La mia costellazione

Alzo lo sguardo verso il cielo e non scorgo più la luminosità del firmamento.

Un freddo mi assale, la tenebra mi avvolge, come un serpente stringe la preda tra le sue spirali, bloccandomi il respiro.

Mi giro a dare uno sguardo indietro, vedo i miei figli allontanarsi sempre di più, comincio a dimenticare il calore dei loro abbracci, il profumo della loro pelle, inizio a vedere ombre sui loro visi.

Come gli animali vengo chiuso, il mio corpo si ribella alla mia mente che cerca di dominarlo, scalpita come un cavallo selvaggio che non vuole essere montato.

Faccio a pugni con me stesso, fino a quando nel buio della notte il mio infinito inizia ad illuminarsi e una voce mi sussurra: “solo tu puoi riempire di stelle il tuo infinito”.

Nella mia mente i pensieri scorrono come un fiume in piena. Come posso riempire il mio infinito?

Chiudo gli occhi, inizio a guardarmi dentro immaginando una tela con pennelli e colori, inizio a disegnare tre stelle lucenti nel mio firmamento, do loro il nome di famiglia; riguardo la tela, con due pennellate disegno una grande costellazione seguita da tante meteore vaganti.

È il gruppo dal quale prendo e al quale do il mio contributo. Alle volte abbiamo la soluzione sotto i nostri occhi, è così vicina e noi continuiamo a cercarla in posti sbagliati.

Salvatore Luci

L’infinito senza stelle

 

Da lavoratore a killer

Sono Cavaliere Mario, nato a Casal di Principe, Caserta, il 04/05/1972,  anch’io, come tanti altri, cercherò di darvi qualche idea di chi ero e chi sono diventato. Inoltre, faccio presente che non sto scrivendo di mia mano, ma è Santoro Mario, al quale ho chiesto se poteva aiutarmi a scrivere e lui si è prestato: io espongo i fatti e lui scrive. Chiedo scusa se non sono intervenuto sin ora, perché ho la quinta elementare, presa in un altro istituto di pena.

Per prima cosa voglio dire che mi fa molto piacere partecipare al Gruppo della Trasgressione e vi ringrazio. Vengo al dunque. Come già sapete, vi è stato accennato che io lavoravo e, a causa di un mio parente coinvolto nella criminalità, ossia clan dei Casalesi, mi sono ritrovato anch’io in una vita scelta da altri e non da me. In questo clan dei Casalesi, vi fu una spaccatura interna e gli scissionisti, riuniti in vari gruppi, iniziarono una guerra senza esclusione di colpi. Addirittura, se la prendevano anche con i famigliari innocenti pur di mantenere il loro dominio territoriale.

Un giorno venne da me questo mio parente e mi spiegò come stavano le cose: io ero diventato una preda facile per il clan contrapposto al suo. Pertanto mi chiese cosa volessi fare, se aggregarmi al suo gruppo dove potevano proteggermi oppure andarmene fuori regione per non essere colpito a morte. Fatto sta che non mi sono mai mosso dal paese e non sapendo dove andare, contro la mia volontà, mi unii a mio cugino. Con loro mi sono reso responsabile di tanti omicidi.

Ricordo il primo: quando lo uccisero mi diedero una pistola in mano e mi fecero sparare sul cadavere, dicendomi che per quella persona morta non dovevo avere alcun rimpianto poiché questa aveva deciso di uccidere me per colpire il mio parente. Ovviamente mi sentivo tutto terrorizzato, cioè, il giorno prima ero un lavoratore e il giorno dopo divenni un killer a mia insaputa.

Mi sono stati celebrati molti processi, dove ho sempre chiesto rito abbreviato e patteggiamenti. Ho chiesto scusa ai famigliari delle vittime, anche se costoro erano tutti degli associati che commettevano gli stessi reati di omicidi, e ancora oggi chiedo scusa ai loro famigliari.

