La Roma Sport

Nicola Petrillo

Arrivai a Milano nel 1967, in via Rovereto, traversa di Viale Monza. All’epoca era ancora periferia. Una zona piena di emigranti, in particolare calabresi e pugliesi, tutti con l’aspirazione di un futuro migliore garantito dal posto fisso e “con i libri”.

All’epoca eravamo poveri, per far quadrare il bilancio familiare mia madre, anche se aveva fatto solo la terza elementare, faceva invidia a una calcolatrice. Riusciva a far bastare sempre tutto. Erano i tempi che a casa mia si usava la “Frizzina”, poi diventata “Idrolitina” perché più economica. Per chi non lo sapesse erano bustine per far diventare l’acqua frizzante. Era impossibile convincere mia madre a comperare la Fanta, la domenica anche l’aranciata si faceva con le bustine. Mia madre per risparmiare allungava sempre tutto con l’acqua: dal caffè all’acqua stessa. Era un po’ come Gesù Cristo, moltiplicava il poco che c’era.

Il sogno di avere una bicicletta si fece strada nella mia mente quando facevo la prima media, avevo circa 12 anni. Ai tempi c’era la “Roma Sport”, una bicicletta da cross arancione, con il freno posteriore a pedale ed il sellino lungo, che ci si poteva stare anche in due. Era esposta nel negozio “Atala Sport” di Viale Monza, tra Pasteur e Piazzale Loreto. Quando ci passavo davanti, mi incantavo a guardarla, costava 20.000 Lire, una settimana di lavoro di mio padre. Era impensabile anche solo a parlarne. Le richieste a Babbo Natale non venivano esaudite, perché era povero anche lui. E anche la Befana si giustificava dicendo che la bicicletta, purtroppo, non entrava nella calza.

Durante il giorno i miei genitori lavoravano; io e mio fratello, più grande di 1 anno, andavamo in giro con due amici pugliesi, in cerca di opportunità per raggranellare qualche spicciolo. Un giorno arrivammo fino alla Stazione Centrale, attraversando Viale Monza, via Martiri Oscuri, via Ferrante Aporti, sempre dritto si arrivava ai treni. Era quasi impossibile perdersi. Quasi per scherzo, all’interno della stazione, aiutiamo una signora in difficoltà con i bagagli e glieli portiamo al binario dove lei doveva prendere il treno; ci diede 200 Lire di mancia per comperarci il gelato. Eravamo tutti contenti e, mentre ci leccavamo il gelato, ci venne l’idea che il giorno dopo potevamo ripetere l’esperimento, aiutare la gente che scendeva dal treno a portare i bagagli, nella speranza di una mancia. Funzionava fin troppo bene. Ogni tanto dovevamo scappare perché i portabagagli ufficiali, quando si accorgevano che gli portavamo via il lavoro, chiamavano la Polfer ma, tutto sommato, il rischio valeva la candela.

Insieme a mio fratello decidemmo che, se andavamo tutti i giorni e mettevamo da parte i soldi, potevamo comperarci una bicicletta. Una volta che avessimo avuto i soldi, nostro padre non avrebbe potuto trovare scuse.

Con mio fratello litigavamo spesso se comperare la “Roma Sport” nuova oppure due biciclette usate, da Medina in Viale Monza di fianco alla fermata del metrò Rovereto, che riparava biciclette ed aveva sempre delle buone occasioni nell’usato. In quel periodo aveva due bici tipo “Graziella”, che vendeva a 10.000 Lire l’una. Ogni giorno a ripetere la solita frase: “Scusi signora, vuole una mano a portare le valigie?”. Riuscivamo a guadagnare dalle 600 alle 1.000 Lire al giorno. Quando, qualche rara volta, riuscivamo a superare le 1.000 Lire ci compravamo il gelato al baracchino “da Sirtori” sull’angolo della stazione in via Ferrante Aporti.

Dopo circa due mesi, raggiunte le 20.000 Lire in contanti, la sera parlammo con mio padre, dicendogli che avevamo i soldi, spiegandogli come li avevamo guadagnati e che volevamo comperare la bicicletta. Mio padre si arrabbiò di brutto, perché ci eravamo allontanati così tanto da casa senza il suo permesso. Ci disse che la bicicletta non era indispensabile, ci sequestrò i soldi e comprò un lampadario per la nostra camera, che c’era ancora la lampadina che penzolava.

A me, all’epoca, della lampadina penzolante non me ne fregava proprio niente. La mia prima bicicletta me la sono rubata… anche la seconda, la terza, e via dicendo.

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Il principio di un rovesciamento

Rocco Ferrara

Da almeno due anni faccio parte di un gruppo denominato “Gruppo della Trasgressione“. Il nome è singolare, perché ha un significato opposto a ciò che facciamo. Durante gli incontri tra noi detenuti e un gruppo esterno di studenti e comuni cittadini trattiamo temi sociali come bullismo, devianza, tossicodipendenza, conflitti genitori-figli e molto altro ancora.

Mi sento fortunato di frequentare questo gruppo, che mi ha dato la possibilità di vivere il carcere da un punto di vista diverso. Coordinati dal dott. Aparo, esperto in materia di psicoterapia, gli incontri con gli studenti esterni favoriscono il confronto delle idee. I detenuti si sentono accettati e tutto questo apre un varco a un nuovo modello di detenzione, che sino a qualche tempo fa ce lo sognavamo.

L’appuntamento di oggi coinvolge i familiari dei detenuti, che affronteranno in un faccia a faccia i figli, nipoti o parenti, dei quali si vuole capire come hanno fatto a scegliere una vita rovinosa che ha danneggiato loro e coinvolto nella sofferenza anche le famiglie. Mi chiedo cosa possa venir fuori da questo confronto dentro le mura di un penitenziario dove saranno presenti anche operatori del settore, agenti e dirigenti. Direi che è il principio di un rovesciamento di un sistema di cui si è parlato tanto, ma che adesso viene attuato veramente, puntando a un recupero più energico nei confronti di soggetti che nutrono un serio desiderio del cambiamento.

 

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Un evento speciale, 29-06-16

Marcello Portaro

Innanzitutto, ci tengo a ringraziare tutti per questa occasione, per me senza precedenti, attraverso la quale ho la possibilità di rendere partecipi i miei familiari del percorso intrapreso col Gruppo della Trasgressione, in una direzione che in passato a me, e forse a tanti di noi, era ignota, se non addirittura impraticabile e incompatibile per la nostra cultura. In realtà, oggi, questa direzione è per me la più adeguata e soddisfacente che avessi potuto inseguire e praticare.

Oggi qui davanti a me ho mia sorella e mentre leggo questa lettera faccio fatica a incrociare il suo sguardo, senza provare rammarico per quante sofferenze ho portato a lei e a tutti i nostri familiari per una quantità indescrivibile di cose sbagliate fatte fin da quando ero ragazzino, con una progressione talmente negativa da farti chiedere, mia dolce sorella, se valeva la pena di viaggiare da un carcere all’altro per stare vicino a quel tuo unico fratello che lentamente sciupava la sua vita e quella degli altri.

Oggi ho qui anche la mia nipotina e voglio raccontarle una favola. Il protagonista sono io, piccola principessa, che durante il percorso della vita mi sono trovato di fronte a dei bivi che non ho compreso quanto fossero importanti.

