La ninna nanna e le mazzate

In previsione degli incontri e della collaborazione su “La ninna nanna e le mazzate”, si richiede di leggere i due dialoghi: “La rotta del peluche” e “Nica” e di rispondere ai seguenti item:

  • Prime evocazioni spontanee per ciascuno dei due dialoghi
  • Tratti distintivi dei quattro personaggi
  • Tratti emergenti della relazione nell’uno e nell’altro caso
  • Confronto fra i due dialoghi e individuazione delle analogie e delle differenze fra i due tipi di relazione genitori/figli
  • Quali conflitti vivono i genitori nei due dialoghi
  • A quali atteggiamenti ricorrono per affrontarli
  • Cosa fa venire in mente l’ultimo atto del figlio nell’uno e nell’altro caso
  • Prefigurazione di cosa accadrà negli anni successivi al dialogo nell’uno e nell’altro caso.

Dopo la lettura dei dialoghi, ci si può servire della voce “Lascia un commento” per rispondere alle diverse domande e per aggiungere ulteriori contributi personali.

Non è indispensabile rispondere a tutte le domande, che vogliono essere soltanto un aiuto per ordinare le idee e poterle confrontare con quelle degli altri scout e dei detenuti del gruppo.

Infine, chi ne ha piacere può partecipare all’iniziativa inviando a associazione@trasgressione.net un proprio dialogo che risponda ai requisiti richiesti per la serie “La ninna nanna e le mazzate”:

Un genitore vorrebbe fare addormentare il figlio, ma il bambino o l’adolescente continua a fare domande perché teme che, se si addormenterà, il padre o la madre andranno via. Le domande possono essere di qualsiasi genere. Ciò che non cambia è che, di fronte alle domande sempre più pressanti del figlio, le risposte del genitore diventano sempre più evasive, fino a quando, in uno scatto d’ira, il genitore esasperato addormenta il figlio con una scarpata in testa.

Chi lo desidera può chiedere di essere accreditato come collaboratore di Voci dal ponte e inserire direttamente sul sito il proprio racconto.

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Un paradosso divertente

E’ un divertente paradosso che l’uomo, quando non sbaglia strada, insegue l’infinito mentre cresce e diventa se stesso nella realtà finita. Chissà se ogni giorno fa i conti con la realtà nella speranza di raggiungere l’infinito o se punta all’infinito proprio per poter dialogare con la realtà! Facilmente, però, quando dimentica una delle due cose cominciano i guai! In ogni caso, sembra che un ponte permetta di fare più strada di uno sconfinamento.

Abbinamento con: Ho visto Nina volare, A Cimma, Anime Salve

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La dipendenza: scelta praticata o malattia subita?

Interrogarsi su cosa è la dipendenza non risponde solo a mera curiosità. Di fatto, ci si rivolge al tossicodipendente in modo diverso a seconda che lo si consideri un malato o una persona che sceglie più o meno liberamente di fare quel che fa.

Anche le norme penali che riguardano la dipendenza e, in particolare, la tossicodipendenza, sono inevitabilmente collegate al fatto che il comportamento in oggetto venga inquadrato come malattia o libera scelta.

Ma la questione è anche più complessa. Va infatti contemplato che il comportamento tossicodipendente possa nascere in virtù di una libera scelta e diventare nel tempo malattia. Il tossicodipendente è prigioniero della propria malattia o è responsabile di essersi consegnato alla malattia?

Il cittadino che abbia margini di scelta per aumentare o ridurre il proprio stato di malattia, a maggior ragione quando tale malattia comporti gravi conseguenze per la collettività di cui egli fa parte, ha diritto di alimentare la propria malattia?

La storia del tossicodipendente di solito parte da un equilibrio precario, per rispondere al quale occorrerebbe una guida capace di sostenere e di insegnare a guardare lontano, e si insabbia progressivamente in una relazione con se stesso e con gli altri per cui l’orizzonte progettuale diventa sempre più ridotto e la persona sempre meno incline a fare investimenti sulla realtà.

Si finisce dentro un loop! Ma quanto è utile al soggetto essere trattato come vittima del loop che egli stesso ha attivato? Quanto giova al progetto terapeutico che il loop della tossicodipendenza venga considerato una malattia?