Faccio inoltre presente che da quando sono stato arrestato ho sempre lavorato in carcere e non ho voluto più saperne nulla di nessuno, dissociandomi da tutti e da tutto. In sintesi, vi ho spiegato più o meno la mia vita. Qualcuno potrebbe dire: “ma perché non rivolgersi alle forze dell’ordine anziché prendere una decisione così avventata?”.

Oggi è facile pensare di rivolgersi alle forze dell’ordine, ma se si pensa che in quei tempi tutte, o quasi, le forze dell’ordine erano nel libro paga dei Casalesi, si correva più il rischio rivolgendosi a loro che a decidere. La nostra è stata una zona abbastanza calda dove perfino le forze dell’ordine erano omertose.

Prima di chiudere voglio aggiungere che mi sono divertito molto al teatro il giorno 13 giugno e per tanto faccio i miei complimenti al dottor Aparo e a tutti i componenti che vi hanno partecipato.

Vi saluto affettuosamente,

Cavaliere Mario

Percorsi della devianza

 

Disperazione e speranza

Mi chiamo Davide, ho 42 anni e sono recluso da tre anni. L’evento del giorno 13 presso il teatro del carcere di Milano-Opera, dove era presente anche Don Ciotti di Libera, mi ha fatto riflettere molto.

Per quanto riguarda l’immigrazione, penso che queste persone fuggono dalla loro terra un po’ per la disperazione e un po’ per la speranza di una nuova vita. La cosa che più mi ha colpito è che queste barche della morte vivono una nuova vita grazie al fatto che vengono trasformate in violini e questo mi ricorda tanto la mia vita.

Riallacciandomi al secondo tema, ovvero quello della droga, oggi capisco che io sono stato vittima e carnefice, ho fatto del male alla società e alle persone che erano più fragili, facendo soldi in modo facile, cosa di cui oggi pago le conseguenze.

Ma oggi,  proprio come quei barconi, mi sento una persona migliore, mi sento partecipe del progetto del Gruppo della Trasgressione, che mi ha aiutato a distinguere, a scegliere cosa fare di me stesso e a dare il mio contributo al tavolo del gruppo. Il confronto con gli altri mi arricchisce di responsabilità e mi motiva a progettare un futuro migliore.

I violini del mare contro l’indifferenza

Davide Seminara

Una serata di riflessione

Ho sentito spesso parlare del Gruppo della Trasgressione e dei tanti eventi che organizza. Già da qualche giorno si parlava di questa serata del gruppo insieme con l’associazione Libera e con la fondazione De André. Speravo potessimo partecipare e così è stato. Arrivato al teatro, ho trovato subito delle persone che conoscevo: Arnoldo Mosca Mondadori, presidente della “fondazione casa dello spirito e delle Arti” assieme alla sua assistente Greta. Mi hanno elogiato per un intervento che ho fatto alla presentazione di un libro di Giorgio Paolucci dicendomi che avevo commosso con la mia storia. Felicissimo, ho preso posto per assistere all’evento.

Arrivano gli ospiti, il dott. Aparo è stato tra i primi con Don Luigi Ciotti, Dori Ghezzi e la signora Lucilla. Da lì a poco ho capito l’omaggio al grande De André. Conoscevo le canzoni ma non che erano stati scritte su cose realmente accadute. Ascoltando le parole mi sono commosso.

L’intervento di Don Ciotti mi ha colpito molto, alla TV l’ho sentito sempre urlare per giuste cause, ma quella sera ho visto l’umanità di un uomo di Dio che si impegnava a cambiare il male con il bene.

Si è parlato dell’indifferenza e persone come il dott. Paolo Setti Carraro, la sig.ra Marisa, che sono parte attiva del Gruppo della Trasgressione e a loro volta vittime, che giustamente potevano essere indifferenti alle tematiche carcerarie e dei condannati, sono invece presenti nelle carceri per il recupero del reo.

