Si alza il sipario e va in scena una tradizionale conversazione tra colleghi che si pongono domanda e si danno, spesso, risposte di circostanza. Anche se a volte…
“E dove hai fatto il tirocinio?”
“L’ho fatto a Milano in un’associazione che si chiama Gruppo della Trasgressione”.
Rispondo, sperando che la conversazione non prenda troppo piede
“E che ti hanno fatto fare?”. Mi chiede il collega, forse incuriosito dal nome.
“Non mi hanno fatto fare niente, sei tu che decidi quanto e come fare. Non ci sono capi né padroni. Al massimo vieni stimolato a conoscerti e il tuo silenzio non viene accettato di buon grado.”
“Sei andato in una di quelle associazioni in cui non si fa un cazzo quindi”
Conclude il collega con un sorriso che è un misto tra ammirazione e invidia.
Allora leggermente infastidito rispondo:
“Secondo te, con quel poco che ci fanno mettere in pratica, andavo in un posto in cui non si fa un cazzo? Sono dei gruppi terapeutici che si svolgono fuori e dentro le varie carceri milanesi: San Vittore, Bollate e Opera (che è il carcere di massima sicurezza). Le persone che prendono parte sono detenuti, ex-detenuti, civili, vittime e familiari di vittime, studenti e studentesse. In pratica chiunque voglia.. è più università il gruppo della trasgressione che l’Università stessa.
Ah, a guidare la conversazione c’è uno psicoterapeuta con orientamento analitico. Si chiama Angelo Aparo, ed è stato uno dei primi psicologi penitenziari d’Italia. Lavora in carcere da non so quanto tempo ormai, ha sviluppato di sana pianta un suo metodo di conversazione con i detenuti che porta veramente tanti e succosi frutti. Il vero problema è che il gruppo non vede una lira dallo Stato, le attività del gruppo sono autofinanziate e gli studenti che vi partecipano, purtroppo, lo fanno da volontari. Così come fondamentalmente è un volontario il professore di cui ti parlavo.”
“Quindi sei entrato in carcere.. deve essere stato pesante.”
“Ma una volta uscito da quel posto mi sentivo molto meglio. Sentivo di essere cresciuto un po di più e di aver fatto un’esperienza che in pochi possono raccontare. Mi sono reso conto di quanta sofferenza non vediamo. E mi sono reso conto di quanto lo Stato abbia una fetta di responsabilità nella sofferenza dei detenuti e delle detenute. Se ci pensi anche solo il fatto che l’assistenza psicologica è ancora marginale all’interno del carcere che accoglie persone portatrici di sofferenza, e per tentare di “rieducare”, le isola e continua a far vivere loro situazioni di disagio come vivere senza privacy, in pochi metri quadrati, dovendo chiedere continuamente il permesso per ogni cosa e dovendo rispettare un programma giornaliero che va seguito indipendentemente dalla loro approvazione o disapprovazione. C’è una cosa che ho imparato nel gruppo a cui non avevo mai pensato prima. Il carcere non chiede niente alla persona, gli impone solo cosa non fare. Le persone in carcere non vengono responsabilizzate e le responsabilità che avevano prima di entrare in carcere, non possono rivendicarle, non possono provare a prenderle, nonostante gli appartengano.
Per fortuna ci sono dei magistrati e dei direttori che sono un’eccezione. Forse hanno capito il controsenso del carce..”
“Aspetta ma non hai detto che questo gruppo della Trasgressione opera all’interno del carcere? Quindi si potrebbe dire che il gruppo della Trasgressione è un servizio che offre il carcere!”
“Sì il gruppo c’è una volta a settimana in tutte le carceri milanesi, adesso probabilmente inizia anche al carcere minorile, il Beccaria .”
“Allora vedi che non è tutto una merda.”
“Avere una visione critica di qualcosa non significa pensare che sia tutto una merda. Ti raccontavo dei problemi che ho riscontrato affinché si possano costruire realtà necessarie e di spessore come quella del gruppo della Trasgressione, i corsi di teatro, poesia, pittura e la possibilità di studiare all’interno del carcere”.
