potresti, chissà, presentarti a me con un volto che non conosco. Ho visto il tuo viso solo su alcuni ritagli di fotografie che le mie sorelle mi hanno spedito dopo averle prese da Facebook. So che sei diventato un campione internazionale di MMA, grazie alle tue zie posso imprimere nella mia mente come sei cresciuto e come sei ora; prima di quelle foto il mio ricordo era fermo all’età dei tuoi dieci anni.

Caro bambino mio, la vita ci ha separati quando avevi solo dieci anni per vari motivi che vorrei spiegarti guardandoti negli occhi. Ricordo, eri bellissimo e mi divertivo tantissimo giocando insieme, facendoti disegni e andando al parco giochi. Ricordo molto bene l’emozione che ho provato quando Dio ti ha concesso di vedere per la prima volta la luce, io ero presente quando sei nato e dopo nel confortare la mamma; ti guardavo incredulo mentre piangevi e non avevo il coraggio di prenderti tra le mani per il timore di farti male; solo in seguito ho trovato la forza di accarezzarti, e con tutta la dolcezza del mondo mi sono avvicinato al tuo minuscolo faccino dandoti un bacio sulla fronte, mentre sentivo dentro me sciogliersi tutta la tensione causata da quella lunga attesa.

Dopo aver vissuto intensamente la gioia della tua nascita, ho fatto rientro a casa, ad affrontare la prima notte in solitudine, perso nei miei pensieri. Tra una sigaretta e l’altra fumata sul balcone, mettevo in ordine il tuo lettino nuovo, guardando che non ci fosse nessuna piega fuori posto, che tutto fosse in ordine pronto ad accoglierti. Ho riposato solo un paio d’ore e al mio risveglio sono corso da te e dalla mamma.

Così è cominciato il nostro cammino di vita, io padre e tu figlio. Tutti i giorni ti penso e non perdo occasione per parlare di te con qualche compagno che, bene o male, si trova nella mia stessa situazione. Mi rendo conto, però, che il mio ricordo è fermo al tempo in cui eri il mio bambino, mentre ora sei un uomo a cui non devo fare più i disegni che ti facevo quando eri piccolo. Adesso immagino che potremmo parlare dei tuoi progetti futuri, di donne, auto, ma soprattutto dei tuoi impegni sportivi, perché ora sei uno sportivo internazionale.

Dimmi, figlio mio, come sei ora? Hai la barba e i capelli sono lunghi come i miei, sei fidanzato? Caro Nicolò, non voglio credere che tutto il nostro rapporto si concluda nell’emozionante ricordo dei tuoi primi anni di vita. Il mio unico desiderio è poterti riabbracciare e vedere l’uomo che nel frattempo sei diventato, anche se non nego che gli anni di detenzione che dovrò fare sono ancora molti. Il mio unico dolore è che, se un giorno il nostro rapporto riprenderà, io sarò diventato vecchio lontano da te; e nel frattempo lotto per andare avanti, lascio aperta la porta della speranza affinché ci possiamo nuovamente incontrare in un tempo non molto lontano.

Il tuo papy, come mi chiamavi tu, che ti vuole un mondo di bene.

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Dentro il carcere, ma non fuori dal mondo

Mi chiamo Rosario Romeo, sono detenuto e faccio parte del Gruppo della Trasgressione di Bollate. Desidero dare un mio contributo riguardo alla lettera che Vito Cosco ha scritto e poi letto all’incontro collettivo fra i detenuti del gruppo di Opera e i loro familiari.

La lettera, resa pubblica dal dott. Aparo, è stata ripresa da alcuni organi di informazione, che hanno però proposto ai lettori o ai telespettatori una visione, a mio giudizio, errata delle cose. Io non credo che con quella lettera Vito Cosco punti a benefici o a sconti di pena; se avesse voluto dissociarsi dai coimputati, avrebbe dovuto farlo durante i tre gradi di giudizio. Adesso, un pentimento allo scopo di ottenere benefici sarebbe inutile.

Vorrei anche commentare quanto ci è stato riferito sull’incontro con i familiari. Abbiamo saputo dal dott. Aparo che all’incontro erano presenti anche la moglie e i figli di Vito Cosco. Da quanto ho capito, Vito Cosco ha ammesso per la prima volta, e dopo quasi 10 anni di carcere, le proprie responsabilità davanti ai propri figli e ha criticato senza mezzi termini il proprio operato.