Le testimonianze rese da alcuni del Gruppo della Trasgressione, insieme a alla musica suonata in modo speciale dal maestro Giapponese, con i violini che vengono realizzati dai barconi dove sono saliti ed hanno rischiato la vita persone più sfortunate di noi mi hanno fatto vivere una serata di speranza, di credere nella possibilità che il carcere ci offre, che forse non è solo un brutto luogo in cui si affligge la persona, ma diventa lo spazio per cambiare, realizzarsi per ricominciare liberandosi del male.

Anche se in primis dobbiamo essere noi, il vero motore del cambiamento sono le persone che si impegnano per un lavoro di riflessione con i detenuti. Ringrazio i rappresentanti e il gruppo della trasgressione di avermi arricchito di una bella serata di riflessione.

I violini del mare contro l’indifferenza

Giuseppe Giorgi

Uomini tra gli uomini

Partecipo con entusiasmo ogni qualvolta il gruppo della trasgressione ci invita ai suoi eventi. L’ultimo incontro è stato con l’associazione Libera rappresentata da Don Luigi Ciotti, con Arnoldo Mosca Mondadori, con Dori Ghezzi e la fondazione De André e  le canzoni  che rievocano fatti tragici avvenuti nella seconda meta del secolo scorso: come la “storia di Marinella” giovane donna uccisa da mani assassine e “Hotel Supramonte”, per non dimenticare quello che ha rappresentato l’anonima sequestri.

Durante l’incontro mi hanno fatto riflettere due termini a me particolarmente cari, che sono: “l’indifferenza e la metamorfosi”.

Già, l’indifferenza nelle nostre carceri. C’è un dato impressionate, che è il numero di suicidi più alto di sempre s0lo scorso anno, che è il frutto non solo dell’indifferenza ma anche di sofferenza. E allora, ben vengano persone che ci riaccendono la speranza, ascoltando le nostre grida, le nostre lacrime, le nostre ferite, la nostra disperazione e la nostra adorazione al “Dio – denaro – potere – successo – piacere” calpestando i sogni di troppi.

Sta a noi voler uscire da questo tunnel infernale, e non rimanere nella solitudine. Anche se, come scrisse Dostoevskij, «che benedisse il destino per avergli mandato quella solitudine, senza la quale non sarebbe giunto ad un severo giudizio su sé stesso».

Questi eventi ci fanno sentire uomini tra gli uomini, in nessuna sventura ci si deve perdere d’animo e avvilirsi.

Ancora Dostoevskij in “memorie da una casa di morti” «questa gente, è pur sempre gente straordinaria. Forse la gente più capace, più forte di tutto il nostro popolo. Ma queste forze possenti periscono invano …. »

lo da buon credente credo affinchè avvenga questa “metamorfosi” che basta un po’ di amore, per uscire dalla nostra disperazione, imprigionati in incubi tremendi, tornare a vivere, diventare testimoni di speranza, grazie all’amore.

Si, solo l’amore può scardinare i muri dell’indifferenza che imprigiona l’anima in una solitudine mortale. Distruggere l’angoscia di cuori impietriti dall’odio e dalla violenza, ridare speranza a chi, colpito dalle terribili sferzate della vita, giace prostrato nella disperazione.

Carlo Longo

I violini del mare contro l’indifferenza

In ricordo di Rosario Curcio

Sono dispiaciuto per ciò che è capitato, per la famiglia di Rosario, e per Rosario che ho conosciuto. Non ci sono parole per poter consolarsi o consolare  dopo un fatto così grave, e neanche incolpare le istituzioni e chiedere perché è  successo, perché non si sono accorti, non ci sono educatori, psicologi e figure che possano “prevenire” queste tragicità. Quando scatta quella molla nella testa si è imprevedibili ed è  difficile farsi aiutare.

