Thanatos a Sisifo

Thanatos a Sisifo
Alessandro Crisafulli

Sono Thanatos, Sisifo, apri la porta, il tuo tempo è finito. Vedo che la tua arroganza e la tua stupidità non ti hanno ancora abbandonato. Forse sei ancora offuscato dal delirio di onnipotenza e non ti rendi conto che con me i tuoi giochetti non funzionano; io sono la Morte e rappresento il limite supremo con cui voi mortali dovete confrontarvi.

Vedi, Sisifo, io sono qui perché devo svolgere la mia funzione, anche se ti confesso che sono in difficoltà perché devo eseguire ordini che non comprendo e non condivido. Non credere che non ti capisca; da un po’ di tempo ho preso consapevolezza che il sistema del quale faccio parte non sta svolgendo la propria funzione, ossia favorire l’evoluzione degli uomini. Anzi, vedo sempre meglio che il potere che ho servito porta i più fragili, che spesso non hanno avuto una buona guida, a perdersi nell’illusione che ignorare il limite sia la via più spedita per raggiungere i propri obiettivi.

Ormai mi sento solo un emissario del potere; la mia funzione è svilita perché non è più al servizio degli equilibri fra uomini e dei, ma di un potere fine a se stesso. Dopo secoli di esperienza ho compreso che il limite andrebbe vissuto non come imposizione ma come protezione. Capisco che il tuo senso di inadeguatezza ti ha portato a inventarti una forma di libertà che esce dagli schemi; ma ascoltami, Sisifo, l’unica libertà possibile è quella che si esercita entro i confini tracciati dal limite condiviso; il resto è follia, rottura del patto con gli uomini, non solo del rapporto con gli dei. E questo, a lungo andare, porta al delirio di onnipotenza.

Non ti nascondo che, eseguendo ordini di un potere esercitato senza responsabilità, la mia frustrazione è aumentata notevolmente, al punto che per zittire le domande che la mia coscienza riportava a galla, sono diventato un alcolizzato. Guardandoti, vedo il fallimento del sistema di cui faccio parte. Mi chiedo come avresti potuto affrontare il limite supremo, se nessuno ti ha insegnato a superare le “piccole morti quotidiane”, rappresentate dagli insuccessi, le delusioni e le frustrazioni che inevitabilmente accompagnano i mortali nel corso della vita.

So che hai avuto la sensazione di trovarti di fronte a un bivio: da una parte l’anonimato e dall’altra il delirio di onnipotenza. Purtroppo non hai compreso, e non solo per colpa tua, che esiste una terza via, quella del lavoro, dell’impegno; solo attraverso la collaborazione e la mediazione con gli altri si possono costruire progetti a lungo termine, che consentono poi di essere apprezzati e riconosciuti.

Mi dispiace, Sisifo, che tu, non riuscendo a guarire dalle ferite che ti porti dentro, abbia cercato di importi con l’arroganza. Anche tu, come me, non hai saputo riformulare le domande che hai lasciato in sospeso e così la frustrazione ti ha spinto ad abusare del potere che temporaneamente ti sei trovato in mano.

So bene che da soli è difficile restituire vita a queste domande: senza tessere nuove e costruttive alleanze, ci si impoverisce e si muore dentro. Non hai considerato a sufficienza che quanto più ci si lascia condurre dalla voglia di rivalsa, tanto più si diffonde lo stile della vendetta e si sprofonda nelle zone buie dell’esistenza.

Purtroppo le tue scelte, prese e attuate senza il sostegno di una buona guida, hanno decretato il tuo fallimento. Oggi, però, tanto tu quanto io abbiamo bisogno che la tua esperienza e la tua scelta rimangano nella storia a beneficio di Corinto. Se non vuoi essere ricordato per avere abusato del tuo potere su chi aveva trascurato il suo dovere, ti invito a consegnarti a me e a riscattarti, accettando il limite che ti porto e la responsabilità che ne consegue; in questo modo darai anche un valido esempio ai tuoi figli e ai tuoi concittadini.

Dal canto mio ti prometto che mi impegnerò con tutte le mie forze per modificare questo sistema malato e per accompagnare i tuoi figli nella loro crescita come farebbe un buon padre.