Io credo che questa lettera sia un punto di partenza per potersi avvicinare soprattutto al figlio più piccolo, che (è stato detto) non era a conoscenza dei veri motivi per cui il padre è stato condannato all’ergastolo. Adesso il figlio di Vito è un adolescente e il padre capisce che non può continuare a mentire sulle proprie responsabilità; anzi, Vito Cosco sa, come qualsiasi detenuto con un po’ di cervello, che, per potersi riprendere la propria pericolante funzione di padre, deve avviare col figlio una comunicazione sincera e non più superficiale ed elusiva, come peraltro gran parte dei detenuti fa con i propri figli.

Se anche può essere vero che tante volte i detenuti cominciano a frequentare il gruppo con la speranza di ottenere qualche beneficio (uscite per eventi vari, una bella relazione o addirittura un posto di lavoro), bisogna riconoscere che chi frequenta il Gruppo della Trasgressione, sulla distanza, è costretto a confrontarsi (e finisce per essere contento di farlo) con situazioni che favoriscono riflessioni e autocritiche, che diventano nel tempo sempre più sincere e profonde e che coinvolgono anche detenuti giunti al gruppo per altri scopi.

Credo che ciò che è successo al Gruppo della Trasgressione di Opera debba essere inquadrato in relazione a quello di cui hanno bisogno i detenuti per non sentirsi definitivamente fuori dal mondo, oltre che lungodegenti chiusi dentro le mura del carcere. Le cose di cui parlano i telegiornali che ho visto sono buone solo a stuzzicare appetiti insani.

Rosario Romeo e Angelo Aparo

Romeo Rosario

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Manca il pulsante rosso

di Vito Cosco, detenuto con la pena dell’ergastolo,
assistito per l’italiano e per la composizione del testo
da Alfredo Sole,
a sua volta detenuto in ergastolo.

Si può vivere una vita intera e giungere alla fine senza quasi avere rimpianti oppure, come nel mio caso, la fine del nostro ciclo vitale arriva a tutta velocità come una locomotiva impazzita che travolge tutto.

Oggi è facile avere rimpianti e potrebbe sembrare poco credibile o anche ingiustificabile averne dopo così poco tempo. Non ho giustificazioni per quello che ho fatto. Cosa potrebbe mai alleviare il dolore della famiglia della vittima?

Potrei raccontare la solita novella… sono cresciuto in un ambiente con valori sbagliati… che li spacciava per uniche verità. Potrei dire di non avere avuto scelta, di non avere potuto intraprendere una via diversa da quella che ho invece seguito…

Non è questa la visione che vorrei dare di me oggi. Vorrei poter comunicare quel che sento veramente dentro la mia anima, ma forse non conosco ancora le parole giuste per poterlo fare.

Ho un fratello più piccolo di me che commise un grave delitto e, a cose già fatte, coinvolse anche me. Mi chiedo come ho potuto oltraggiare un corpo ormai senza vita. Non ho parole e forse è ancora presto per chiedere perdono.

Lo vorrei, lo sento con tutto il mio cuore, lo sento fin dentro le mie ossa, ma sono consapevole di quest’orribile delitto. Ho bisogno di sentire il disprezzo degli altri, della sua famiglia e, se esiste un Al di là, ho bisogno che la vittima continui a disprezzarmi per non aver fatto nulla per fermare quella follia.

Sì, non riesco a perdonarmi e non credo che ci sia una pena che io possa pagare per alleviare il dolore causato. Sono consapevole di meritare questa mia non vita, so che vivrò ancora per molto tempo in compagnia dei miei fantasmi.

Oggi ho capito! I miei valori sono cambiati e cambiati sono i miei pensieri. Vorrei che ci fosse un grosso pulsante rosso da poter pigiare e, all’improvviso, il mondo che va all’indietro, all’indietro fino a quel maledetto momento, quando avrei potuto capire, rifiutarmi e, forse, se più attento e partecipe della vita familiare, comprendere quello che stava accadendo e fermarlo.

Non posso farlo, non c’è quel “pulsante rosso”, non posso cambiare il passato. Nessuno può!

Io sono qui, davanti a voi, con una consapevolezza che neanche immaginavo che un essere umano potesse raggiungere nella sua intera esistenza, invece, eccomi a smentire me stesso, i miei pensieri di una volta.

Cos’altro potrei aggiungere? Posso solo dire: eccomi, conoscete la mia storia adesso, conoscete anche me, e di me fate quello che volete.

La verità è che io sono morto poco meno di dieci anni fa, insieme alla vittima, ma ancora non lo sapevo. Adesso lo so e sono pronto ad accettare qualunque cosa il destino mi riservi o, meglio dire, ciò che gli uomini vorranno per me.

