Venti alberi per Bollate

Gli alberi del Rotary club Milano Duomo a Bollate

Giovedì 22 marzo 2018, nelle ore 10:30-12:00, all’interno della seconda casa di reclusione di Milano Bollate, verranno piantati nelle aree adibite al passeggio dei detenuti 20 alberi che il Rotary Club Milano Duomo regala al carcere di Bollate. L’iniziativa ribadisce la mission del Rotary di promuovere ovunque possibile equilibrio e benessere e conferma l’intesa che già da diversi anni esiste fra Rotary Club Milano Duomo e il Gruppo della Trasgressione.

Le zappe per le buche dove piantare gli alberelli sono già pronte; giovedì mattina alcuni detenuti dei due gruppi della trasgressione (maschile e femminile) attivi nel carcere di Bollate verranno affiancati nel lavoro dai componenti del Rotary che parteciperanno alla cerimonia. Per l’occasione, accanto al lavoro di zappa, verranno letti alcuni testi che parlano di errori, di alberi e di vite da ricostruire.

Il motore ad anidride carbonica

Al Rotary club Milano Duomo

Il motore ad anidride carbonica
Ilaria Mortarini

Sono passati 15 anni da quando il dott. Angelo Aparo ha paragonato il gruppo di cui è fondatore a un “motore ad anidride carbonica”. Proprio come un albero, che per vivere assorbe ciò che è di scarto per l’uomo dando indietro ossigeno, il gruppo della trasgressione vive cercando di ottenere dal malessere, dal danno e dalla storia di ogni detenuto qualcosa di utile per la società.

Chi ha avuto la possibilità e la fortuna di poter partecipare a questo grande progetto, infatti, dopo aver preso coscienza di sé, e grazie alla collaborazione fra le scuole della provincia di Milano e il nostro gruppo, partecipa a iniziative utili a prevenire e combattere il bullismo fra gli adolescenti.

In questo modo si crea una possibilità di riscatto per chi, consapevole dei propri errori, ha ancora desiderio di rimettersi in gioco e di diventare una risorsa per quella stessa società che aveva ferito.

L’albero è il simbolo della vita ed è il logo del nostro gruppo, e oggi diventa dimostrazione di un legame tra noi detenuti e chi dall’altra parte di queste mura vuole condividere il nostro progetto e darci la possibilità di cambiare per sempre la nostra vita.

Grazie

Un commento su “Lo strappo”

Il Commento di Paola Tanara
(Giudice presso la Corte di Appello di Milano)

Ho visionato il documentario con gli occhi di un giudice del dibattimento penale avendo io svolto per molti anni tale funzione (e mai quella del Pubblico Ministero e del Magistrato di Sorveglianza) presso il Tribunale Ordinario di Milano (prima nella sezione che si occupa di violenze sessuali ed infortuni sul lavoro e successivamente in una sezione specializzata di criminalità organizzata) e per alcuni anni presso il Tribunale per i Minorenni di Milano.

In tale veste, il documentario mi ha sollecitato alcune riflessioni, anche se non ho potuto non essere affascinata da quella parte corposa del documentario dedicata alla funzione rieducativa ed all’esecuzione della pena, rispetto alla quale la strada da percorrere da parte del “sistema”, mi pare, sia ancora molto lunga e difficile.

Il documentario ha il pregio di fotografare in modo sintetico, ma straordinariamente esaustivo, la complessità dell’evento “reato” in tutte le sue molteplici implicazioni, psicologiche, sociologiche, emotive, implicazioni che riguardano tutti i soggetti coinvolti sia antecedentemente, sia durante, sia successivamente all’agìto criminoso; scandaglia da un lato, le conseguenze dell’azione criminale nella vita sociale, ma anche e soprattutto nella vita personale della vittima, e dall’altro illustra, con encomiabile equidistanza, alcuni minimi comuni denominatori psicologici del reo rispetto ai suoi agiti, nonché alcune delle tappe più significative del percorso rieducativo dell’autore del reato.

