Mi manca una guida

Mi manca una guida,
Che mi sgrida
Che mi sorrida.

Da solo dove vai?
Magari dai burattinai,
Dove diventerai
Ciò che non sei stato mai.

Reparto La Chiamata  – Inverno e Primavera  –  Officina Creativa

Gabbie personali

Vivo da una vita
In una gabbia
Fatta di rabbia
Che mi annebbia
Come sabbia

Negli occhi miei.
Il dolore mi assale,
il dolore non è mai banale
è qualcosa che mi suscita
una furia animale.

Ma nessuno mi sente
E nessuno mi vede
E allora mordo, delinquo
E dunque sono.

Ma ora, ora che ho perso,
Rimango solo a parlare con me stesso.
Finalmente me lo sarei concesso.

Ma qui in carcere mi sento oppresso,
Per farmi stare quieto
mi danno tranquillanti,
Ma ho capito che è il Progetto
l’unica terapia di successo

Reparto La Chiamata  – Inverno e Primavera  –  Officina Creativa

La vita è un’altalena

La vita è un’altalena
Che mi culla,
che mi aliena,
aiuto, frena!

Questa maschera che indosso
mi incatena!
È tutta una messinscena
per nascondere la mia vera pena
di sentirmi da sempre inadeguato,
non stimato,
non amato.

Reparto La Chiamata  – Inverno e Primavera  –  Officina Creativa

La Chiamata al carcere di San Vittore # week 8

Il talento di pensare (penso dunque sono)

“In séguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sí da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini. – Vedo, rispose”. (Platone, Repubblica, 514 a-b)

Reparto LA CHIAMATA

Gli occhi parlano

È tra gli occhi dei giovani detenuti che oggi mi ritrovo; quegli occhi così tanto acerbi che rendono difficile pensare che possano essere di già testimoni di orrori vissuti e sbagli commessi.

Attraverso quegli sguardi ho scorto fragilità, paure, limiti, dolore, caratteristiche che accomunano tutti gli esseri umani, eppure, se contestualizzati nella stanza a sinistra, in fondo ad un corridoio lungo e scarno, acquisiscono una intensità più consistente.

Penso, sono solo dei ragazzi.. ragazzi che hanno commesso reati per i quali le loro esistenze saranno segnate per sempre, ma sono comunque ragazzi i quali, una volta riconosciuta la responsabilità relativa agli errori compiuti, potranno permettersi di guardare al futuro con occhi diversi, arrivando a concepire la pena inflitta come possibilità di redenzione. Perché se è vero che questi giovani oggi smarriti vivono in preda alla fragilità esistenziale che avvolge totalmente le loro menti, è altrettanto vero che possono imparare a riconoscere dove hanno peccato.

D’altronde, entrano in carcere nel periodo in cui ci si accinge ad erigere quella che successivamente diventerà l’identità adulta. Non sarà evidentemente possibile ripartire dal punto zero, ma è ancora possibile una loro evoluzione attraverso il riconoscimento e l’accettazione di ciò che ha portato all’errore, arrivando anche a fare proprio il naturale timore che il rischio dell’ignoto comporta e scegliendo di ricominciare da se stessi.

Affinché questo processo possa attuarsi penso sia necessario guarire emotivamente, provando e acconsentendo a sapersi perdonare.

Lo smarrimento trapelato dal loro modo di comunicare è stato forte tanto quanto il timore e la voglia di volersi imporre, di voler esistere. La mancanza di ossigeno era viva quanto la ricerca stessa di aria pulita, della quale probabilmente da tempo avvertono l’assenza.

Forse in questo modo, quei sentimenti imprigionati possono finalmente essere liberi di germogliare; il delirio e l’onnipotenza ricercati e poi saggiati con feroce voracità potranno lasciare il posto al perdono ed alla richiesta di aiuto.

Gli intenti di questi giovani detenuti sono privi di dietrologie; quello che prevale è piuttosto l’esplosione dell’impulso che porta alla devianza.

Personalmente, posso dire di aver percepito una differenza sostanziale con i detenuti adulti: per questi ultimi ciò che predomina e risalta è la consapevolezza e l’accettazione della condizione che si sta vivendo; mentre per i giovani, pur pervasi dalla paura di quello che prima o poi per forza di cose sarà, prevale l’intenso desiderio di riprendere tra le mani quello che in questo momento manca loro più di ogni altra cosa, la vita.

Giorgia Olivadese

Reparto LA CHIAMATA

Saldare la terra con il cielo

Una toccante intervista nella quale Luigi Ciotti fa un cenno alla sua Chiamata e ci esorta – come è solito fare, con una espressione che trovo sempre di straordinaria efficacia- a “saldare la terra con il cielo“.

Verso il 21 marzo….

