Milano, 6 Marzo 2017
Oggi è stata una giornata particolarmente importante e ricca di emozioni per il nostro gruppo. Ci siamo infatti cimentati in nuova sfida, con detenuti e studenti coinvolti in prima persona nella conduzione del Gruppo della Trasgressione senza la presenza del prof. Aparo.
Il tutto si è svolto questa mattina all’Associazione Formazione Giovanni Piamarta, un’associazione senza fini di lucro che ha lo scopo di svolgere attività di educazione e formazione, con particolare riguardo ai giovani e ai lavoratori, curandone la crescita umana e professionale. L’Ente realizza Corsi di Istruzione e Formazione Professionale, destinati a ragazzi in obbligo formativo; Corsi di Formazione Superiore, destinati a diplomati e laureati; Corsi di Formazione Continua e Permanente, destinati a soggetti occupati, inoccupati e disoccupati.
La collaborazione tra il Gruppo della Trasgressione e l’Associazione nasce dalla necessità di intervenire in una realtà difficile ma purtroppo sempre più comune: l’adolescente inserito in un contesto familiare e sociale precario, in cui i fattori di rischio superano di gran lunga quelli di protezione.
Questo progetto ha avuto luogo grazie alla fiducia del Rotary Club Milano Duomo, che ha completamente finanziato il progetto, credendo nell’utilità del confronto e dialogo tra detenuto/studente e studenti della suddetta scuola.
Pe noi è stata una grande vittoria. È bello toccare con mano che il nostro gruppo va consolidando giorno dopo giorno un metodo di intervento che va oltre le mura del carcere. La nostra vittoria non è stata solo con gli studenti ma è stata, soprattutto, l’esperienza di viverci come gruppo, con un metodo di lavoro e con un obiettivo.
Ecco come abbiamo impostato la giornata. Fra studenti del Piamarta e componenti del gruppo Gruppo della Trasgressione eravamo una trentina; ci siamo divisi in due gruppi composti da circa 15 persone. L’obiettivo ultimo di questi incontri è quello che ciascuno di noi riesca a narrare la storia dell’altro.
Nel gruppo dove ero presente anch’io, i ragazzi erano particolarmente “ermetici”. La prima parte dell’incontro è stata difficile da gestire. Massimo Moscatiello, detenuto del gruppo, ha cercato, in diversi modi, di oltrepassare il loro muro, ma la loro risposta era sempre la stessa: “non ho voglia di raccontare i fatti miei a degli sconosciuti!”
Ci guardavamo tra di noi e dai nostri occhi traspariva la difficoltà. Dopo circa 90 minuti, in accordo con l’educatrice, si decide di fare una “pausa sigaretta”. Quello è stato il momento in cui abbiamo avuto la possibilità di avvicinare i ragazzi singolarmente ed è stato molto meno difficile di quanto immaginato: ciascuno di loro fremeva dalla voglia di raccontarsi ma aveva paura del giudizio del gruppo; singolarmente, invece, è stato molto più semplice. Una volta rientrati dalla pausa, abbiamo deciso di cambiare metodo d’azione; anziché interrogare loro, abbiamo iniziato, noi del gruppo, a raccontare parte della nostra storia.
Ho percepito dal gruppo un estremo interesse e una partecipazione che prima non era così palpabile. Hanno iniziato a interagire attraverso domande e dubbi. Dopo hanno anche iniziato a raccontare parte delle loro storie, vite così giovani ma già così segnate da ingiustizie e sofferenze.
Mascia è stata la prima a rompere quel muro, la prima a dar l’esempio agli altri, la prima ad ammettere che per lei raccontarsi è estremamente difficile perché ha la costante sensazione di non essere adeguata, di essere sbagliata e, dunque, di essere giudicata. Ma oggi è stata bravissima; si è raccontata nella maniera più sincera e profonda che poteva, senza preoccuparsi che quelle persone che aveva davanti avrebbero potuto giudicarla. No, invece era orgogliosa di ciò che stava facendo e si sentiva libera di poter essere se stessa.
Quasi tutti i ragazzi hanno raccontato pezzi della loro storia. L’unico che lo ha fatto in modo originale e alternativo al resto del gruppo è stato Aldo. Personalmente, sono rimasta molto colpita da questo ragazzo. Aldo ha 17 anni, si presenta come un ragazzo sorridente e sicuro di sé ma, allo stesso tempo, strafottente e arrogante. Il suo “racconto” è stato: “non racconto mai nulla di me perché gli altri non capiscono nulla. Io sono il migliore e le poche persone che abitano la mia vita sono le uniche degne di rispetto; il resto, in quanto esseri inferiori a me, merita di essere maltrattato!”
A me, con il suo intervento, ha comunicato tantissimo. Come raccontavo anche a lui, mi ricorda l’adolescente che ero io. Anch’io, come lui, mi atteggiavo con sicurezza e superiorità, il mio motto appena entravo a scuola era: “io sono la migliore!” solo pochi meritavano il mio rispetto e quei pochi solitamente coincidevano con le persone che mi “rispettavano”.
Ai tempi il mio concetto di rispetto era un po’ diverso da quello di oggi. Il rispetto, come Aldo, lo pretendevo attraverso l’unico strumento che avevo: la mia aggressività. Allora non capivo che il modo di interagire con gli altri, altro non era che un bisogno smodato di trovare un mio spazio nel mondo, che evidentemente non sentivo di avere. Era la mia fragilità che mi obbligava a ricoprire il ruolo della bulla, di colei che doveva sempre intromettersi nelle situazioni irrisolte che non mi riguardavano; eppure la cosa mi divertiva e mi faceva sentire realizzata.
Non sapevo cercare il mio spazio né dar voce alla mia intelligenza, alle mie capacità relazionali. Come Aldo, anch’io avevo pochi amici, non perché gli altri non fossero abbastanza per poter stare con me, ma perché erano gli altri che non volevano stare con me. Chi vuole come amica un’adolescente sempre incazzata che sottomette gli altri?
Credo che la vittoria più grande per il gruppo si chiami anche Aldo. Siamo riusciti a instillare nella sua mente delle domande, dei grandi punti interrogativi che sono certa che si porrà anche quando tornerà a casa e tutte le volte che avrà voglia di riflettere su di sé. Spero che nei prossimi incontri cerchi insieme a noi delle risposte a questi interrogativi che adesso abitano la sua mente. Ma qualora questo non avvenisse, credo che il suo sia stato comunque un grandissimo passo.
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