“Ma perché necessarie? Che fate di utile per una persona che ha ucciso qualcuno per esempio?”
“ Si parla. Ti sembra poco? Si parla del reato, delle cause e delle conseguenze di quel gesto. Si parla di sentimenti, attaccamento familiare, ambiente in cui queste persone sono cresciute ma c’è spazio anche per la filosofia, l’attualità ecc…
Si cerca di fare gli esseri umani, provando a dare un senso alle cose, senza incolpare o incolparsi, senza perdonare o essere perdonati. Si cerca di accettare la realtà, di accogliere se stessi. Si cerca di utilizzare una comunicazione non giudicante, mettendosi costantemente in discussione. All’interno di un gruppo, chiunque ha delle responsabilità verso se stesso e verso gli altri e questo è utile per tutti e tutte, figuriamoci per una persona che sta chiusa per anni nello stesso luogo, con pochi stimoli e tanta frustrazione.”
“Sì, ma questo lo pensate solo voi che avete studiato. I detenuti non potrebbero vedere questa cosa del gruppo come una scorciatoia per uscire più velocemente?!”
“Sicuramente questo è accaduto e accadrà. Alcuni detenuti si avvicinano al gruppo per fare bella figura con la direzione e con il direttore del carcere. Ma sei sicuro che sia importante il motivo per cui si incomincia a fare qualcosa? Secondo me è più importante vedere dove ti porta quella cosa, come ti plasma, come ti tormenta fino a modificarti. Non puoi partecipare al gruppo fingendo che ti interessi, recitando una parte che non è la tua, indossando una maschera che già non possedevi. Il gruppo ti stimola a indossare la maschera migliore che hai, a essere la versione migliore di te stesso.
Una volta al carcere di Bollate, dopo aver finito il gruppo, un membro del gruppo detenuto ormai da anni, ci ha tenuto ad avere una conversazione con me. Mi ha trattenuto dopo i consueti saluti perché ci teneva a sapere il mio punto di vista. Un uomo sulla sessantina, che si interessa del pensiero di un ragazzo di 23 anni. Questo è solo un esempio di quanto può ricevere chi prende parte a questo progetto. Poco dopo quella conversazione, un ragazzo entrato da pochi mesi in carcere mi ha chiesto quale attività avessimo fatto. Dopo averglielo spiegato mi ha domandato come poter partecipare al Gruppo della Trasgressione…”
“Insomma, è stato bello!”
Mi risponde il collega dopo il pippone inaspettato che gli ho attaccato. Forse voleva concludere la conversazione con un lieto fine, ma non era il mio stile e soprattutto non rispecchiava la realtà. Allora mi sono sentito di aggiungere:
“Si bello ma quando vieni a sapere che nello stesso carcere in cui sei entrato qualche giorno prima si sono tolti la vita due ragazzi di vent’anni circa, ti assale un’angoscia non facilmente gestibile. Cominci a cercare quei nomi su facebook per capire se facevano parte del gruppo o anche solo se avevi involontariamente visto una delle loro facce, uno dei loro sguardi.
Nel 2020 si pensava di aver registrato il più alto tasso di suicidi in carcere dell’ultimo ventennio, ben 11 ogni 10000 persone (61 suicidi totali). Invece questo triste primato è stato abbondantemente battuto nel 2022 in cui si sono suicidate in carcere 85 persone. 85 persone. Ci vogliono fondi per arginare questo problema e per dare ai detenuti e alle detenute la possibilità di pensare a qualcosa di diverso per le loro vite. Comunque.. questo è! Scusa se mi sono dilungato… Ma tu invece che tirocinio hai fatto?”
“Ah niente di che, sono finito in un ente pubblico in cui mi facevano fare delle sintesi.”
“Ah, capito”
“Ora devo andare, mandami il link dove posso leggere qualcosa del gruppo se puoi. Ci vediamo!”
“Certo, ciao”.
Davide Leonardo