Emerge un quadro articolato e dalle mille sfaccettature, emotivamente molto toccante, spunto di innumerevoli riflessioni anche “de iure condendo”, un quadro  che, come ben sottolinea il dott. Alberto Nobili nello stesso documentario, nel processo (e nel dibattimento in particolare) viene solo lambito (e, purtroppo, non sempre, attesa la non sovrapponibilità tra realtà e verità processuale), e comunque solo nei limiti dello stretto indispensabile per arrivare ad una sentenza il più possibile giusta e ad una pena equa rispetto alla “gravità del fatto”.

Ed è proprio quest’ultima espressione tecnico-giuridico, non di rado utilizzata in modo tralatizio per indicare esclusivamente il disvalore sociale di un agìto criminoso, che dopo la visione del documentario si arricchisce di significati spesso nella prassi giudiziaria non sufficientemente valorizzati.
Come in tutto ciò che ha a che fare con l’umano, anche nel crimine, ogni situazioni ha caratteristiche sue proprie: il legislatore ha opportunamente cristallizzato normativamente le varie tipologie di agiti effettuando una valutazione “ex ante”, della gravità delle medesime indicando i parametri da un minino ad un massimo della pena applicabile. Al giudice l’arduo compito di commisurare la pena nello specifico caso al suo esame, con un giudizio “terzo” discrezionale, ma rigorosamente verificabile alla luce dei parametri normativamente prestabiliti. Le tipizzate coordinate entro le quali il “giudicante” ha il dovere di muoversi per esercitare l’azione punitiva dello Stato, contengono molteplici sfaccettature e il giudizio sarà tanto più equo quanto più completo: una sorta di delicatissima alchimia nella quale debbono trovare spazio norme processuali, sostanziali, valutazioni sociali, sociologiche, psicologiche, prognostiche con un percorso argomentativo il più possibile chiaro proprio per garantirne la verificabilità.

Le interviste che si susseguono nel documentario, rappresentano in modo “plastico” tale complessità. Il documentario, strumento certamente preziosissimo nell’ambito di un percorso educativo alla legalità per i giovani – in quanto completo ed al tempo stesso intellegibile – ha anche il pregio, di stimolare la riflessione degli operatori del diritto e di coloro che gravitano nel “mondo giustizia”, spesso pressati dai tempi e dalla statistica, sul significato e l’importanza per la società di oggi e per la società futura, del delicato compito che sono chiamati a svolgere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze.

Paola Tanara

Lo Strappo nel carcere di Opera

LO STRAPPO
Quattro chiacchiere sul crimine

Venerdì, 16 marzo 2018, ore 20:00-22:45
Teatro del Carcere di Opera

Dopo la proiezione di un estratto del documentario, autori di reati, vittime, autorità istituzionali e giornalisti ne discutono in presenza di un pubblico, composto in particolare da detenuti, insegnanti, studenti degli ultimi anni delle superiori e università cui l’evento è dedicato.

Partecipano: 

  • Franco Roberti, già Procuratore Nazionale Anti Mafia
  • Umberto Ambrosoli, Presidente onorario associazione civile “Giorgio Ambrosoli”
  • Paolo Colonnello, Responsabile redazione milanese La Stampa
  • alcuni componenti del Gruppo della Trasgressione

Aprono e chiudono la serata Giacinto SicilianoSilvio di Gregorio, rispettivamente ex direttore e attuale direttore di Opera

Una iniziativa guardando al 21 marzo,
XXIII giornata nazionale della memoria e dell’impegno
in ricordo delle vittime innocenti di mafia

INFO LOGISTICHE:
Presentarsi entro le ore 19:15 all’ingresso del carcere
(Via Camporgnago, 40- Milano)
col documento di identità e senza oggetti elettronici

Per prenotarsi, è necessario compilare il modulo che trovate su Lo Strappo e inviare i dati entro le ore 24 di martedì 13 marzo.

GUARDA IL DOCUMENTARIO
Lo Strappo – Quattro chiacchiere sul crimine – Un percorso di educazione alla cittadinanza per scuole e associazioni.