Lo zio ha sempre scelto la via più facile e giorno dopo giorno si è ritrovato impantanato in una palude buia e piena di sabbie mobili che lo hanno portato sempre più giù. Il mare aperto era vicino, tuttavia la paura m’impediva di muovere le braccia per nuotare e lasciare quella palude che ormai sembrava la mia casa.

Un giorno vidi passare un veliero con il suo capitano e con tutto ii suo equipaggio. Il veliero aveva un nome molto bizzarro, si chiamava Gruppo della Trasgressione. Ebbene quel capitano dall’aspetto burbero mi tese una mano e col suo linguaggio a volte colorito a volte provocatorio m’invitò a fare un giro. Mi disse che forse le mie gambe, chiuse dal fango, potevano lentamente riprendere a camminare e, collegandosi con dei pensieri nuovi, forse avrebbero imparato a scegliere delle strade, più difficili da percorrere, ma che mi avrebbero riportato da te, bellissima nipotina, e dalla tua mamma e soprattutto non mi avrebbero più portato nella palude buia.

Sai, all’inizio sono salito sulla nave e quel capitano a volte un po’ antipatico cominciava a parlarmi di cose strane, incomprensibili, come il delirio d’onnipotenza, i limiti, l’autorità, fragilità, vulnerabilità, seconda possibilità, e tante altre cose.

Pensa che noia all’inizio! Poi però le varie tematiche cominciarono a fare breccia nella mia mente facendomi riflettere e quelle cose, che sembravano noiose e incomprensibili, mi portavano a farmi tante domande su quanto è bello il piacere della responsabilità e della consapevolezza.

Cominciai a pensare che ognuna di quelle cose che per lo zio erano insignificanti, uniti alla voglia di crescere troppo in fretta quando ero bambino, mi hanno lentamente portato in quella palude buia.

Ma ora sono sul veliero della Trasgressione e ogni approdo che facciamo è una ricchezza in più da condividere con voi. Ciao piccola principessa, ciao dolce e amata sorella. Un giorno approderò da voi. Grazie a tutti.

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Tirocini pre e post laurea

Chi siamo
Il Gruppo della Trasgressione comprende un’associazione e una cooperativa strettamente connesse, entrambe costituite da detenuti, ex-detenuti,  professionisti, studenti universitari e neo laureati.

Nasce dalla decennale esperienza del laboratorio coordinato dal dott. Angelo Aparo nelle carceri di San Vittore, Bollate e Opera e dai principi che da sempre caratterizzano tale attività: scambio fra dentro e fuori, partecipazione alla vita della comunità, lavoro su se stessi, educazione alla legalità, prevenzione di bullismo e tossicodipendenza.

 

La filosofia del gruppo
Il recupero, una reale inclusione, un effettivo superamento della sensazione di marginalità e di estraneità alle regole possono aver luogo solo se ci si sente co-protagonisti di progetti ed esperienze concrete, di attività lavorative, eventi, interazioni utili alla comunità, al suo rinnovamento, alla sua crescita.

É fondamentale che liberi cittadini, imprenditori, professionisti partecipino, insieme con le istituzioni, al recupero e alla valorizzazione di funzioni e ruoli sociali utili, non solo per gli adolescenti, ma anche per i detenuti che, lungo i percorsi della devianza, hanno perso le tracce delle responsabilità del cittadino e del piacere di esercitarle.

 

Storia e attività
Dal 1997 Il Gruppo della Trasgressione lavora sull’esperienza di chi ha commesso pesanti reati e sul sostrato affettivo che, anche nelle persone comuni, può portare a piccole violenze sugli altri e su se stessi. Punti di partenza della nostra ricerca sono l’insoddisfazione che tante volte vivono gli adolescenti nel rapporto con le proprie risorse interiori e con gli adulti, i sentimenti e gli stati d’animo che si accompagnano ai primi reati.

Da quasi 15 anni i detenuti del gruppo possono provare il Piacere della Responsabilità (è il titolo di un nostro convegno), portando il lavoro svolto su se stessi nelle scuole, con particolare attenzione per adolescenti con situazioni familiari problematiche. La collaborazione con gli istituti scolastici permette che detenuti e adolescenti divengano interlocutori critici gli uni degli altri e, allo stesso tempo, attivatori delle rispettive risorse.

Studenti e comuni cittadini possono frequentare i nostri seminari tematici, assistere a convegni, concerti e rappresentazioni teatrali, partecipare attivamente al nostro laboratorio di ricerca dentro e fuori le carceri dove operiamo.

 

La nostra missione
Studiare, progettare e lavorare con chi ha commesso reati
giova all’equilibrio sociale e protegge la salute e il bene pubblico più della separazione garantita dalle mura del carcere
.

Le nostre iniziative puntano pertanto a:

  • far sì che il reo possa interrogarsi sugli stati emotivi che hanno contribuito all’attuazione del reato e che ostacolano il suo rapporto responsabile con la società;
  • promuovere e valorizzare le risorse e le competenze dei componenti del gruppo;
  • coltivare il rapporto dell’individuo con se stesso e con la società;
  • moltiplicare situazioni in cui possa essere esercitata la responsabilità individuale e collettiva;
  • alimentare una rete di relazioni e dinamiche di gruppo atte a favorire nuovi stili di vita e una reale inclusione dell’ex detenuto.

 

La cornice teorica di riferimento
In ambito psicosociale, i due principali autori di riferimento sono Kurt Lewin e Wilfred Bion, con i loro studi sui diversi aspetti sociali e inconsci della vita collettiva e sulle dinamiche di gruppo.

Dal punto di vista psicodinamico il Gruppo della Trasgressione fa esplicito riferimento a Sigmund Freud, William Fairbairn e, soprattutto, a Donald Winnicott e ad alcuni dei suoi concetti cardine: il falso sé, l’oggetto feticcio, l’oggetto e gli spazi transizionali; il rapporto fra illusione e disillusione e i molteplici possibili sviluppi di questa dialettica nel divenire delle relazioni e nell’esercizio della creatività personale e di gruppo.

 

L’utenza
Le iniziative del Gruppo della trasgressione sono rivolte principalmente a:

  • persone che hanno commesso reati (detenuti ed ex-detenuti), in un’ottica di recupero, reinserimento e prevenzione delle recidive;
  • studenti delle scuole superiori che stanno attraversando il difficile passaggio dell’adolescenza, in un’ottica di prevenzione al bullismo e alle dipendenze da droga, alcol, gioco;
  • tirocinanti pre e post laurea.

 

Composizione dei gruppi
Ogni gruppo è composto da circa 18-25 persone di cui fanno parte detenuti, ex-detenuti, studenti universitari, professionisti e liberi cittadini. Tutti i gruppi sono coordinati dal dott. Angelo Aparo, psicoterapeuta, consulente psicologo per l’ASST Milano, ex esperto in psicologia del Ministero della Giustizia, ex docente a contratto di psicologia della devianza, che si avvale dell’aiuto di altri psicologi formatesi al Gruppo della Trasgressione nel corso degli anni.