Pino Amato

 

Mi ricordo ancora la sensazione di quando gli ho stretto la mano

Davide Leonardo

 

Sono sconvolta per questa notizia… Ricordo molto bene Rosario… E l’immensa fatica che ha fatto per iniziare ad aprirsi nel gruppo … un ragazzo speciale… o almeno a me lasciato uno splendido fragile ricordo… Quanto dolore dentro quei silenzi… Sono davvero molto, molto  turbata… E poi i media ci mettono sempre il loro inutile e pesantissimo carico… Pazzesco. Un abbraccio infinito a tutti i miei amici e a lei prof ❤️

Marina Varisco

 

Sono tantissimo dispiaciuto per la scomparsa del nostro amico rosario. Un forte abbraccio alla famiglia. colgo l’occasione per mandare un saluto a tutto il gruppo. Ciao Prof.

 Rocco Ferrara

 

Io mi sento in colpa perché Giuseppe D’Aloja mi aveva detto che stava male e io non l’ho chiamato. Sono 5 giorni che la cosa non mi lascia.

Angelo Aparo

 

Purtroppo prof non si può essere ovunque sempre e comunque. Spiace molto anche a me, ci penso molto da  quando ho saputo di questa triste vicenda, che lascia sgomenti e ammaccati, ma questa è la cruda realtà, siamo persone e in quanto tali limitati dai tempi, dallo spazio fisico e dalle mille faccende che invadono le nostre affollate giornate. Un abbraccio forte a tutti.

Antonietta Ferrigno

 

Buongiorno Prof. Volevo dirle che il più grande insegnamento che mi ha lasciato è quello di stare sempre dalla parte degli ultimi, di coloro che tutti ripudiano e respingono. Rosario vista la sua storia, rientrava sicuramente in questa categoria. Lei lo ha accolto e l’ha fatto sentire parte di qualcosa, nonostante il malcontento di alcuni. Queste cose le sa molto meglio di me, ma sentirsele dire, sinceramente, alle volte aiuta.

Un abbraccio, Davide Leonardo

 

Prof… Vorrei stringerla forte ora.  Io ho proprio ben chiaro Rosario davanti a me, ho ben chiara la storia…. Ho forte in mente la fatica di quell’uomo nell’aprirsi, i lunghi silenzi.. poi i sorrisi, il voler esser seduto a quel tavolo, la forza messa nell’iniziare a raccontarsi… Fino ad un certo punto però, c’era sempre un limite oltre cui non gli era concesso andare, c’erano state anche le lacrime… Io torno indietro di 3 anni, può essere successo il mondo dopo, questo io non lo so… Ma sono certa che lei ha portato forza e stupore nella vita di Rosario, lo ha riconosciuto… Non so se avrebbe potuto fare altro… Ma io l’ho vista fare ed essere tantissimo per lui e sicuramente anche lui ❤️

Marina Varisco

 

È facile vedere, difficile e impossibile prevedere. Ricordo con affetto Rosario, spero possa trovare la sua pace. 🌹

Kety Romeo

 

Ciao, purtroppo non sempre si riesce a fare tutto quello che si vorrebbe e a volte il cuore delle persone nel profondo nasconde malesseri insanabili.

Lina Aparo

 

Ieri ho letto su internet il suicidio di Curcio. Sono molto dispiaciuto e senza sgravare la responsabilità, anche se per lui circoscritta quasi ad una sudditanza, ritengo doveva essere più attenzionato. Quasi sempre le nostre verità, sono figlie della nostra conoscenza ma mi chiedo se la conoscenza umana corrisponde alla verità.  Il circolo di questi vari flussi è veramente complesso e l’uomo- con i suoi stati d’animo- coagula nel percorso.

Roberto Cannavò

 

Partecipo anche io al corale cordoglio ma certamente non si può  e non sempre si riesce ad arrivare a tutto e tutti.

Raffaella Repetto

 

Anche se non ho conosciuto Rosario, lo porto nel cuore assieme ai suoi familiari e condivido il dolore del prof Aparo e di tutto il gruppo Trsg. Di fronte a questo dramma rimango in silenzio perché misteriosa e sacra è ogni persona… a volte si vorrebbe esserci per ogni persona che ci sta a cuore in ogni istante per sollevarla dalla solitudine e oscurità che certi momenti o periodi ci assalgono… Sono certa che anche in ciascuna di queste morti dove sempre prevale -per Grazia- l’impotenza umana, il Signore invece arriva e se la carica sulle spalle per portarsela a casa Sua. Amen!

