Fragilità e cooperativa

Adriano Sannino

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

Un terreno fertile

Eleonora Mauri

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

Il mio rapporto con il limite

Antonio Torretta

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

Una seconda possibilità

Linda Rossi

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

La voce dell’adolescente

Roberto Cannavò

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

Incontri e nuovi orizzonti

Arianna Picco

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

Gli obiettivi della pena

Olivia Ferrari

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

Atiqullah, l’afghano

Ricordo quel suo sguardo gentile. Si chiamava Atiqullah e veniva dall’Afghanistan, da cui era scappato per non soccombere alla tracotanza dei Talebani.

Così mi era parso di capire da quelle comunicazioni faticose cui ogni tanto non mi sottraevo. Ne coglievo l’importanza per loro. Erano comunicazioni basate sulla conoscenza di pochissime parole e che avvenivano a gesti, sguardi, espressioni facciali, qualunque cosa servisse a procedere nel cogliere il senso o a farlo credere.

Insegnare italiano a un gruppo di giovani uomini provenienti da svariati paesi, africani e asiatici, si stava rivelando un’esperienza estrema. Il contatto, prima di essere linguistico, era umano. I ragazzi che avevo di fronte provenivano da un altro mondo, nel senso letterale del termine.

Avevano nel cuore la nostalgia per gli affetti lasciati e per una terra ancora in gran parte immersa in una cultura atavica, per lo più pastorale. Avevano nella mente la violenza cui non si erano sottomessi ma che avevano dovuto rivolgere contro se stessi per non colpire altri. Erano spaesati.

Atiqullah in particolare. Era analfabeta nella lingua madre e nessuno più di lui seguiva le lezioni di alfabetizzazione in cui, oltre a imparare a parlare, poteva finalmente impadronirsi del segreto che ciascuno dei grafemi proposti racchiudeva.

Un giorno, intorno alla Pasqua, mi chiese dove poteva procurarsi una pecora, perché avrebbe voluto prepararla lui e mangiarla insieme con i propri connazionali. Mi mostrò la foto del suo ba-ba (papà) a cavallo di un asino in aperta campagna. Dalla foto l’uomo sorrideva mite, come nella realtà mi sorrideva suo figlio Atiqullah.

Poco dopo scadeva il permesso di permanenza in Italia e Atiqullah proseguì per la Germania, paese verso cui intendeva dirigersi fin dall’inizio, portando con sé un fratello diversamente abile che era riuscito in qualche modo a proteggere.

Non l’ho dimenticato. Non so più niente di lui. Non sono riuscita a procurargli la pecora, ma sono contenta di averlo iniziato alla lettura e alla scrittura. Forse, grazie a me, la permanenza in Germania gli sarà risultata meno gravosa e la permanenza nel consesso degli uomini meno straniante.

Una linfa vitale

Elisabetta Vanzini

Le interviste del Gruppo della Trasgressione

Il male si può arginare, il bene no!

di Elisabetta Cipollone
Elisabetta Cipollone al TEDx di Barletta

L’altro guarirà, non perché gli hai detto il suo errore, ma perché, mentre parlavi, ha sentito il tuo amore e gli è venuta nostalgia anche a lui di amare
Don Oreste Benzi

Sono una mamma che ha perso metà del suo cuore in un gelido pomeriggio di quasi dieci anni fa. L’ho seppellito lì, insieme ad Andrea, sotto qualche manciata di terra. Vittime noi, privati del suo amore, Vittima lui, portato via dalla scelleratezza umana di chi non rispetta la vita con il suo valore inestimabile, con la propria preziosissima unicità.

Sono una mamma che da quel preciso e dolorosissimo momento ha dovuto compiere la scelta più difficile ed affrontare la sfida più ardua: tentar di vivere.

Tentai di vivere dunque e facendolo vinsi diverse battaglie. Con tenacia ottenemmo l’istituzione di una nuova fattispecie di reato per gli omicidi stradali. Con forza inseguii il sogno di mio figlio Andrea e in Africa, da allora realizziamo e continuiamo a realizzare pozzi profondi per l’accesso all’acqua potabile per popolazioni rurali massacrate da siccità e carestia. Ad oggi ne esistono già 30.