 

Sedi e Tempi
I gruppi si tengono all’interno e all’esterno del carcere in giornate e orari fissi. Il tirocinante viene invitato a scegliere uno o più gruppi, a seguirne con costanza gli sviluppi, a prendere attivamente parte alle diverse iniziative:

  • Martedì, Via Donizetti 8/4, Milano – Sede Libera, 14:00-17:00
  • Mercoledì, Carcere di Opera, Alta Sicurezza, 9:30-12:15
  • Mercoledì, Carcere di Opera, Media Sicur., 12:30-15:15
  • Giovedì, Carcere di Bollate, 14:30-17:30 
  • Venerdì, Carcere di San Vittore, 13:00-15:30

 

Metodi, strumenti per tirocinanti e non
Per tutti i gruppi, sono strumenti di lavoro le nostre attività quotidiane:

  • confronto costante fra i componenti del gruppo, studenti e detenuti;
  • frequente presenza di ospiti (liberi professionisti, docenti universitari, artisti);
  • seminari e convegni, interni ed esterni ai due istituti carcerari, spesso con la partecipazione di professionisti di diversi ambiti disciplinari (giuristi, psicologi, medici, docenti di letteratura e di storia dell’arte, filosofi, teologi);
  • incontri con adolescenti di scuole medie inferiori e superiori volti alla prevenzione del bullismo, della tossicodipendenza, della ludopatia;
  • scritti personali che vengono poi pubblicati su trasgressione.net e su vocidalponte.it

 

Tutti i gruppi lavorano in sinergia su progetti e temi inerenti gli obiettivi sopra descritti, scelti periodicamente sulla base delle collaborazioni con professionisti ed enti esterni al gruppo (cooperative sociali, ospedali, scuole, teatri, università):

  • i progetti, che si ripetono nel corso degli anni, comprendono interventi nelle scuole, laboratori di teatro e di psicodramma, convegni, corsi della Croce Rossa Italiana, attività come la bancarella di Frutta & Cultura e il restauro;
  • i temi su cui il Gruppo della Trasgressione ha lavorato nel corso degli anni sono moltissimi, i più ricorrenti riguardano il rapporto genitori figli, il rapporto con l’autorità, la funzione della pena e della punizione, il bullismo, il rapporto vittima-carnefice e così via;
  • i temi vengono prima affrontati dai singoli gruppi (Opera, Bollate, gruppo esterno) e poi presentati nei convegni aperti ai cittadini da una selezione dei componenti dei diversi gruppi.

 

Monitoraggio da parte del tutor e linee guida per il tirocinante
Durante le attività dell’associazione, il tirocinante non è un osservatore, ma collabora costantemente con i detenuti, con i componenti anziani del gruppo e con il tutor. I tirocinanti sono tenuti a prendere visione delle nostre diverse iniziative e a scegliere quelle dove investire il proprio tempo (il teatro di Sisifo, gli incontri con le scuole, I progetti di restauro col FAI, i Corsi della Croce Rossa Italiana, la preparazione dei convegni, la parte culturale della nostra bancarella di Frutta & Cultura).

Il tirocinante è inoltre tenuto ad avere una visione dell’intera attività, a documentarne mese dopo mese l’evoluzione e a evidenziare i propri contributi alle aree di attività scelte. Il raggiungimento degli obiettivi prefissati avviene principalmente grazie a:

  • l’affiancamento al tutor nel suo lavoro, con progressiva autonomizzazione (osservatore silente, osservatore partecipante, co-conduttore);
  • i momenti cadenzati di confronto con il tutor per la programmazione delle attività e per la discussione di aspetti di particolare interesse deontologico e professionale.

In particolare il tutor, presente a tutti i gruppi in qualità di coordinatore, si accerterà che il tirocinante:

  • partecipi in modo continuativo ai gruppi preventivamente concordati;
  • stili i verbali degli incontri;
  • sviluppi proprie osservazioni scritte sul metodo di conduzione dei gruppi;
  • produca interventi e scritti personali;
  • sviluppi utili interazioni con gli altri componenti del gruppo;
  • partecipi alle attività concrete scelte in precedenza;
  • concluda la propria esperienza con una relazione finale sulle attività svolte.

Per avviare il tirocinio:

  • Alessandra Messa, ‭342 8937330‬, ‭alessandramessa9@gmail.com,
  • Gruppo della Trasgressione, trasgressione.net@gmail.com,
  • presentarsi in Via Donizetti 8/4, Milano, il martedì, ore 14:00

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Relazione di tirocinio

L’ESPERIENZA FORMATIVA PRESSO “ASSOCIAZIONE TRASGRESSIONE.NET”

Michela Arrara, Matricola: 749697
Corso di studio: PCSN (D.M. 270/04)
Tipo di attività: Stage curricolare esterno
Periodo: dal 22/04/2016 al 31/05/2016

 


Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

Ho svolto l’attività di tirocinio presso l’associazione trasgressione.net., associazione nata dall’esperienza del dottor Aparo nelle carceri di San Vittore, Opera e Bollate e costituita da un gruppo comprendente detenuti, ex-detenuti, studenti universitari, neo-laureati e professionisti. Ho svolto il mio tirocinio partecipando agli incontri del gruppo presso la sede ATS Milano di Corso Italia 52 e presso il carcere di Bollate, partecipando alle attività culturali del gruppo e agli incontri con le scuole.

L’attività della associazione trasgressione.net si basa su una serie di principi, che caratterizzano tutte le attività svolte: confronto e interazione tra dentro e fuori, restituzione della responsabilità individuale, reinserimento nella vita comunitaria, prevenzione al bullismo e alla tossicodipendenza, educazione alla legalità.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Il tirocinio è stato svolto partecipando agli incontri del Gruppo della Trasgressione, dove ho potuto mettermi in gioco direttamente e riflettere in modo critico rispetto ad alcune tematiche. In particolare, in vista di un convegno sulla tossicodipendenza che avrà luogo a metà giugno, ho approfondito questo tema, tramite riflessioni e ricerche ma soprattutto, tramite il confronto con i detenuti all’interno dei diversi gruppi. Inoltre, mi è stato permesso di partecipare agli incontri con due scuole (Scuola media di Buccinasco e Istituto professionale Bertarelli di Milano) e di assistere a diverse iniziative culturali portate avanti dai componenti del gruppo.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

L’attività dell’associazione trasgressione.net utilizza come principale strumento il gruppo in sé. Il Gruppo della Trasgressione può, infatti, essere visto come una palestra in cui studenti e detenuti possono esercitarsi e fare pratica nella comunicazione, nell’instaurare relazioni, nell’assunzione di responsabilità e nel creare un ponte tra mondo interno al carcere e mondo esterno. Il detenuto può inoltre beneficiare del senso di appartenenza che si sviluppa all’interno del gruppo e del riconoscimento di ciò che esprime e di se stesso come persona. Il coinvolgimento paritetico di tutti i partecipanti, con i propri vissuti e le proprie esperienze, permette un percorso di crescita ed evoluzione e permette di instaurare un rapporto che non risenta delle differenze di condizioni. L’attività di confronto e discussione all’interno del gruppo è accompagnata dall’uso di scritti, in cui i partecipanti al gruppo rielaborano concetti trattati negli incontri ed esplorano i loro vissuti, spesso creando un collegamento con la propria esperienza di vita.