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L’arroganza nel mito di Sisifo

L’arroganza di Asopo, di un padre che, invece di essere d’esempio, pretende dalla figlia un comportamento che lui per primo non pratica. Lo studio, l’aiuto in casa, le frequentazioni che esige da Egina in nome del senso di responsabilità sono per lui l’ultima delle preoccupazioni. Non ascolta la figlia, in realtà non la conosce. Non conosce il suo mondo, i suoi sogni, le sue aspettative nei confronti della vita, le sue insicurezze, i suoi desideri e la tratta con cieca e sorda protervia, inducendola così a ribellarsi e a spingere la ribellione a un confine estremo.

Arrabbiata e insoddisfatta, Egina sarà facile preda della seduzione di chi, con false promesse, la attira nel mondo dorato del potere, i cui protagonisti sono protervi quanto suo padre Asopo, ma abili nel nascondere la loro corruzione dietro un velo di rispettabilità.

L’arroganza della figlia che, comprensibilmente arrabbiata con un padre che non la sa guidare, si ribella e, sbagliando, si sente grande a sufficienza per sapere che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, rinunciando a un’analisi delle situazioni che con la sua intelligenza avrebbe potuto controllare, ma che con lo stato d’animo inquinato dalla rabbia vengono invece travisate e piegate alle sue voglie di rivalsa, travolgendola.

L’arroganza di Giove che, in cima alla piramide del potere, non è mai pago. Si aggira per la foresta e l’incontro con un’adolescente turbata, invece di spingerlo ad aiutarla, subito lo stuzzica inducendolo ad approfittare della di lei debolezza. La circuisce, la adula, tesse intorno a lei una vischiosa ragnatela d’abuso che la perderà. L’abitudine al potere gli permette di abusarne senza porsi alcun freno. Nessuna esitazione in lui, nessuno scrupolo. Ma al potere non dovrebbe stare chi lo merita? Chi per intelligenza, saggezza, competenza, rigore, integrità può essere d’aiuto e fare da guida al consesso degli uomini?

L’arroganza di Sisifo, Re di Corinto, sagace e attento ai bisogni del suo popolo e alle loro richieste. Agricoltori e militari, mercanti e sacerdoti, uomini di pace e di guerra e madri preoccupate trovano udienza presso di lui, vengono ascoltati, accolti con l’attenzione di chi è realmente motivato a fare spazio ai bisogni dell’altro. Turbato per la gravità del problema che affligge il suo regno, vaga per la foresta, riflettendo sulle possibili soluzioni. Il caso gli fa incontrare Giove e gli permette, non visto, di assistere alla seduzione di Egina. Subito comprende che ciò di cui è stato testimone potrà diventare una preziosa moneta di scambio, che prontamente spende quando, di lì a poco, incontra Asopo.

A questo punto, due diverse disperazioni si toccano: quella di un padre indegno, che cerca la figlia scomparsa e che è in fondo consapevole di essere stato lui stesso a farla fuggire, e quella di un re che, mentre carestia e degrado dilagano a Corinto, si è caricato di rancore verso tutte le divinità dell’Olimpo, sorde alle preghiere del suo popolo e capaci di ridurre il re di Corinto all’impotenza.

Sisifo, abilmente, in cambio delle informazioni in suo possesso, strappa ad Asopo, semidio preposto alle acque, la promessa che darà a Corinto tutta l’acqua che serve.

Due autorità con un problema da risolvere si accordano e lo risolvono, apparentemente senza violare nobili principi. Ma non è proprio così.

Asopo avrebbe dovuto fornire comunque l’acqua cui era preposto, perché era suo dovere, gli competeva per ruolo, ben sapeva che la siccità stava mietendo vittime e, soprattutto, non avrebbe dovuto sprecare l’acqua in opere di abbellimento e di intrattenimento, togliendola alle necessità del popolo. Asopo fa ciò che sarebbe stato suo dovere fare, solo perché costretto dalle circostanze.

Sisifo, per parte sua, risolve con successo il problema che affligge Corinto ma non resiste alla tentazione di umiliare Asopo, costringendolo a prostrarsi davanti a lui e utilizzando la temporanea debolezza del padre in una ghiotta occasione di rivalsa, di gratuito esercizio del potere in un frangente in cui i rapporti di forza sono ribaltati.

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