E infine,  in quale ambito è utile considerare malattia la tossicodipendenza? Quello del rapporto del soggetto con se stesso e con la propria inclinazione a restringere la propria facoltà di scelta o quello dell’abuso di potere che il tossicodipendente compie quando commette reati?

Il pilota russo che ha deciso di suicidarsi portando l’aereo con 150 passeggeri a schiantarsi contro una montagna, se fosse sopravvissuto, sarebbe stato considerato un omicida che, in quanto malato, avrebbe potuto godere delle attenuanti relative alla malattia? Quanto siamo tenuti a rispondere delle malattie che ci procuriamo se queste malattie portano ad abusare del nostro potere sugli altri? Abbiamo il diritto di procurarci o di lasciarci prendere dalle malattie se continuiamo ad avere con gli altri delle relazioni che vengono pesantemente investite dalle nostre malattie?

Il tossicodipendente agisce per provvedere a una mancanza che lo fa soffrire; agisce mosso dalla mancanza quasi come un burattino mosso dalle fila. Ma quanto è utile al partner del progetto terapeutico rivolgersi al tossicodipendente come a un burattino? Cosa possiamo fare per rintracciare e motivare il burattinaio che, dopo essersi legato mani e piedi alle fila, è sparito dalla memoria, lasciando al loop della droga e delle relazioni che la circondano il compito di restringere sempre più la spirale del burattino? E che ruolo è opportuno che abbia in questa ricerca il tossicodipendente?

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Mandati di cattura

Ho saputo ieri dell’indagine sul conto di persone che hanno frequentato il gruppo nel recente passato e sento che non può essere ulteriormente rimandata la riflessione sulla difficoltà di emanciparsi dalla spinta a delinquere senza un innaffiamento continuo delle attività che alla delinquenza fanno da argine. Avevano smesso di frequentare il gruppo, ma lo hanno frequentato per anni e ciò non è bastato.

Se non possiamo riflettere insieme con le autorità istituzionali e strutturare con loro un piano, tanto vale chiudere il Gruppo della Trasgressione: responsabilità, rischi e frustrazioni a iosa, in cambio di quasi nulla! Ho bisogno di riflettere con le istituzioni, non per essere consolato ma per un progetto di cui possa essere verificata la consistenza.

 

Il fuoco del drago

Il fuoco del drago, Massimo Moscatiello

Siamo persone che nel corso del loro cammino si sono perse. Ci siamo inoltrati, poco consapevolmente, in oscure paludi, all’inseguimento di perverse eccitazioni; abbiamo invocato e adorato false divinità nel tentativo di negare le nostre fragilità e di zittire le nostre paure.

Immersi nel fango della solitudine interiore, abbiamo affidato alle illusioni il compito di tirarcene fuori, intanto che usavamo la rabbia, come fanno i draghi col fuoco, per sputare su chiunque provasse a mostrarci una linea alternativa al nostro delirio; siamo diventati prede di noi stessi mentre vivevamo come predatori della comunità e, pur continuando a invadere gli spazi altrui, abbiamo chiuso i nostri dentro miseri confini.

Oggi, consapevoli di essere divenuti pietre dalla sabbia, cominciamo a legare i nostri progetti con quelli di chi, cresciuto su fondamenta più solide, è diventato capace di cercare la propria libertà senza ricorrere a facili eccitazioni; oggi, accanto a chi abbiamo visto in passato come preda, proviamo a diventare a nostra volta membri attivi di quel mondo che pensavamo ci dovesse tutto, senza averne noi alcuna considerazione.

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Il corriere dei panni sporchi?

Quel giorno dovevamo andare a Rho per incontrare degli studenti; con Massimiliano eravamo d’accordo che sarei passato a prenderlo a casa sua. Novate milanese e Rho non sono distanti, ma non sono ben collegate. Max, prima di salire in macchina, apre il vano bagagli e ci butta dentro un borsone che somiglia a quelli con cui si va in palestra.

A Rho era in programma uno dei nostri soliti incontri per la prevenzione contro il bullismo. Max, Antonio, Giuseppe, Adriano raccontano dei propri trascorsi, ma soprattutto coinvolgono gli studenti con riflessioni su quanto oggi sia cambiata la loro visione della vita rispetto agli anni vissuti fra droghe e rapine.