Suor Anna Donelli

 

Non sappiamo perché sia accaduto, ma è terribile quello che è accaduto, è terribile ma non incomprensibile. Rosario aveva commesso con altri un delitto orrendo e la sua cattura prima, la sua presa  di coscienza, il suo dichiararsi colpevole, l’aver ammesso il reato, l’aver cercato il perdono e la redenzione non sono bastati.

Il peso della colpa, il senso di colpa, la ricerca di un  qualche senso nella continuazione della vita, da ergastolano, la famiglia ed il figlio, non sono bastati, non sono stati sufficienti. Troppo il peso, troppo il passato, troppo il presente con la lontananza dai cari, con la colpa sempre sulle spalle; che la terra gli sia lieve.

E questo a cosa servirà e questo a noi servirà?

Luigi Negrini

Come fa a chiamarmi papà? di Rosario Curcio

È comodo

È comodo dire che è sempre colpa degli altri.

È comodo credere di avere più diritti degli altri, quindi più potere.

È comodo pensare di meritare più potere, quindi permettersi di prendere i diritti degli altri.

È comodo abusare, anche solo a parole: alzare la voce, non ascoltare, fuggire dal confronto.

È comodo negare all’altro la possibilità di farsi conoscere, di esprimersi, di essere: se l’altro non lo conosco non esiste, o se esiste lo fa come decido io nella mia testa. E nella mia testa vinco sempre io.

È comodo pensare che voi siate tutti degli scarti.

Il Gruppo della Trasgressione si chiama così perché si diverte e si impegna a pensarla diversamente.

Per fortuna o per sfortuna, però, esistono delle regole anche per trasgredire, altrimenti è troppo facile crederti tu l’unico paladino della giustizia, della tua giustizia, creata da te, solo per te.

Oltre te però c’è l’altro, lo stesso altro che ti tende una mano non per beneficenza o per desiderio di una coscienza pulita, ma perché crede in un progetto comune: dare un senso al vostro tempo qui, rendere il carcere utile, un posto che faccia crescere le persone invece della loro rabbia.

Quella mano tesa è pronta ad accogliere una mano volenterosa, una mano attiva, non una mano svogliata, non una mano che si comporta da pugno, non una mano pronta a mollare la presa perché vuole solo prenderti in giro. Decidete voi a chi assomigliare.

Quella mano tesa è una Chiamata all’impegno e alla responsabilità. È una Chiamata al fare la tua parte, che però puoi fare solo se sai qual è la parte dell’altro.

E da che parte sta l’altro, cosa pensa, cosa vuole fare, come vuole collaborare e crescere con te, lo scopri solo se lo lasci parlare, se lo ascolti, se non fuggi per paura di qualcuno che ti vuole aiutare solo se ti impegni anche tu, soprattutto tu.

Esisti solo se l’altro ti riconosce, quindi solo se tu lo riconosci.

Vivi davvero solo se lo rispetti.

Elena Tribulato

Reparto LA CHIAMATA

Strumenti da un legno vecchio

L’evento che si è svolto al teatro il 13 giugno è stato molto emozionante: ero molto curioso perché era la prima volta che assistevo ad un evento organizzato dal Gruppo della Trasgressione, poi c’erano altre associazioni come Libera e la Fondazione De André, rappresentata da Dori Ghezzi.

Mi è piaciuto ascoltare gli interventi di Don Luigi Ciotti e di Dori Ghezzi, hanno parlato a favore dei detenuti che hanno il diritto di essere reinseriti nella società e avere nuove opportunità per cambiare vita e per questo devono essere aiutati e coinvolti nei vari progetti di recupero.