Durante il mio tirocinio, si è esplorato in particolare il tema della tossicodipendenza, tema che si è rivelato molto complesso e oscuro. All’interno del gruppo questa tematica è stata affrontata in modo non convenzionale, non basandosi su ciò che viene scritto in letteratura, ma tramite il confronto, le curiosità, i diversi punti di vista di studenti e detenuti, arrivando così a toccare aspetti che non avevo mai pensato potessero essere inerenti alla tossicodipendenza. E’ stato inoltre usato negli ultimi incontri, in vista del convegno, lo strumento del role-playing, in cui detenuti e studenti hanno provato a rappresentare un possibile scambio tra due tossicodipendenti, tra tossicodipendente e spacciatore e tra tossicodipendente e psicologo.

Lo scambio tra studenti e detenuti durante gli incontri del Gruppo della Trasgressione con le scuole si basa sugli stessi principi che guidano gli appuntamenti del Gruppo della Trasgressione. Entrambi i partecipanti si rivelano utili per l’evoluzione dell’altro: i detenuti, tramite il racconto dei propri errori e del proprio percorso di riabilitazione, permettono agli studenti di esplorare i propri conflitti interni, le proprie fragilità e le proprie risorse, favorendone il percorso evolutivo; a loro volta, gli studenti con il loro ascolto attivo e la loro curiosità, aiutano i detenuti a riappropriarsi della loro identità di adulti responsabili, mentre forniscono una testimonianza sincera e credibile del loro percorso.

Il Gruppo della Trasgressione ha uno sguardo verso l’esterno. Tramite la messa in campo di eventi, opere teatrali, concerti aperti al pubblico e tramite esperienze concrete e attività lavorative utili per la comunità, si permette di conoscere il detenuto e la sua evoluzione, di superare la sensazione di marginalità vissuta dal detenuto e di favorire una reale inclusione.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Il gruppo è coordinato dal Dottor Aparo, che è il tutor del mio tirocinio. E’ stato molto importante incontrare una persona come lui, in quanto mi ha permesso di osservare e apprezzare un modo di essere psicologo diverso da come me l’ero immaginata, un modo innovativo e originale ai miei occhi. Sono infatti rimasta piacevolmente colpita dal suo modo schietto e sincero di instaurare la relazione con i detenuti e gli studenti. La valutazione, da parte del dottore, avveniva quotidianamente con un rimando immediato dopo ogni intervento o non intervento durante gli incontri. Non è stato infatti facile intervenire all’interno del gruppo, spesso per la paura di dire cose scontate o sciocche, ma il dottor Aparo ha sempre cercato di coinvolgermi e spronarmi a intervenire, comprendendo la mia timidezza debilitante e le mie insicurezze e cercando di farmi sfruttare l’occasione di crescita personale e professionale di questa esperienza formativa.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Il tirocinio con il Gruppo della Trasgressione mi ha permesso di approcciarmi ad una realtà che da sempre mi ha incuriosito e di aderirvi con tutta mia stessa. Il punto di forza di questo tirocinio credo sia proprio la partecipazione attiva dello studente, che in questo modo ha l’opportunità di responsabilizzarsi e assumere un ruolo propositivo e intraprendente. Gli incontri con il gruppo esterno (in ATS) e con il gruppo del carcere di Bollate mi hanno dato modo di iniziare a conoscere gli aspetti più burocratici e tecnici della realtà carceraria, ma nel contempo di conoscere il detenuto come persona, con la sua esperienza di vita, le sue fragilità e le sue risorse. Ho anche avuto modo di vedere, comprendere e apprendere come avviene il lavoro sul territorio e con le istituzioni.

Sono contenta che il Gruppo abbia portato la sua opera teatrale “Il mito di Sisifo” nella mia città, grazie alla collaborazione tra il Gruppo e il Comune. Grazie al convegno, ho potuto esplorare e conoscere maggiormente la tematica della tossicodipendenza, verso cui nutro un interesse attivo e che non avevo ancora approfondito nel mio percorso di studi. Il tema è stato affrontato esplorando ogni sua sfaccettatura tramite le domande e gli spunti del Dottor Aparo, le esperienze dei detenuti e le riflessioni degli studenti. Si è riflettuto insieme su come si potesse definire la tossicodipendenza, sulle configurazioni che più facilmente sono associate alla genesi del disturbo, sull’identità del tossicodipendente, su come la tossicodipendenza incida nella relazione con gli altri e sugli elementi che possono prevenire una ricaduta.

Ho sviluppato progressivamente una conoscenza approfondita di questa problematica, acquisendo una visione sempre più a 360°, che possa essere in grado di tener conto di tanti aspetti, spesso in contraddizione tra loro. Pur non reputando di avere una conoscenza completa rispetto all’argomento, posso dirmi sicura che la partecipazione al gruppo ha ampliato i miei pensieri e le mie idee a riguardo e che ciò possa essere punto di partenza per accrescere ulteriormente il mio bagaglio di conoscenze su questa complessa realtà.

 

Abilità acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Le abilità acquisite in questo tirocinio sono strettamente intrecciate con il modo di lavorare del Gruppo della Trasgressione. Ho innanzitutto appreso come avviene il lavoro di gruppo e gli elementi essenziali su cui si basa: il rispetto per il pensiero dell’altro, l’importanza di un ascolto attivo, il rispetto dei turni, l’essere e il mostrarsi interessati e la partecipazione attiva. Su questo ultimo punto, sono certa di dover lavorare ancora molto perché non sempre è stato facile per me, prendere parola e dare opinioni su temi di cui spesso non avevo esperienza diretta. L’ansia di fare brutta figura ha spesso avuto la meglio, impedendomi di esprimere il mio pensiero rispetto diverse tematiche.

La partecipazione al gruppo mi ha permesso inoltre di sviluppare la mia capacità di osservazione rispetto a ciò che si verifica durante gli incontri e di sviluppare un pensiero critico rispetto agli argomenti trattati.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Oltre alle suddette abilità e conoscenze acquisite, ho migliorato alcune caratteristiche personali. Grazie al contatto con i detenuti e gli altri studenti, ho migliorato la capacità di ascolto e di empatia, senza trascurare il riconoscimento del mio coinvolgimento emotivo nelle diverse situazioni. In molte situazioni, ascoltando i trascorsi, le storie di vita, le parole di alcuni membri del gruppo ho dovuto scontrami con la mia fragilità e le mie troppe domande, i racconti mi entravano dentro e spesso mi facevano sentire a pezzi. In più occasioni, sono uscita dell’incontro del gruppo scossa e “persa” e ho imparato a prendermi del tempo per ascoltarmi, ascoltare ciò che avevano provocato in me alcune parole e lasciargli spazio. Ho imparato, grazie al gruppo, a non soffocare le emozioni, ma ad ascoltare il dolore, mio e degli altri.