Finisce l’incontro. Stavolta in macchina con me e Max c’è Adriano, detenuto nel carcere di Opera, a sua volta componente di spicco nel gruppo. Qualche commento sull’andamento della mattinata e arriviamo sotto casa mia dove posteggio e ci salutiamo; loro vanno a mangiare un panino, io ho una seduta in studio. Ci si rivedrà dopo un’ora per andare a piedi al gruppo esterno del martedì in Corso Italia.

Chiudiamo il gruppo e sono circa le 18, torniamo ancora a casa mia, dove la mia auto è rimasta posteggiata per tutto il pomeriggio. Prima di salutarci, Max dice “stavo quasi per dimenticarla“,  apre il portellone posteriore, prende la sua borsa e aggiunge: “se non porto i panni sporchi ad Angelo, cosa mi metto nei prossimi giorni?”

In una frazione di secondo mi passano per la mente un sacco di immagini e, soprattutto, vivo una diffusa sensazione di benessere che le accompagna tutte; mi chiedo che cosa avrei potuto portare inconsapevolmente in macchina se fossi stato amico di Max prima della sua ultima e attuale carcerazione… una decina di anni fa in quella borsa Max avrebbe potuto trasportare lo stesso genere di merce per cui ci siamo conosciuti in carcere.

insomma, è proprio bello rendersi conto, quando è ormai sera, di aver tenuto in macchina per un’intera giornata una borsa piena e non averci fatto caso! Cosa c’è da stupirsi se Massimiliano, uno che oggi va all’ortomercato alle 5 del mattino per comperare la frutta per la nostra bancarella, non ha una lavatrice con cui lavarsi i panni?

Sulla rotta del peluche

Sulla rotta del Peluche, Cisky

Papà: Adesso andiamo a fare la nanna, che papà ha da fare.

Bambino: Ma io non ho sonno papà… guarda sono sveglio! Perché non possiamo giocare un po’? Io voglio giocare con te!

P: Perché adesso non si può e perché devi dormire… domani giochiamo! Promesso, però soltanto se adesso chiudi gli occhi e dormi.

B: Allora raccontami una storia… una storia, una storia, dai una storia, ti prego, una storia.

P: Ti ho detto che non ho tempo! Mi ascolti quando ti parlo?! E ora dormi, che devo andare.

B: Uffaaa, ma perché devi sempre andare via? Tu non dormi?

P: No! Tu devi dormire! lo devo uscire per pensare a te e alla mamma, così non vi mancherà mai niente.

B: Però tu non ci sarai, papà!

P: Cerca di chiudere gli occhi, non farmi arrabbiare.

B: Ma perché devo dormire per forza?

P: Perché te lo dico io!

B: Io devo fare tutto quello che mi dici perché sei grande?

P: Sì, è proprio così, e tu devi solo ubbidire.

B: allora voglio essere grande per comandare anch’io!

P: Guarda che mi stai facendo perdere la pazienza, tra un po’ le prendi se non mi dai retta… forza cerca di dormire.

B: Papà perché non mi abbracci mai?! Perché non mi dici mai ti voglio bene?! Perché non capisci quello che voglio?!

P: Ti avevo avvisato (prende il bastone), adesso basta, te le suono!

Il bambino blocca il colpo afferrando il bastone e togliendolo poi di mano al padre

B: No papà! lo sono grande, adesso mi “arrabbio” io!

Il bambino lancia contro il padre il peluche che abbracciava, sostituendolo con il bastone… e stringendo al petto il nuovo feticcio si addormenta

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Lo scopo del dolore non è la reclusione

Non era questo il primo sogno, di certo non era togliere la vita per vivere, non era vendere polvere per respirare. Da piccoli, abbiamo morso il seno delle nostre madri per paura che ci potesse sfuggire dalle mani… per il piacere che si prova a possedere e controllare le cose.

Poi i più fortunati di noi hanno imparato a tollerare l’attesa del latte, ad aver fiducia che la carezza, da lì a poco, sarebbe arrivata; altri hanno forse dovuto aspettare troppo, e così hanno imparato a usare le loro mani per controllare e dirigere quelle degli altri o addirittura per cancellarle.