Però i conti continuavano a non tornare. Nulla colmava il vuoto e nulla placava l’ira. Ero arrabbiata, aggressiva. Sentimenti negativi che si erano impossessati di me e mi avvolgevano in una spirale che soffocava la mia anima e tutti coloro che mi stavano intorno.

Ad un certo punto del mio cammino in salita arrivò l’incontro con la realtà carceraria e i detenuti del carcere di massima sicurezza di Opera. Allora pensai si trattasse di pura casualità. Ma ora so perfettamente che nulla accade per caso e tutto si incasella nella vita come tessere di un mosaico predefinito. Fu così che venni coinvolta in un progetto di giustizia riparativa di respiro internazionale, che accettai senza esitazione e senza neanche troppa convinzione. Non sapevo e non potevo prevedere che quell’incontro potesse diventare importante e fondamentale affinché io virassi la direzione che stava assumendo la mia vita.

I detenuti, le loro storie, il loro quotidiano dietro le sbarre. Trovai occhi pieni di lacrime e trovai solidarietà. Trovai dolore rendendomi conto che siamo due facce della stessa medaglia.

Senza buonismo inutile, tentiamo da allora di camminare insieme e di curarci le ferite entrando l’uno nel patimento dell’altro, sicuri che da qualche parte troveremo la luce delle nostre rinascite. Senza giudizio e senza pregiudizio. Mai dimentichi del passato. Il mio colmo di un dolore subìto. Il loro, di un dolore provocato.

Nacque così per me una attività di volontariato quasi totalizzante che mi appassiona e mi pone dinanzi a continue sfide e continui obiettivi da raggiungere.

Collaboro da anni con il progetto Sicomoro, dapprima come Vittima, successivamente, dopo essermi opportunamente formata, come mediatore, e portiamo nelle carceri di tutta Italia una attività di giustizia riparativa che mette a confronto vittime con autori di reato. Un confronto duro e doloroso che però produce veri e propri miracoli, poiché entrare nel cuore anche del peggiore dei detenuti permette di conoscere l’uomo e ciò che ha condotto al percorso criminale e con la conoscenza si stemperano odio e rabbia e nascono nuove relazioni.

Con il “Gruppo della Trasgressione” incontro successivamente un’altra meravigliosa e virtuosa realtà presente ormai da 23 anni nelle tre carceri milanesi. Da quasi tre anni collaboro anche con questo progetto, con il Dr. Aparo, psicologo di lunghissima esperienza, che del gruppo è fondatore e direi forte motivatore.

Innumerevoli ed estremamente importanti le attività proposte dal gruppo e che seguo sempre con rinnovata passione. Dal mese di settembre, il Comune di Milano ha assegnato al gruppo una sede in Via Sant’Abbondio nella quale organizzare le varie proposte culturali ed educative, sempre volte alla progressiva emancipazione dall’identità deviante, e che portino giovamento anche al quartiere che lo ospita.

Si è in procinto di partire con attività di supporto alla popolazione anziana, e ben presto la nostra “Squadra anti-degrado” proporrà incontri a tema in sede ma anche nelle scuole secondarie e negli atenei per la prevenzione al bullismo e ad ogni genere di dipendenza.

Insomma, un fermento continuo ed un laboratorio permanente che, sottraendo manodopera alla criminalità, ha e avrà sempre un solo obiettivo: cambiare il corso della storia e rivoluzionare ogni stigma affinché Caino e Abele riescano a dialogare e a collaborare affinché da quel dialogo nascano nuovi equilibri.

La Vittoria chiara ed inequivocabile del Bene sul Male perché, come sono solita dire e come è sotto gli occhi di tutti
“Il male si può arginare ” ma il bene no!
Il bene una volta innescato, provoca una reazione a catena tesa all’infinito, inarrestabile e incontenibile!

Grazie Andrea per avermi indicato la strada che ora sto percorrendo.

La tua mamma

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