VOCI di SCOUT –  3 FEBBRAIO 2018

Chiacchierata aperta su “Scelte e Stupore”

“Carcere”. Freddo, buio, solitudine, dolore. Prima ancora di pensare ai “criminali” che avrei incontrato, quelle erano le parole che si affollavano nella mente. Appena entrate nell’edificio, le guardie, il cemento, le porte che si serravano alle nostre spalle hanno solo ulteriormente aumentato l’immagine stereotipata che avevamo del luogo e delle persone con cui avremmo di lì a poco condiviso il pomeriggio.

Qualcosa inizia a cambiare quando sui muri all’interno della struttura principale compaiono disegni, poster, tinture – troppo –  colorate, e la situazione si fa ancora più assurda quando varchiamo la soglia del luogo dove si sarebbe svolto il workshop e ci ritroviamo davanti una trentina di uomini sorridenti, accoglienti, sinceri. Il Dott. Aparo, che gestisce l’incontro, è un po’ un Akela, un lupo capobranco, e chissà come,  ha la lealtà e la stima di tutti i presenti.

Dove sono finiti i criminali? Dove ladri e assassini? Questi uomini ci parlano di Stupore (e ne sanno più di noi che avevamo proposto il tema!) di famiglia, di amore, di coraggio di cambiare. Ad alcuni si incrina la voce, così che battono più forte i nostri cuori, altri si esprimono a sorrisi e qualche battuta sarcastica, si crea complicità… si può dire? Una piacevole e buona complicità.

Quasi ci dimentichiamo chi sono finché non iniziamo a parlare di scelte: le loro furono sbagliate, lo sanno e non si vergognano a dircelo. Dalla voce con cui raccontano si percepisce la consapevolezza e la volontà di essere persone nuove, di ricostruire la loro identità e la loro umanità. Mi sorprendo a pensare che mi sembrano uomini più liberi e consapevoli di quanto non si siano le persone là fuori, quelle che si credono libere.

Poi stupiscono noi, perché vedono cose che nel nostro tran tran quotidiano abbiamo smesso di guardare, le vediamo e basta, le diamo per scontate: il verde di un campo da calcio, il bianco sfavillante del Duomo di Milano, le luci silenziose del porto di San Remo, il crescere di un figlio, gli occhi commossi di una moglie. “Non ci si rende conto di ciò che si ha finché non lo si perde” ha detto uno di loro. Può sembrare banale, vero. Ma detto da lui mi è sembrata la cosa più vera che io abbia mai sentito… a che punto, mi chiedo, devo arrivare io per ricominciare a stupirmi della bellezza che ci circonda?

Le loro parole travolgono la nostra sensibilità… porterò sempre nel cuore e ringrazio colui che ha detto: non si può rinascere che attraverso il dolore. Noi che pensavamo di saper qualcosa di Stupore, che sulle Scelte avevano riflettuto, ci troviamo senza parole davanti a tanta limpidezza di mente e forza, forza di chi dal male (fatto anche e/o subito forse) decide di andare oltre, accettare, accettarsi, e pur stando obbligatoriamente fissi e fermi in un posto… andare avanti. Al momento di andare… Ho più di fiducia oggi nell’umanità, dopo aver incontrato voi, di quanta ne ho ogni giorno a scuola. Non riesco a salutarli! Vorrei dire: torno domani, credo in voi… e forse anche in me.

Sull’Autorità con gli scout

Incontro sull’Autorità -3 marzo 2018

  1. L’autorità fra potere e funzione
  2. Le attese: cosa ci si attende dall’autorità, cosa l’autorità si attende dalle persone che rappresenta e per le quali è in carica?
  3. Considerazioni e iniziative utili a evidenziare come si combinano potere e funzione nell’esercizio del ruolo.

Link di approfondimento:

Le immagini mi richiamano quello che per me è uno dei tratti centrali dell’Autorità. Grazie a Sofia, dunque, per avermi concesso di servire per qualche minuto la sua Autorità prediletta.