Ma la malattia del controllo alla fine rende schiavi e, così, molti hanno anche lasciato crescere i propri figli con il padre in carcere… poi, durante la detenzione, è diventata sempre più chiara la consapevolezza che i figli, nella traversata dell’adolescenza, sarebbero potuti rimanere sedotti dalle stesse mire e, a loro volta, vivere ingabbiati nella perfida illusione del burattino che fantastica di dirigere il mondo.

Adesso, chi vuole può provare a tornare al suo primo sogno, a recuperarne le spinte, i sapori, gli orizzonti. Di certo i nostri figli ci saranno grati se sapremo interpretare la nostra rivoluzione, se sapremo, dal nostro dolore, ottenere spazi più ampi per la nostra e per la loro evoluzione.

Lo scopo del dolore non è la reclusione,
la meta è all’orizzonte, è la rivoluzione

Abbinamenti con: Prima e oltre il confine

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Nica

NicaSofia Lorefice

Una donna si specchia e trucca. Una bambina la segue e la imita. (La bambina calza delle scarpe con il tacco uguali a quelle della donna grande ma che a lei vengono troppo grandi)

Nica: Perché ti specchi?

Donna: Perché voglio essere bella.

Nica: E perché vuoi essere bella?

Donna: Perché nel mio lavoro bisogna essere belle per essere considerate importanti.

Nica: Tu per me sei importante e bella!

Donna: (la donna grande sospira) Nica, non sono tutti come te, per gli altri devo essere più bella.

Nica: Chi sono le persone per le quali devi essere più bella?

Donna: Sono piccoli uomini potenti e annoiati che possono farmi fare carriera, altrimenti la faranno fare a un’altra.

Nica: E chi è quest’altra?

Donna: Una più bella di me.

Nica: Ma chi è più bella di te?

Donna: (innervosita) Ora devo uscire, mi aspettano, ho un lavoro importante. Tu ora addormentati dai…

Nica: Raccontami una storia, la storia di Biancaneve e io mi addormento!

Donna: Non posso Nica, vorrei tanto stare qui con te, sarebbe un sogno! Ma oggi sono troppo di fretta, la storia te la racconto domani. Tu ora vai a letto…

Nica: Ma la regina di Biancaneve era cattiva?

Donna: (annoiata) Sì

Nica: Perché?

Donna: Perché era narcisista.

Nica: Cosa vuol dire narcisista?

Donna: Che si guardava solo allo specchio.

Nica: Perché la strega si guardava solo allo specchio?

Donna: (distratta) Perché voleva essere la più bella del reame.

Nica: E perché voleva essere la più bella del reame?

Donna: (in ansia, perché in ritardo) Perché non conosceva nessuno che la facesse sentire bella e importante. Ora però dormi. La storia te la racconto domani.

Nica: E perché voleva uccidere Biancaneve?

Donna: Perché era più apprezzata e amata di lei.

Nica: Da chi era amata e apprezzata Biancaneve?

Donna: Dai sette nani e poi dal principe.

Nica: E chi erano i sette nani?

Donna: (dolce) 7 piccoli uomini gentili e fedeli.

Nica: E il principe?

Donna: Dai Nica dormi…. Il principe era un sogno che contava più della realtà.

Nica: Perché la strega dà la mela a Biancaneve?

Donna: Perché voleva avvelenare i sogni che lei non sapeva sognare.

Nica: Ma allora perché la strega fa un incantesimo dal quale Biancaneve viene liberata e non uno che dura per sempre?

Donna: (la Donna Grande piange) Perché i sogni, in fondo, non muoiono mai… stanno in dormiveglia e sperano che qualcuno riesca a risvegliarli.

Nica: Allora la regina non era cattiva?

Donna: Forse no.

Nica: E allora cosa era la regina?

Donna: Sola e fragile.

 

La donna (triste) bacia la bambina ed esce dalla porta. La bambina guarda la porta, comminando con le scarpe col tacco, si dirige verso una bambola che somiglia alla donna grande; la osserva, la studia, quasi la interroga, poi osserva le scarpe che ha ai piedi e se ne sta qualche momento pensierosa… chiedendosi se tenerle o metterle via. Infine, con atteggiamento fiero e soddisfatto decide di tenerle, va verso il suo orsetto di peluche, lo prende, lo abbraccia, torna verso la bambola e glielo mette delicatamente fra le braccia.

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