 

Altre eventuali considerazioni personali

Questa esperienza non è stata semplice sotto molto punti di vista, spesso mi sono sentita inadeguata. Non è semplice essere “buttati dentro” a un gruppo di persone di cui non conosci praticamente nulla e dover esprimere e ragionare insieme su tematiche molto intense. Ci vuole tempo per trovare il proprio posto all’interno del gruppo, forse non l’ho ancora trovato, ma certamente nel corso degli incontri, caratterizzati da libertà e sincerità di espressione, mi sono sentita più partecipe e più vicina a tutti gli altri componenti. Sono certa di poter affermare che consiglierei questo gruppo a tutti gli studenti, perché è un luogo in cui è possibile affrontare tematiche che non si affrontano da nessuna parte e formarsi “sul campo”. Come spesso si afferma all’interno del gruppo: lavorare, riflettere e studiare con i detenuti è più utile che studiarli dall’esterno…e io sotto questa affermazione ci metto la firma !

Michela Arrara
Abbiategrasso, 13/06/2016

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Il sorriso perduto

Maurizio Giuseppe Piseddu

L’altro giorno camminando per strada
ho trovato per terra un sorriso
e ho pensato che forse qualcuno
l’avesse lasciato cadere.

L’ho raccolto e ho deciso di darlo
a qualcuno che l’avesse smarrito.
D’improvviso vidi arrivare
una donna truccata, elegante

Ma… qualcosa le mancava sul viso
forse, era proprio il sorriso…
La fermai… e le chiesi:
Signora… per caso le manca qualcosa?

Screanzato e villano che è
a fermare una nobile donna
che di certo non pensa ‘stè cose
e nemmeno a uno che osa!

Disturbare persone perbene
è senz’altro un gran disonore
per cui, smetta di chiedere cose
e mi lasci… che ho tanto da fare!

Maltrattato e un tantino anche offeso
pensai di buttar via quel sorriso,
ma ascoltando la mia voce interiore
lo serbai per un’altra occasione.

Quasi che fossi stato ascoltato,
vidi lesto arrivare un ragazzo
che gioioso abbracciava una tipa
come se… fosse il suo fidanzato.

Chiesi loro se potevo mostrare
quel che in tasca avevo serbato
ma le facce stupite dei due
eran quelle… di chi ha altro da fare.

Sconsolato e pien di rancore
maledivo chiunque incontravo
fino a quando non vidi arrivare
un bambino solo… e piangente.

Lo fermai e gli chiesi il motivo
di cotanta tristezza infinita
Ma… rispose con lacrime amare
come se… non avesse più vita.

Mi commossi a vedere il suo viso
sconsolato e rigato dal pianto
carezzai la sua testa piegata
e dolcemente lo invitai a raccontare

Oh, mio giovane e triste bambino,
io non so cosa c’è che ti affligge
ma di certo… parlandone insieme
cambierà quel che sembra un destino.

Come mai tu procedi da solo
e non sei insieme a qualcuno
che ti segua nelle tue esplorazioni
e ti protegga su questo cammino?

Vorrei tanto poterti aiutare
e portarti dai tuoi genitori
che chissà quale grande spavento
stan provando per il loro piccino.

C’è una cosa che ti voglio donare
e che presto potrai utilizzare…
ecco… guarda… è un grande sorriso
che ridipinga il tuo bellissimo viso.

Tieni a mente questo grande segreto…
“Che la vita è una lunga avventura
e che vince soltanto colui
che sorride senza alcuna paura! ”

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Relazione di tirocinio

TIROCINIO PRE LAUREA PRESSO “ASSOCIAZIONE TRASGRESSIONE.NET”

Asya Tedeschi, Matricola:  778732
Corso di studio: SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE
Tipo di attività: Stage curricolare esterno
Periodo: dal 20/04/2016 al 15/06/2016

 


Caratteristiche generali dell’attività svolta: istituzione/organizzazione o unità operativa in cui si svolge l’attività, ambito operativo, approccio teorico/pratico di riferimento

La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra.”

Così recita l’Art. 27 della Costituzione italiana e questa credo sia la massima che guida il Gruppo della Trasgressione. Nato nel 1997 dalla decennale esperienza del dott. Aparo all’interno delle carceri di San Vittore, Opera e Bollate, il gruppo  è costituito da detenuti e studenti universitari e neolaureati di diversi corsi di laurea. Il fulcro del gruppo è la spinta alla riflessione, al superamento delle difficoltà, alla crescita e al rinnovamento. A partire dal racconto delle esperienze dei suoi membri, il gruppo indaga sui fattori di rischio e di protezione per la spinta a trasgredire. Il gruppo è attivo anche fuori dal contesto detentivo, con l’obiettivo di alimentare una rete per la comunicazione delle parti separate e per promuovere l’evoluzione dei soggetti che ne fanno parte, con un percorso educativo e riabilitativo. Oltre a ciò il Gruppo della Trasgressione lavora anche in contesti quali Università e scuole, per la prevenzione del bullismo, della tossicodipendenza, della devianza in genere. Cari, in quest’ultimo contesto, i temi dell’autorità e della punizione.

Io, personalmente, forse per la mia giovane età, ho trovato questo aspetto estremamente lodevole e costruttivo, non solo per i detenuti, ma anche e soprattutto per i ragazzi che assistono alle discussioni. Ho constatato da me, negli incontri con l’istituto professionale Pietro Verri di Busto Arsizio e con il Liceo Beccaria di Milano, che la testimonianza portata da qualcuno che ha effettivamente toccato il fondo, pagando le conseguenze dei suoi errori, ha un impatto considerevole. Tutto ciò è ancor più amplificato quando l’incontro avviene in carcere, contesto forte e inusuale.

Il Gruppo della Trasgressione organizza anche seminari, rappresentazioni teatrali, concerti e convegni (interni ed esterni al contesto del carcere), con la partecipazione di diversi professionisti (medici, psicologi, giuristi, ecc.). È offerta anche la possibilità agli universitari, di partecipare al laboratorio di ricerca del gruppo, attraverso tirocini convenzionati.

La bellezza di questo gruppo risiede anche nella sua capacità di concretizzare l’impegno dei detenuti e di renderlo fruttuoso anche economicamente, attraverso lavori di restauro, consegna di frutta e verdura e la bancarella del sabato in piazza. Penso che questo sia un modo anche per premiare la forza di volontà e la tenacia, creando un ponte che possa permettere un reinserimento “guidato” all’interno della società.

Gli appuntamenti settimanali del Gruppo sono il martedì nella sede dell’ex ASL Milano, in Corso Italia 52, il mercoledì nella Casa di reclusione di Opera ed il giovedì presso il carcere di Bollate.

 

Descrizione dettagliata del tipo di ruolo e mansioni svolte

Durante il tirocinio di 100 ore che ho svolto presso il Gruppo della Trasgressione si richiedeva una partecipazione attiva e propositiva alle attività svolte. Il tutto è iniziato con un periodo di osservazione delle dinamiche e delle modalità di operare del Gruppo. Il mio ruolo era quello di assistere alle discussioni, elaborare dei contenuti, annotare degli appunti per la successiva stesura di verbali e fare ricerche su diverse tematiche.