C’era il maestro giapponese che suonava il violoncello costruito con il legno dei barconi recuperati dopo i naufragi dei migranti, molto bravo a suonare lo strumento e anche il resto della band: erano tutti molto abili nell’eseguire le canzoni del cantautore De André. Il dott. Aparo che con la sua voce ha cantato le più belle canzoni di Fabrizio e devo dire che ho provato a chiudere gli occhi e mi è sembrato di sentire la sua voce, molto bravo.

La serata era in un certo senso l’inizio di un percorso e il simbolo di questa rinascita era proprio il violoncello, già perché dimostra che dal male può nascere il bene e, se ci si impegna tutti insieme, si possono fare anche le cose che sembrano impossibili, come da un legno vecchio e inutile possono nascere strumenti musicali dal suono perfetto. Se si vuole si possono anche recuperare le persone e renderle migliori.

Molto belli gli interventi dei ragazzi che fanno parte del Gruppo della Trasgressione: Nunzio, Sergio, Francesco, Pasquale e gli altri di cui non ricordo il nome; parole di cambiamento e voglia di riscattarsi dopo anni di introspezione.

Spero che ci saranno altri eventi con altri strumenti musicali e tante persone con lo spirito giusto per dare una possibilità a persone come noi affinché possiamo ritornare nella società e vivere in modo responsabile.

  Johnny Buongiorno

I violini del mare contro l’indifferenza

Una stella anche per noi

L‘evento del 13 giugno 2023 al teatro di Opera

Sono Schirripa Rocco, detenuto in questo istituto da 8 anni e mi piacerebbe fare una riflessione sulla serata trascorsa al teatro il 13 giugno 2023 organizzato dalla direzione, dall’associazione libera, dal gruppo della trasgressione e da Mondadori.

Mi ha fatto piacere che a sorpresa hanno fatto scendere anche chi non è inserito nel Gruppo della Trasgressione; è stata autorizzata a partecipare tutta la sezione (cosiddetta a trattamento avanzato). lo sono uno di quelli che non fa parte del gruppo della trasgressione.

Devo dire con molta franchezza che sono rimasto piacevolmente sorpreso che si è parlato dell’indifferenza. Quello che mi ha colpito di più è stato sentire suonare quel violoncello, ricavato dal legno di quelle barche naufragate nel nostro bellissimo mare Mediterraneo, dove da parecchi anni stanno morendo troppe persone per l’indifferenza di tutti noi.

Sentire il suono del violoncello è come sentire un grido di aiuto di chi in quel momento stava annegando. Ecco! Qui, sì che c’è indifferenza… in questo caso, non tanto la nostra personale, ma di chi è al potere e ha il dovere di fare qualcosa per far sì che questo non accada; fino ad adesso abbiamo sentito solo belle parole quando succede l’irreparabile, (ci indigniamo quando vediamo i morti sulle nostre spiagge) e poi non si fa niente! E questi poveretti tutti i giorni continuano a morire.

Mi è piaciuto sentire le canzoni di Fabrizio De André, ma ancora di più mi è piaciuta l’interpretazione e la gradazione che ha dato il coordinatore del Gruppo della Trasgressione.

Devo dire che ho apprezzato molto il discorso di Don Ciotti, ammetto che io avevo qualche pregiudizio, percepivo che “ce l’avesse” con il mondo intero e in particolare con noi detenuti, ma, mi sono ricreduto quando l’ho sentito dire delle belle parole su di noi e sulle nostre famiglie.

E quando senti una persona come Don Ciotti che invita a non mollare e che c’è una stella che luccica pure per noi… Sembrerà strano, ma dopo quella sua affermazione, persino uno come me, che ha un fine pena mai, quella stella la sente più vicina.