 


 

Nota di Angelo Aparo su una vicenda terribile e un’attività impegnativa

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Il Gruppo della Trasgressione

di Jacopo Galasso e Angelo Aparo

L’Associazione Trasgressione.net, fondata più di vent’anni fa dal dottor Angelo Aparo, è formata da persone con alle spalle storie di vita diverse, ma accomunate da un unico obiettivo: studiare l’essere umano, con una attenzione particolare verso colui che, arrivando dal degrado, semina nel suo percorso altrettanto degrado, abuso e morte. Lo studio è rivolto anche al tempo che queste persone spendono all’interno del carcere e al come potranno impiegare questo tempo una volta che le porte della società si apriranno.

Questo obiettivo viene perseguito attraverso una sinergia tra psicologi, detenuti e studenti; ma anche familiari di vittime, giuristi, medici e comuni cittadini, i quali settimanalmente si riuniscono negli istituti penitenziari di Opera, Bollate e San Vittore.

Il lavoro svolto all’interno del Gruppo non va inteso nel senso del classico sostegno psicologico rivolto al detenuto ma come studio delle condizioni emotive e ambientali che spingono l’uomo alla voracità di potere e al successivo cambiamento. 

In merito al concetto di potere va ricordato il convegno del 21 novembre 2018 tenuto all’interno della Casa di Reclusione di Opera (Percorsi e derive del potere), dove il Gruppo ha potuto confrontarsi con personaggi illustri, quali Paolo Finzi (direttore della rivista anarchica “A”), Lella Costa, Dori Ghezzi, Amerigo Fusco e Roberto Cornelli (docente di criminologia dell’Università Milano Bicocca).  

Questo lavoro non resta isolato all’interno degli istituti di pena ma si diffonde e si concretizza anche all’esterno del carcere, dove i detenuti del Gruppo testimoniano il loro percorso, promuovono la legalità e la sensibilizzazione; prevengono le dipendenze e il bullismo; il tutto attraverso una serie di eventi con cornici diverse.

Il 26 novembre presso il Teatro De Sica di Peschiera Borromeo sono state interpretate dalla band del gruppo, la Trsg.band, diverse canzoni di Fabrizio De André. Le canzoni erano intervallate da considerazioni da parte di detenuti del carcere di Opera, ex detenuti e figure istituzionali su alcuni dei temi che uniscono il mondo di Fabrizio De André con quello del Gruppo della Trasgressione: l’abuso, il potere, il riconoscimento dell’Altro, il rapporto con l’autorità e le microscelte che portano l’individuo ad operare sul mondo ciò che si è seminato.

Un’altra serie di incontri che ha coinvolto il Gruppo prendono il nome de “Lo Strappo”, fra i più recenti quelli a Piacenza (29 gennaio) e a Novara (25 febbraio). Lo Strappo è un progetto nato dall’incontro di persone diverse ma complementari per le finalità e rivolto soprattutto alle scuole medie di secondo grado. Obiettivo principale è l’educazione alla complessità e alla cittadinanza, partendo da una domanda precisa: cosa succede a tutti i soggetti coinvolti quando viene commesso un reato? Le figure professionali che partecipano al progetto gravitano attorno al mondo della giustizia: magistrati, avvocati, giudici, psicologi, educatori, giornalisti, polizia penitenziaria, amministrazione carceraria. Tuttavia, le riflessioni più illuminanti sembrano venir fuori proprio dall’incontro paritetico dei protagonisti più coinvolti: i familiari di vittime e i rei, i quali dopo un lungo lavoro di conoscenza, introspezione, superamento del giudizio e del rancore, accettazione, apertura verso l’Altro e il suo dolore, recupero della coscienza esiliata e obnubilata, costruiscono una parentela, una prossimità. Un mutuo soccorso che può abbattere i muri più alti, quelli della mente.

Infine il Gruppo della Trasgressione tenta di consegnare i propri approfondimenti sulla legalità e la responsabilità agli adolescenti nelle scuole superiori: luoghi dove non sono rari atti di bullismo e dipendenze. Gli ultimi incontri di quest’anno, svolti presso l’Istituto Piamarta di Milano, sono stati decisamente proficui. Infatti hanno permesso ai detenuti del carcere di Opera di ascoltare e confrontarsi con gli studenti e di aiutarli a riflettere criticamente sulle loro fragilità, interne ed esterne all’ambiente scolastico.

Uno strumento importante di cui il gruppo si serve è il mito di Sisifo che, costruito anno dopo anno al tavolo del Gruppo della Trasgressione, consente ai detenuti di rappresentare, attraverso i dialoghi fra i vari personaggi, temi quali: l’arroganza, la seduzione, il rapporto difficle con l’autorità e quindi il rapporto genitori-figli; insomma i nodi problematici che vivono gli individui più a rischio.