In particolare il Gruppo della Trasgressione ha tra i prossimi appuntamenti più importanti un convegno che si terrà il 17 Giugno nel carcere di Bollate e in cui si confronteranno detenuti e operatori del settore per una crescita bilaterale, facendo oro delle conoscenze ed esperienze che ognuno potrà portare. Il titolo del convegno, La Tossicodipendenza, un labirinto dove si è perso Dedalo”,  è stato scelto appositamente per sottolineare la dimensione contraddittoria di chi versa nella tossicodipendenza; analogamente a Dedalo, il tossicodipendente crea un labirinto, ma in ultima analisi diventa vittima dello stesso labirinto da lui creato, ne rimane intrappolato. È proprio questa visione particolare che fa capire la necessità di un incontro tra i “due fronti” detenuti ed operatori.

Per fornire un supporto letterario e teorico, noi tirocinanti abbiamo svolto delle ricerche sulla genesi, diagnosi e trattamento della dipendenza da sostanza, secondo i diversi approcci psicologici (Comportamentismo, Cognitivismo, Psicologia Dinamica…). Tali ricerche sono state poi supervisionate dal tutor e discusse in sede di incontro.

A mio avviso ciò che viene maggiormente richiesto a ogni esterno che si affaccia alla dimensione del gruppo per la prima volta è di essere se stessi, di portare il proprio bagaglio esperienziale, di vedere sé e gli altri con un po’ di senso critico e di curiosità intelligente.

 

Attività concrete/metodi/strumenti adottati

Il Gruppo della trasgressione a partire dai testi scritti dai detenuti e da altri membri, ma anche con i verbali, i racconti, i miti, le canzoni trae degli spunti di riflessione per discutere tematiche care e delicate.

Ricordo ancora il primo mio incontro con il Gruppo della Trasgressione; il dott. Aparo mi fece leggere una parte del brano “Nica” scritto da Sofia e poi mi chiese il mio punto di vista. Ricordo ancora l’imbarazzo e la paura di dire cose insensate. Quel brano venne confrontato con un altro per trovare analogie e differenze. Si sottolineava in particolare, l’importanza per i figli di ricevere attenzioni e affetto; i bambini vogliono riempirsi attraverso il genitore (autorità), ma alla fine, in condizioni inadatte, si svuotano e questo ambiente di aridità probabilmente li condizionerà anche nel futuro (“Per riempire il vuoto mi svuoto”).

Altre tematiche di cui abbiamo discusso ampiamente al Gruppo sono state la sfida e il rapporto con il limite. L’idea di base è che tutti avvertono, arrivati ad un momento della propria esistenza, che la figura del padre è un ostacolo per la propria emancipazione. Questo mette l’uomo a cavallo tra la voglia di emanciparsi e la fantasia di uccidere il padre che si contrappone alla libertà. Degno di nota è il fatto che l’unica vera emancipazione è quella che poggia su figure interiorizzate positivamente; altrimenti si tratta di ribellione (“Necessario il Re che nomina cavaliere”).

Abbiamo parlato anche della fragilità e di come questa spesso, quando si commettono reati ed errori in genere, venga usata per prevaricare su altri e non come risorsa. Ricordo ancora lo scritto di Silvia sul diverso trattamento riservato ai disabili e di quanto questo possa pesare se fine a se stesso, e/o per un finto perbenismo. “Le persone con disabilità sono cancellate come persone e viste solo come disabili. Ognuno di noi ha piacere nell’essere riconosciuto come la persona che si sente” Queste erano le parole del dottore alla fine del brano e credo riescano ad evidenziare bene come spesso la situazione di disabilità venga in un certo senso amplificata, dall’incapacità del mondo di vedere cosa effettivamente è ed è capace di essere quella persona oltre la sedia a rotelle…

Indubbiamente il tema più trattato è stato quello della tossicodipendenza soprattutto in vista del convegno. Attraverso dei brani scritti dai detenuti o da altri e per mezzo di accese discussioni, abbiamo delineato quelli che possono essere considerati come i fattori di rischio, le cause e quali fattori proteggono presumibilmente dal vortice della tossicodipendenza. Si è dibattuto a lungo sulla tossicodipendenza come “scelta o malattia” e sul “piacevole – dolore” della droga che permette di annebbiare i dolori lucidi ed insopportabili della vita, confondendoli tra il dolore della sostanza. Abbiamo discusso sul perché parlare della tossicodipendenza divida così tanto le persone in una moltitudine di punti di vista; abbiamo affrontato tematiche quali: il problema tossicodipendenza visto da chi è accanto al tossicodipendente, come cambia la tossicodipendenza in base allo status socio-economico, il rito della droga ed il suo “potere” di creare vite malate parallele, la possibilità di emanciparsi dalla droga, la tossicodipendenza vista come un altare dove sacrificare ciò che non si accetta, la mancanza di identità che porta ad assumere quella del tossico, le caratteristiche di chi si libera dalla tossicodipendenza, il rapporto tra la droga ed i reati, l’importanza delle reti relazionali e il perché c’è attrazione per qualcosa nonostante la consapevolezza del male che ne deriva…

Tutte queste tematiche sono state affrontate in seguito a proposte fatte dal dottor Aparo, che invitava i presenti a discutere su una questione e via via si approfondivano le riflessioni più rilevanti, oppure in seguito alla lettura di qualche brano consigliato o scritto da un membro del gruppo, reputandolo utile ai fini di un dibattito costruttivo. È così che, durante gli incontri, si stimolavano la curiosità, creatività, e la riflessione sulle proprie esperienze di vita.

Spesso è capitato che qualcuno portasse direttamente la sua personale esperienza all’interno della discussione. Io per prima, con non poca difficoltà, sono riuscita a tirar fuori una parte delicata di me e della mia vita, durante un incontro al carcere di Opera, e devo dire che mi ha aiutato a capire quanto discutere delle proprie fragilità sia estremamente utile, a maggior ragione se quelle tue esperienze possono aiutare gli altri a non commettere gli stessi errori. Nel corso di un incontro uno studente del Liceo Beccaria ha chiesto proprio che cosa i detenuti traessero da quegli incontri; ecco io penso che i detenuti in un certo senso riescano a sentirsi come io mi sono sentita quel giorno… Utili, meno fragili e meno soli!

La ricchezza di questo gruppo risiede nella capacità di affrontare temi molto complessi con una lucidità mentale, consapevolezza, senso critico, umiltà e voglia di mettersi in gioco enormi! Il tutto si svolge in un ambiente che non conosce distinzioni, che non marca differenze precostituite tra lo scritto di un detenuto o quello di un laureato, anzi, è tutto mosso in vista di una educazione e rieducazione di coloro che hanno vissuto e vivono una situazione difficile.

 

Presenza di un coordinatore/supervisore e
modalità di verifica/valutazione delle attività svolte

Il mio supervisore è stato il dott. Aparo, coordinatore del Gruppo della Trasgressione e anima dello stesso.

Il dott. Aparo è una delle persone più particolari che io abbia mai conosciuto… In alcuni casi avevo la netta sensazione che mirando su qualcuno cercasse di provocarlo e di metterlo in difficoltà, ed a volte quel qualcuno ero io. Poi con il tempo ho imparato che quel modus operandi era finalizzato a stimolare la curiosità e l’intelligenza. (Come dice spesso lui “Scomodate l’intelligenza di cui siete dotati!”). È un professore che non si accontenta mai, punta sempre al meglio, a capire di più. Penso che a volte, grazie alla complicità creata con i membri del Gruppo, riesca con il solo sguardo, a far capire quando si è effettivamente raggiunto un livello buono o quando non si è stati abbastanza critici e profondi. È un tutor fuori dagli schemi… Agli inizi mi ha un po’ sconvolta l’uso non convenzionale dei modi, del lessico, degli approcci, ma poi con il tempo ho compreso e apprezzato quanto potesse essere di aiuto quel modo di agire.