Un’altalena in cerca di albero

Questo “assegno” nasce da un debito nei confronti del gruppo. Sento di aver ricevuto tanto e di aver dato poco. Sicuramente non basterà ad andare in pari ma ho deciso di raccontare una breve storia, che poi è la mia storia. Sono contento di constatare che, attraverso vie per me non sempre chiare e comprensibili, si stia formando un gruppo di pari, uno spazio dov’è possibile parlare, confrontarsi, condividere pezzi di interiorità attraverso l’incontro/scontro di idee, visioni del mondo, esperienze di vita diverse. È molto arricchente e vi ringrazio. Ecco il mio piccolo racconto dal titolo:

Un’altalena in cerca di albero”

Non si capisce bene dove si svolga la vicenda né chi siano i personaggi. La notte è appena giunta al termine e già si intravede il crepuscolo mattutino. Un’ombra spunta dall’orizzonte. Sembra un’automobile. Ma no, è troppo squadrata e piccola. Un mini-frigo forse? No, è una semplice asse di legno. No, no a guardarla bene è qualcosa di più, un’altalena forse? Sì, direi proprio che è un’altalena quella.

Dopo aver dondolato per un po’, l’altalena si ferma davanti a delle alte mura. Ecco che intravede un massiccio portone di bronzo semi aperto. Entra. Improvvisamente le mura scompaiono come per magia e si trova immersa in un grande campo. Pensa: “che bel campo, mi stabilirò qui”. Con il passare degli anni l’altalena si accorge che in realtà il suo campo non è poi così accogliente: è pieno di pietre, erbacce e rovi; le raffiche di vento sono continue e rovinose. Ha bisogno di un luogo sicuro dove legare le sue funi.

Un giorno finalmente intravede una possente quercia con una chioma molto rigogliosa, è proprio lì in un angolo. Era sempre stata lì ma lei non era mai riuscita a vederla, per quanto si sforzasse di guardare. Quella quercia diventa per l’altalena rifugio, luogo sicuro dove aggrapparsi e dove poter riposare dalle fatiche del campo. Questo è l’albero sul quale aveva sempre desiderato attaccarsi.

Un giorno quell’albero fu colpito da un fulmine e si incendiò velocemente. L’altalena uscì viva dalle fiamme ma era di nuovo in cerca di un albero. Vagava dondolandosi su e giù senza una meta in balìa dei venti e incontrava spesso sul suo cammino degli avventurieri che, passando, la spingevano forte, non curanti che in fin dei conti era solo un’altalena. Ogni tanto qualche bimbo decideva di salirci sopra e giocare. Lei era contenta perché si sentiva utile e donava loro un sorriso. Quei sorrisi le davano forza. Sì, la forza di darsi la spinta e tendere di nuovo verso un nuovo albero. Sapete però come sono fatte le altalene: più spinta dai in avanti e più ricevi una spinta uguale ma contraria verso l’indietro. Per l’altalena era molto frustante vedere come, appena tentasse di toccare con la punta della sue assi i rami più esterni di un albero, subito si attivasse il moto che la spingeva indietro, non al punto di partenza ma ancora più indietro!

Passarono gli anni e i tentativi dell’altalena proseguirono con gli stessi scarsi risultati. Un bel giorno, stanca di tutto questo dondolare e con un forte capogiro decide di fermarsi e di riflettere. Che cosa stava facendo? Aveva davvero bisogno di un nuovo ramo? Per la sua natura era in grado di darsi una spinta che non la facesse ritornare indietro? Aveva passato così tanto tempo a cercare un nuovo albero da non sapere più se fosse davvero necessario trovarne uno.

Si rese conto che il suo animo aveva ricevuto tutto il nutrimento necessario per affrontare il campo, che ora poteva proseguire da sola. Non restava che accettare la sua condizione di perenne dondolio: le altalene non sono fatte per stare ferme una volta per tutte, neppure sulla quercia più bella del campo. Nei momenti difficili, sapeva che poteva sempre pensare a quella vecchia quercia che l’aveva salvata ma che non aveva più bisogno di averla come sostegno. In fin dei conti, era già stata un’altalena tanto fortunata ad incontrarla.

Pensò: “Forse la vera condizione delle altalene è quella di dondolare infinitamente ma tutte le altalene dovrebbero poter trovare nella propria strada un albero come il mio a cui tendere, un albero da cui tornare, dove ricevere il nutrimento dell’anima, nutrimento che dà forma a quell’insieme di valori, affetti, pulsioni del cuore e tensioni della mente che chiamiamo interiorità. L’interiorità che ci rende altalene”.

Gabriele Ambrosio

Reparto La Chiamata

 

La Chiamata al carcere di San Vittore # week 7

Pausa.

A volte non sono i tre minuti di musica e parole a contare. A volte sono le pause, i silenzi. Quell’istante prima, quell’istante dopo che ci rapisce, che ci riconduce per mano al senso di tutto” (Massimo Bisotti, Foto/grammi dell’anima)

Reparto La Chiamata