Gli incontri in carcere e a scuola con i detenuti hanno consentito agli studenti di analizzare e comprendere meglio le storie dei detenuti del Gruppo e ogni singolo personaggio del mito, così da poterli riprodurre a loro volta. Infatti, la giornata conclusiva all’Istituto scolastico Piamarta, ha visto questa volta gli studenti nei panni dei personaggi del mito di Sisifo. 

In conclusione va anche evidenziato che l’Associazione viene affiancata dalla Cooperativa Trasgressione.net il cui obiettivo è il reinserimento socio-lavorativo del detenuto. Grazie al Lavoro esterno (art. 21), i detenuti hanno la possibilità di uscire dal carcere per svolgere attività lavorative oppure frequentare corsi di formazione professionale. Le difficoltà che queste persone incontrano durante o dopo avere scontato la pena non sono poche. Per questo motivo la Cooperativa le affianca permettendo loro di svolgere una serie di lavori, quali la consegna di frutta e verdura a bar, ristoranti e a gruppi di consumatori associati, bancarelle rionali con gli stessi prodotti (mercato di viale Papiniano, di Peschiera Borromeo), il restauro di beni artistici, lavori di manutenzione e di piccola ristrutturazione.

Progettare e lavorare con chi ha commesso reati giova al bene collettivo e alla conoscenza dei percorsi devianti più della pena che il condannato sconta in carcere. (A. Aparo)

Il coro Zenzero a Opera

Il coro Zenzero a Opera
 di Mauro Penacca

Casa di reclusione di Milano-Opera:
Concerto con il Coro Zenzero per i detenuti del carcere.

Come spesso succede, ti presenti a fare un concerto pensando di regalare emozioni. Poi i detenuti cominciano a raccontare il loro passato e il lungo percorso di riflessione che li ha portati prendere coscienza dei loro sbagli.
Molti sono ergastolani. Raccontano di aver ucciso una, due, molte persone.

E tu ascolti, ascolti, ascolti e non puoi impedire che le loro testimonianze entrino dentro di te.

Esci dal concerto confuso, stravolto.
È chiaro che non sei più lo stesso…
E pensi: ma se io fossi il papà di un figlio che ha perso la vita a causa loro?
E se fossi il papà di uno di loro?
E se fossi il figlio di uno di loro?

Uscendo, un agente di polizia penitenziaria mi ha detto che per permettere questo concerto molti agenti erano in servizio dalle 8.00 del mattino (erano le 22.30).

Gli ho chiesto: “perché lo fate?”
La risposta è stata : “qualcuno dovrà pur crederci….”

È in questi momenti che capisci l’umanità del paese dove vivi. È in queste esperienze nascoste al grande pubblico che riconosci l’orgoglio, l’umanità e la grandezza del tuo Paese.❤

La pagina di Mauro Penacca su Facebook

La locandina dell’evento

Lo Strappo al Liceo Curie di Tradate

 

Partecipano al dibattito

  • Giorgio Bazzega, che racconta il suo percorso dopo essere rimasto orfano del padre per mano omicida
  • Francesco Cajani, uno degli autori de Lo Strappo
  • Angelo Aparo, coordinatore del Gruppo della Trasgressione

Rashomon e il Kintsugi

Rashomon e il Kintsugi

Rashomon e il Kintsugi, ovvero… come passare dall’enunciazione di punti di vista diversi, tutti contenenti brandelli di verità e di menzogna (Rashomon, Kurosawa 1950) alla tecnica del Kintsugi, una cucitura che non nasconde le fratture, ma le ricorda con un filo d’oro che evidenzia le loro linee di sutura, la nostra coscienza del passato e la comune responsabilità del presente.

*****

Qualsiasi punto di vista, anche quando viene da persone non consapevolmente capziose, risponde al bisogno di ricostruire un quadro ragionevole della realtà, ma anche (e spesso soprattutto) a quello di dare una versione degli accadimenti compatibile con l’impostazione ideologica di un determinato momento storico. Vedi le diverse dichiarazioni che su “Lo Strappo” rilasciano i vari protagonisti del documentario, che a volte risultano contrastanti già all’interno dello stesso soggetto in quanto rappresentative di diverse epoche della stessa vita.

Il pensiero razionale, anche quando apparentemente libero, non è mai esente dal bisogno di garantire a noi stessi un ruolo sostenibile nella complessità delle cose. Tenendo conto di ciò, il ricercatore scientifico non si illude di essere sulle tracce della verità ultima, ma cerca una versione delle cose che permetta di formulare affermazioni utili a governare territori sempre più ampi e inclusivi della realtà.