In alcuni casi, per esempio ricordo un detenuto che parlava della sua ascesa alla criminalità organizzata e di alcune sue convinzioni subdole, ho percepito l’atteggiamento del dott. Aparo “protettivo” quasi a voler tutelare i membri del gruppo e i contenuti che venivano veicolati. Riprendendo le parole di un signore… “non importa quello che dici o come lo dici, ma se sei sincero e rifletti, Aparo farà stare in piedi il tuo pensiero…”

Ci ho messo un po’ di tempo, ma ho imparato ad apprezzare la capacità del dott. Aparo di dare sempre fiducia all’umanità, di essere un angelo custode per i “suoi alleati”, nonostante spesso si ritrovi da solo a combattere e nonostante egli “non sia un prete” come ci tiene a specificare. Ho apprezzato la dedizione nel non lasciare indietro nessuno, rendendo comprensibili anche i discorsi più complessi. Penso che il dott. Aparo sia una di quelle persone che almeno una volta nella vita bisogna incontrare, per imparare a non accontentarsi di spiegazioni riduttive e a scavare a fondo, senza piangersi addosso, diventando tenaci e indurendo anche la corazza di fronte alle più dure difficoltà della vita.

 

Conoscenze acquisite (generali, professionali, di processo, organizzative)

Con il Gruppo della Trasgressione ho imparato che cosa significa lavorare in un team, darsi delle scadenze, dividersi i ruoli, essere operativi per tutti e con tutti. Grazie alle ricerche sulla tossicodipendenza e agli incontri a cui a volte partecipavano anche psicologi esterni, ho potuto imparare quali sono le modalità di intervento nell’ambito della dipendenza da sostanza, e in particolare gli effetti che questi hanno. Ho sentito, per la prima volta non leggendolo su un libro, che cosa significa vivere un dolore da astinenza o craving ed ho potuto astrarre dai racconti dei membri le teorie studiate in università.

Sintetizzerei il tutto dicendo che sono riuscita a dare concretezza a quello che spesso si studia solo teoricamente nel contesto universitario.

 

Abilità acquisite (tecniche, operative, trasversali)

Attraverso il mio tirocinio ho acquisito la capacità di lavorare in gruppo. Ho imparato ad ascoltare le opinioni altrui, a farmi domande, a cercare di esporre in maniera chiara e comprensibile i miei pensieri e ad accettare i tempi e le opinioni anche diametralmente opposte rispetto alle mie. Ho imparato il senso di appartenenza ad un gruppo, la priorità da conferire, in alcuni casi, alle difficoltà di uno per il bene di tutti.

 

Caratteristiche personali sviluppate

Questo tirocinio mi ha permesso di avvicinarmi e vivere un contesto che ho sempre visto molto lontano da me e dal quale in un certo senso mi sentivo attratta… Spesso mi sono chiesta che cosa portasse le persone a comportarsi in un certo modo, cosa li spingesse a trasgredire, che cosa ci fosse di diverso in quelle persone, e sicuramente non ho trovato tutte le risposte alle mie domande ma ho colmato alcune lacune.

Sono riuscita ad abbattere, non senza difficoltà, la mia idea che si dovesse essere il più oggettivi e distaccati possibile, per dare un vero aiuto alla causa. Inizialmente pensavo che non dovevo farmi coinvolgere, ma poi il gruppo, per come è concepito non permette un distacco del genere, anche perché non sarebbe fruttuoso per nessuno. Ho sentito storie davvero tragiche e commoventi, con le quali era facile entrare in uno stato empatico e altre storie che hanno lasciato dentro migliaia di punti interrogativi.

Non mi reputo una persona con dei pregiudizi, e questo tirocinio mi aiutato ancor più a rinsaldare in me la convinzione che spesso non sono le scelte che fai a definire realmente ciò che sei o che puoi essere… Al di là delle conoscenze operative e tecniche, ho imparato grazie al gruppo ad affrontare i problemi della vita in maniera più diretta e forse con meno orgoglio; ho imparato che a volte le cose non sono solo bianche o nere, e che è inutile aspettare che gli altri facciano ciò che noi vorremmo facessero… Trovare la forza e fare un piccolo passo avanti per quanto male causi, è la cosa giusta… Ed io, facendo oro di tali insegnamenti provo a camminare!

 

Altre considerazioni personali

Riflettendo su questo periodo trascorso con il Gruppo della Trasgressione posso dire che mi sento maturata. Spesso, anche se nel mio silenzio, mi sono posta un sacco di interrogativi su quali fossero le mie convinzioni ed in molti casi le ho messe in discussione. Molte volte mi sono chiesta tra me e me: “Cosa avrei fatto io al posto suo?”, e la risposta era sempre la stessa “dovrei trovarmi realmente nella situazione per saperlo…” Ho instaurato con tutti, ma in particolare con alcuni componenti del gruppo, un rapporto davvero bello. Non è stato facile all’inizio aprirsi, mettersi in gioco… A volte tacevo perché mi sentivo stupida, sentivo di non avere il diritto di parlare perché io “Chi ero? Cosa ne potevo sapere di quella sofferenza? Magari risultavo fuori luogo perché alla fine le mie esperienze erano troppo diverse dalle loro…”

Pensandoci bene mi sorprende la difficoltà incontrata nell’integrarmi all’inizio… Non era da me. Eppure con il tempo, scavando anche dentro me stessa e scovando tra i mille pensieri che ogni volta tornando a casa affioravano nella mia mente, mi sono accorta che se realmente volevo godere di quella opportunità rappresentata dal tirocinio al Gruppo della Trasgressione dovevo cercare di lasciarmi andare maggiormente.

Solo così ho potuto godere della “contraddittorietà del genere umano”, del suo essere forte e ambizioso e contemporaneamente fragile e sottomesso.

Nell’ultimo incontro, poi, ho ascoltato la storia di una Madre, appositamente con la M maiuscola, che ha donato a noi il suo coraggio e la sua tenacia. Appena ho sentito quella storia, con quella lucidità e con quella forza di raccontare anche i dettagli più crudi, mi sono chiesta immediatamente che cosa potesse spingere una donna a fare un passo tanto importante, dopo 26 anni dalla scomparsa di sua figlia, rischiando magari di trovarsi accanto una persona che aveva commesso lo stesso reato per cui sua figlia era venuta a mancare e rivivendo nei suoi racconti tutto il dolore legato a quella tragica storia. Avrei voluto farle i miei complimenti, ringraziarla per la sua presenza e per il suo dono prezioso da mamma e donna, ma non ho avuto la forza di proferire neanche una parola…

Ad oggi, mentre scrivo questa relazione pensando a quel momento, sento ancora i brividi sulla pelle, e posso solo dire che la signora è riuscita ad esprimere nella sua semplicità e chiarezza, e a fare arrivare ad ognuno di noi la forza e la vittoria che lei si è aggiudicata nei confronti di questa esistenza infame che le ha sottratto il dono più grande per un genitore…I figli.