La trasgressione di vivere da detenuti

Il Gruppo della trasgressione, un laboratorio di confronto per cercare di riscoprire l’uomo dentro il carcerato,  di Giulia Virzì,
dal periodico MM, N° 19, 13/02/2018

«È come quando butti un sassolino nell’acqua… è come se ti buttassero dentro un sassolino. Poi quando vai su, in cella, rifletti sui tuoi sensi di colpa… ed è giusto che sia così perché non si può cancellare un passato come il mio. Però il Gruppo ti dà quella stabilità e quella forza che fanno sì che i sensi di colpa ti migliorino: sono la tua forza per affrontare la vita».

Adriano Sannino è in piedi da prima dell’alba. Come ogni sabato è andato all’ortofrutticolo all’ingrosso per comprare la frutta e la verdura da rivendere alla bancarella al mercato di viale Papiniano, uno dei progetti del Gruppo della trasgressione di cui fa parte.

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#Sbulla-Mi: entra in rete, fai la differenza

#Sbulla-MI, Istituto Galdus

Formare adolescenti più consapevoli delle proprie risorse, con un buon grado di autostima, capaci di relazionarsi positivamente con il gruppo e con i genitori: è l’obiettivo del progetto #SBULLA-MI che vede impegnati in rete esperti e professionisti al servizio dei giovani cittadini milanesi tra gli 11 e i 18 anni, in svariate e innovative attività destinate a mettere al centro la persona e le sue risorse, per contrastare il bullismo e il cyberbullismo.

Il bullismo è infatti un’emergenza che si stima abbia già toccato in Lombardia 71 mila ragazzi tra i 15 e i 24 anni e in crescita da quanto attestano i numeri nazionali. Al progetto #Sbulla-MI, unico progetto finanziato da Regione Lombardia a Milano collaborano Fondazione Somaschi, Galdus, Il Gruppo della Trasgressione, I.I.S Oriani Mazzini, I.C E. Morosini e B. Savoia, I.C. Via De Andreis, Istituto La Casa, La Strada, Lo Scrigno. Il progetto parte a febbraio 2018, si conclude a dicembre 2018.

www.galdus.it       La prevenzione al bullismo

Il progetto col Piamarta     Torna all’indice della sezione

 

Dallo Strappo al Kintsugi

Ferve in sartoria l’impegno per ricucire Lo Strappo!

Tra l’altro, gli incontri del Gruppo della Trasgressione esterno, dal 6 febbraio 2018, avranno luogo nella sede dell’Associazione Libera di Milano, in Via G. Donizetti, 8/4, Milano, tutti i martedì dalle ore 14:00 alle ore 17:00.

E intanto si moltiplicano le alleanze in favore del Kintsugi

A volte ti ritrovi, all’improvviso, in un posto dove sembra che solo un missile ti avrebbe potuto portare; e invece anche lì sei arrivato grazie alle persone che ti hanno aiutato a zappare.

Lu sceccu, u vecchiu e u picciriddu

Lu sceccu, u vecchiu e u picciriddu,
di Gabriele Tricomi

Su una strada piena di buche un somaro avanzava a fatica, con gli occhi di fuori e le orecchie attente. Il padrone ogni tanto lo incitava facendogli ooh, ooh! Il povero asino rispondeva accelerando l’andatura, che reggeva però solo per pochi passi perché sulla schiena portava due pesanti sacchi di cemento, acquistati dal padrone per riparare i danni causati alla fattoria dall’ultimo temporale.

Chiesi al vecchio se potevo aiutarlo a tirare il somaro, che camminava sempre di meno. Il vecchio mi rispose di andar via e di farmi gli affari miei.

Non mi sembrava giusto che l’asino soffrisse così tanto e per questo decisi di continuare a seguirli. Ma il vecchio improvvisamente venne verso di me e mi diede uno schiaffo.

Io non volevo fargli del male, ma quando mi sentii fischiare le orecchie dal dolore gli urlai contro e diedi una pacca al somaro incitandolo a fuggire.

Il somaro reagì scalciando disordinatamente e si mise a correre; il vecchio, colpito da uno zoccolo, cadde a terra esanime; io rimasi lì impietrito.