Schirippa Rocco

I violini del mare contro l’indifferenzaL’infinito senza stelle

Gli altri raccontano di sé e io capisco me stesso

L’impatto che ho avuto la prima volta con il carcere credo di averlo già un po’ scritto, ma sarò più dettagliato. La prima emozione è stata di paura, non sapevo cosa mi sarebbe successo, se essere picchiato dagli agenti stessi o dai detenuti per il reato commesso. Durante il tragitto per arrivare al carcere capii subito che era un posto isolato, ai margini della società.

Credo che il carcere sia il posto peggiore dove stare se si vuole stare soli. Appena arrivati, all’interno del carcere notai subito il cancello chiudersi e la realtà divisa in due pezzi: da una parte la felicità, come una foto di una spiaggia paradisiaca; dalla parte, dove ero io, non era una spiaggia ma una struttura cupa, piena di povertà e tristezza.

Entrato, dopo le pratiche di burocrazia, fui controllato, spogliato e dovetti fare persino dei piegamenti come se avessi qualcosa da nascondere, pur se la mia situazione era nota. In pratica, sin dall’inizio ti tolgono dignità e se chiedi spiegazioni la risposta è sempre la stessa, in primis dicono che è la normativa.

Una volta conclusa questa fase, fui spostato nel reparto di osservazione, furono giorni di desolazione con un logoramento interiore. In quei giorni mi frullava in testa un unico chiodo fisso cioè l’unica via di fuga per il mio pentimento; pur perso nella desolazione, escogitai, se così si può definire, un piano per il raggiungimento del mio scopo, il suicidio. Non sapendo neppure cosa fossero gli psicofarmaci, me li feci prescrivere in modo da averli per poi prenderli tutti; aspettai il giorno decisivo.

Quella sera, aspettai che le guardie facessero il giro e cercai di sfuggire agli sguardi del mio compagno di cella, Quando si spensero le luci mi rifugiai in bagno, iniziai a versare lacrime di disperazione e allo stesso tempo anche di liberazione: finalmente sarebbe finito tutto, tutto il dolore che avevo causato. Presi coraggio mandando giù le pillole e feci una corda, ma si spezzò. Subito dopo giunse l’appuntato che si accorse di tutto, anche delle lettere di addio che avevo scritto prima.

Sfortunatamente per me, il destino, la fortuna o qualcuno dall’alto, aveva deciso che non era il mio momento. Dopo quel fatto, qualche giorno dopo l’isolamento, fui trasferito a San Vittore. Ormai non prendevo in considerazione la possibilità di un riscatto positivo, tanto che anche qui, all’inizio, non pensavo ad altro che a tagliarmi le vene con una lametta da barba. Continuai a passare le notti in lacrime ma stranamente non avevo più il coraggio di suicidarmi.

Nel nuovo carcere trovai una serenità, era strano per me concepire di apparire un “detenuto modello” dopo quello che avevo causato, credo che abbia giocato a mio favore il fatto di essere sincero con me stesso e con gli altri.

A questo punto vengo a contatto con volontari, educatori e psicologi che ogni volta che guardavano i miei documenti, la mia storia, intravvedevo nei loro occhi dello sconcerto, mi guardavano come se si chiedessero “ma davvero ha fatto questo” e, anche se non era verbalizzato dentro di me, scavavo una buca ancora più profonda.

Ma la spinta determinante a intraprendere un percorso è nata dalla mia partecipazione a moltissime attività, con l’ascolto di tante persone diverse e con la voglia di riempire il mio bagaglio, di acquisire termini, concetti, ragionamenti e argomenti su cui poi riflettere. Non solo la mia conoscenza si sarebbe ampliata ma anche le mie relazioni ne avrebbero avuto un giovamento.

È stato il confronto con il gruppo “a farmi capire” che per andare davvero fino in fondo non sarei potuto sfuggire dal fare i conti con me stesso. Ancora non ne ero consapevole, ma quello è stato l‘inizio del percorso di cambiamento di me stesso. Ogni volta che nel gruppo si racconta di qualcosa di Sé, prendo più coraggio e capisco qualcosa in più sul mio passato.

Hamadi El Makkaui

Reparto La CHIAMATA