Penso che quella signora è la mamma che tutte le donne vorrebbero essere un giorno e se ho avuto la possibilità di arricchirmi anche di questa storia è solo grazie al gruppo per cui non mi resta che ringraziare il Gruppo della Trasgressione.

Ascoltare il dolore altrui permette alle persone di andare lontano…”

Milano, 15/06/2016

 

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I detenuti fruttivendoli

Per gentile concessione de La Repubblica,
un articolo di Zita Dazzi del 21 giugno 2016

Il volto si riscrive

Il volto d’ogni uomo si sciupa e si riscrive
Antonino Di Mauro

Il tempo fugge… e ogni cosa si modifica, si deteriora, cambia: mutano i paesaggi, si alterano le cose, il volto di ogni uomo si sciupa e si riscrive nel sopravvenire delle rughe, così come la sua anima.

Come mai non sono stato capace di proteggere quella bellezza naturale con cui ogni essere umano nasce e che io sento ancora dentro di me? Come sono giunto a tale degrado?

Un ambiente disattento e degradato, salvo per qualche raro caso fortunato, può spiegare la vita di un uomo incrostato nell’animo e indurito nelle sue forme? Di un individuo arrabbiato, che ha letteralmente bruciato la sua esistenza? Che cosa mi aveva ridotto a una tale condizione? Come mai non sono stato capace di proteggere quella bellezza naturale con cui ogni essere umano nasce e che io sento ancora dentro di me?

Certamente ho bisogno di curare il mio essere perché è stato trascurato! Ma come si può curare un uomo cresciuto in balia di se stesso, convinto che le sue scelte fossero quelle giuste e quelle degli altri quelle sbagliate? Come fargli capire che lui il carcere lo ha già nella sua testa e che di questo carcere è lui stesso il carceriere? Quali sono gli strumenti per aiutarlo a crescere a dispetto degli anni, delle scelte, delle trasgressioni di una vita? Per riportare l’animo a una nuova bellezza che dentro di noi vuole tornare a risplendere? Forse una risposta vera e propria non esiste!

L’essenziale, per quella che è la mia esperienza, è ricercare e ritrovare in quello stesso uomo proprio il punto in cui si è perso; nutrirsi dei primi ricordi e riprovare a crescere in maniera naturale proprio dal momento in cui la fiducia nella guida si è spezzata; ritrovare quella stessa fiducia in chi oggi è presente e ti soccorre, in chi crede nella persona che puoi essere e vuoi diventare, e ti tende una mano. E credo che la cultura abbia un ruolo fondamentale in questo processo di ricostruzione e rigenerazione della personalità.

Infine, penso che quell’uomo avrà bisogno del maggior sostegno nel momento in cui avrà piena coscienza del fallimento della propria vita. Dico il maggior aiuto, perché credo sia un momento delicatissimo, dove si può raggiungere la depressione più totale.

Personalmente, potrei dire che fra tutti i miei rimpianti vi è quello di aver trascorso così tanti anni dove sono stato e dove mi sono privato del bello.

Restauro & Recupero  – Cittadinanza Attiva alla Fondazione Clerici

Secchio Bucato, 9-05-2016

Verbale dal Gruppo del Secchio Bucato
Sarah Coco

Iniziamo l’incontro riprendendo il concetto di “visione totalizzante” del tossicodipendente. Il dott. Aparo ricostruisce che il tossicodipendente attua una riduzione della complessità a poche variabili che siano compatibili con il suo panorama emotivo attuale: “…la persona tossicodipendente riduce la gamma delle sfumature della propria esperienza, ponendo al centro di ciò che accade la propria emotività contingente. Ovviamente, questo non vale solo per il tossicodipendente, pur se nel suo caso il fenomeno è accentuato dalla centralità del rapporto con la sostanza, dal fenomeno dell’astinenza e dalla progressiva riduzione di spazio, di relazioni e della gamma di emozioni che la tossicodipendenza causa: un circolo vizioso per cui il tossicodipendente rimane sempre più isolato dai propri sentimenti e dagli altri”.

Il secondo tema riguarda il rapporto operatore-utente:

  • Qual è il pensiero dell’operatore rispetto alla dipendenza da sostanze?
  • Quanto incide il suo stato d’animo nella relazione?
  • Quali sono le aspettative dell’operatore nei confronti dell’utente?
  • Come mai sembra che a volte non ci sia interesse ad avviare una relazione che aiuti la persona con una dipendenza a crescere e a instaurare un rapporto di fiducia reciproca?

Secondo il dott. Sanò, avendo il detenuto tossicodipendente diritto di usufruire delle misure alternative, è legittimo il suo interesse nel cercare di sfruttare ogni possibilità a proprio favore. L’importante è che le intenzioni siano chiare e che non ci sia una presa in giro e una manipolazione sul proprio stato di salute.

Alcuni detenuti mettono in luce che manca il tempo per stabilire un rapporto di fiducia con gli operatori e a volte percepiscono da parte di questi ultimi disinteresse nell’approfondire i loro reali problemi. Le stesse persone si chiedono se l’operatore abbia l’intento di curare oppure no e sostengono che gli operatori dovrebbero indurre il tossicodipendente a riconoscere il proprio problema nonostante le sue resistenze.

A questo riguardo, il dott. Aparo dice che “… in carcere è molto difficile realizzare le condizioni per instaurare col detenuto una comunicazione profonda; qui le persone tendono a negare gli aspetti di sé problematici. Nel contesto carcerario, d’altra parte, le norme legislative sulla tossicodipendenza coinvolgono inevitabilmente la relazione tra operatore e detenuto e la espongono a tentativi di strumentalizzazione da parte dell’utenza. Lo psicologo in tale ambito può sentirsi ora in colpa per la grande difficoltà di cercare una soluzione attendibile ai problemi del detenuto ora sconfortato per l’atteggiamento ostinatamente strumentale della maggior parte di loro“.

Per quanto riguarda la certificazione da parte del Sert, sembra che per ottenerla i detenuti tendano inizialmente ad accentuare le problematiche legate alla tossicodipendenza, mentre il problema sembra poi svanire quando non vi è più una utilità strumentale.

Ogni operatore sembra adottare un approccio personale a queste difficoltà, mentre i detenuti che si stanno impegnando sul tema sostengono che occorrerebbero momenti di condivisione con i detenuti. Secondo alcuni partecipanti, durante gli incontri del gruppo c’è la giusta atmosfera per intraprendere una seria riflessione su se stessi e per un dialogo proficuo con gli operatori (nonostante si parta da obiettivi diversi):

  • “Io credo che non sia una malattia, ma la conseguenza di una predisposizione”  Così la tossicodipendenza viene descritta da un membro del gruppo, che prosegue dicendo che è come se ci fosse “… un istinto di morte che ci spinge ad agire in un determinato modo. È necessario dunque ricostruire la mappa di sé e dei propri sentimenti, avviando una ricerca su di essi
  • I miei sentimenti di rabbia influenzavano la mia visione della realtà
  • C’è una mutilazione a livello emotivo, non possiamo accontentarci di dire che è una malattia perché non si risolve il problema prendendo una pastiglietta!”

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