In definitiva, la difficoltà di addomesticare la nostra complessità è quel che ci diverte e ci ricorda il nostro mestiere di uomini. Per questo cerchiamo persone che vogliano dar voce e nome agli interpreti principali dell’iniziativa: figure istituzionali, imprenditori, familiari di vittime della criminalità, ex criminali, studenti.

Il Kintsugi non punta alla verità e non vuole ignorare la difficoltà di tenere insieme gli uomini e le idee; cerca piuttosto di connettere i cocci di una passata unità, nella consapevolezza della loro comune origine e della loro e nostra precarietà.

Alcuni testi sul tema o ad esso collegati…

Fra i nostri attuali alleati:

Sciuscia e va’

Sciuscia e và
Testo e musica di Giancarlo Parisi

Amuninni picciotti tra la vita e la morti
ca lu ‘nfernu ni spetta già;
Amuninni carusi dintra i muri rinchiusi
chi la vita non mori dda.
Amuninni ‘nnimali supra munti e canali
ca lu ciumi currennu và;
Amuninni palummi chi vulati sull’unni
ca lu ventu sciusciannu ‘nchiana e và.

Amuninni buddaci ca parrari vi piaci
ca lu tempu passatu è già;
Amuninni dutturi senza scienza né amuri
c’è cchiù mali chi verità.
Amuninni briganti chi rubati diamanti
ca lu suli vi futti già;
Amuninni criaturi chi vidisti u duluri
ca lu ventu susciannu ‘nchiana e và.


Per donazioni utili al progetto contro il bullismo

Commento di Roberto Cannavò e Angelo Aparo

Il diario di una vita futura che, se venisse letto, aiuterebbe a cambiare rotta, ma che, quando ero adolescente, non ho saputo leggere… o forse, per ignoranza o convenienza, ho letto senza dargli importanza.

Il quadro di una realtà che spinge alcuni ragazzi a idolatrare degli adulti, rimasti a loro volta infantili, in un ciclo che si ripete per mancanza di comunicazione costruttiva e di progetti.

Il racconto di chi è cresciuto senza una guida, di una rotta già segnata da altri, ma da noi seguita con la convinzione di averla scelta in autonomia… mentre si accavallavano esperienze di abusi, di potere, illusioni di una libertà non bene definita e in realtà vissuta nel delirio e, infine, il carcere.

Il vademecum consegnato agli ignoranti per indicare loro come si vive… e invece abbiamo dimostrato come si muore… in tutti i sensi… e come si uccide, attraverso la diffusione del degrado, la libertà della comunità e dei nostri stessi figli.

Come se la bellezza della vita fosse racchiusa in una fetta di pane mai assaporata, intanto che il fiume degli eventi scorre e le mura del carcere fanno maschi i bambini.

Come diciamo al gruppo, tutti gli ingredienti per fottersi e fottere la vita.

Gli occhi grandi color di foglia

La serata prende il nome da un verso di Via del campo, una delle prime e più note canzoni di De André. Una bambina e una puttana vivono entrambe in Via del Campo, tanto vicine l’una all’altra da far germogliare fiori, illusioni e speranze d’amore in chi va a trovarle. La prossimità fra l’una e l’altra c’è, ma per coglierla occorrono occhi grandi color di foglia, capaci di accettare parentele nascoste fra personaggi apparentemente incompatibili.

Scritta in collaborazione con Enzo Jannacci, Via del campo invita al dialogo con ciò che a una prima lettura sembra distante e privo di valore; la canzone è un’anticipazione del tema che rimarrà il filo conduttore di tutta la produzione poetica di De André: l’importanza della comunicazione con le proprie parti dimenticate o negate, cioè con quegli errori, fragilità, insicurezze o, come dice la canzone, con quel letame da cui possono nascere progetti e riconoscimento reciproco fra persone diverse. 

Juri Aparo dal 2005 incrocia le canzoni di De André con i temi e la ricerca del Gruppo della Trasgressione  che opera a Milano dentro e fuori dal carcere e di cui è il coordinatore.

Giancarlo Parisi, poli-strumentista, con i suoi flauti, sax e fiati etnici, ha partecipato a molti dei tour di Fabrizio de André ed è oggi leader di diverse iniziative collegate al mondo del cantautore di Genova.

Tonino Scala è un musicista eclettico e un compositore, conoscitore come pochi altri delle canzoni italiane dagli ’60 a oggi e in particolare della musica d’autore. Sue un paio di canzoni della serata.

I tre amici saranno il 25 agosto a Frigintini, vicino Modica, per un incontro musicale nella lingua che tutti e tre conoscono.