Nominare il rancore

Credo sia proprio vero che, se per anni si costruisce la propria identità sul rancore, abbandonare quest’ultimo è un’impresa: equivale a concedere a sé stessi di lasciar andare uno scheletro che, per molto tempo, ha sorretto la propria persona; fa paura l’idea di doverlo sostituire e ricostruire su basi differenti; si corre il rischio di rimanere o sentirsi privi di un appoggio al quale aggrapparsi in momenti di difficoltà. Se provo rancore nei confronti di qualcuno, posso contare su di esso per non smarrirmi quando la persona in questione mi ferisce. Il rancore è un’armatura che sì, protegge dal dolore, ma che in ogni caso limita la libertà di chi la indossa.

Nel momento in cui si manifesta, il rancore trova espressione nel male, che sia esso prodotto a danni di altri o di sé; un male che, gradualmente e in maniera inconsapevole, diventa parte della quotidianità di chi lo esercita. Il rancore è, insomma, una trappola che promette sicurezza in cambio della distruzione dell’individuo, del suo rapporto con gli altri e con la realtà.

Il rancore, oltretutto, induce la persona a trovare delle giustificazioni valide per poterlo sentire come un proprio diritto e questo porta a stravolgere l’esame delle cose (a volte, le ragioni che vengono accampate possono risultare comprensibili, ma valide non lo sono mai). Ma in definitiva, con o senza giustificazioni, il rancore è doloroso, fa star male, ci si sente pidocchi, per citare Dostoevskij.

Io, per esempio, sento di provare il timore di un confronto con mio padre; è una duplice paura: da un lato, c’è il rischio di sentirmi ferita per l’ennesima volta, un dolore al quale non saprei davvero come reagire; dall’altro, però, c’è il timore che invece il confronto porti a qualcosa di arricchente, a un punto in comune dal quale partire per costruire una relazione sana; vorrebbe dire dover ammettere con me stessa che mio padre non si merita il rancore che provo nei suoi confronti, e magari realizzare che non se lo è mai meritato. Spaventoso!

E intanto che scrivo, mi rendo conto di provare, oltre alla frustrazione, un fondo di ”simil soddisfazione” ogni volta che trovo giustificazioni al mio senso di tradimento da parte sua, giustificazioni che ho, appunto, timore di perdere dopo un dialogo con lui. Me ne vergogno, lo trovo orribile, è conseguenza dell’attaccamento al rancore di cui si è parlato recentemente al gruppo.

Eccolo un primo strumento per iniziare a sciogliere i nodi del rancore: nominare le cose rendendole più tangibili, trovargli una collocazione nella realtà; è il lavoro che si svolge al tavolo del Gruppo, che ciò derivi dal dialogo tra i vari componenti o dalla produzione di uno scritto sul quale, poi, confrontarsi insieme.

In relazione all’argomento in questione, si è parlato anche di bilance tarate male: in un conflitto, ogni persona coinvolta possiede una propria bilancia per pesare il “diritto alla vendetta” che il male inflitto e subito “autorizza”, e le due (o più) tarature non coincidono mai tra loro.

Credo che un altro strumento utile a slegare i nodi sia proprio un confronto, in un primo momento, sulle due bilance difettose, e, a seguire, la ricerca di una bilancia comune. É impossibile rinunciare al rancore nei confronti dell’altro se non ci si concede di interagirci, per comprenderlo e per tentare di farsi comprendere; non si può crescere scegliendo di rimanere all’oscuro del sentire dell’altro, sia il conflitto tra padre e figlia o tra istituzione e delinquente.

É dalla condivisione dei diversi punti di vista che nasce, poi, la possibilità di adottare una nuova bilancia, ben funzionante e leggibile per tutti.

Beatrice Ajani

Il diritto al rancore e il paradosso della mente ubriaca
Genitori e figli

Gli intrecci della famiglia Karamazov

“I fratelli Karamazov” è un libro di Fëdor Dostoevskij, autore russo vissuto nell’Ottocento e di importanza internazionale. Vi si narra la storia dei quattro fratelli Karamazov e del loro complesso rapporto con il padre Fëdor.

A ben guardare, le difficoltà emergono nei rapporti con la figura paterna in generale, non solo con il loro comune padre biologico. Ciascuno dei quattro fratelli, infatti, per fuggire ora dall’insofferenza nei confronti di un padre inconsistente, ora dalla rabbia verso un padre volontariamente deludente, si rifugiano ciascuno nella ricerca di una figura che possa sostituirlo.

Dmitrij è il primogenito, figlio della prima moglie di Fëdor Karamazov, ed è il più apertamente in conflitto col padre. Che sia a causa di denaro, dell’amore per la stessa donna o dell’affetto mai ricevuto dal padre stesso, i conflitti con quest’ultimo sono sempre accesi. Burrascoso, facilmente violento e senza freni inibitori, Dmitrij è forse il figlio che ha il rapporto più “sano” col padre, proprio perché non nasconde la propria aperta e profonda avversione nei suoi confronti.

Ivan, secondogenito e figlio della seconda moglie di Fëdor Karamazov, è il fratello intellettuale. Si dedica alla scrittura e a ragionamenti sui massimi sistemi, pur di sfuggire alla brutalità della realtà materiale. Non a caso, le sue riflessioni più dolorose riguardano proprio la fede e Dio, cioè quanto di meno materiale ci sia. Ivan cerca disperatamente una figura paterna che possa sostituire Fëdor, ma per Ivan Dio non si comporta in modo adeguato o semplicemente non esiste. Ivan si rifiuta di accettare un disegno superiore di bene in cui possa rientrare il dolore degli innocenti, così, pur rinunciando all’idea di eternità, cerca riagganciare l’amore e l’idea di amore per l’uomo in quanto tale. I conflitti di Ivan col padre sono perlopiù interni e non sempre esplicitati, ma non per questo meno intensi.

Alëša, figlio della stessa madre di Ivan, è il fratello minore. Viene presentato come quello più in pace con sé e con il padre, ma ciò è dovuto unicamente al fatto che non riconosce più Fëdor come il suo vero unico padre. Non soltanto, infatti, è interamente proiettato nella dimensione spirituale della fede (riconoscendosi quindi innanzitutto figlio di Dio e non di Fëdor), ma si è anche totalmente affidato allo starec Zosima, guida spirituale che supplisce egregiamente alle mancanze del vero padre di Alëša. Egli, in apparenza più risoluto e disteso nei suoi rapporti con chi e quanto lo circondano, riesce in ciò solo tentando di fuggire dai conflitti del mondo. Inizialmente rinchiusosi in monastero, sarà grazie allo starec Zosima che inizierà realmente a vivere il e nel mondo, con una buona parte dei conflitti interiori che ciò comporta.

Smerdjakov è l’ultimo dei fratelli Karamazov, figlio illegittimo e non riconosciuto di Fëdor, avuto da una donna che viveva per strada e morta di parto. Nato (letteralmente) in una latrina, cresciuto da uno dei servi di Fëdor ed educato ad essere tale, cioè al servizio del padre e poi dei fratelli, soffre di epilessia ed è la figura più oscura tra i quattro. Si tratta del figlio nei cui confronti il padre e la vita hanno il debito più consistente, ma che, nondimeno, sembra riuscire a mascherare meglio o a convivere apertamente con il suo stabile disagio nei confronti del mondo intero. Sarà proprio lui l’assassino del padre e morirà suicida.

Il romanzo contiene al suo interno narrazioni e riflessioni che avrebbero potuto costituire libri autonomi, come “Il Grande Inquisitore”, poema scritto da Ivan.

“I fratelli Karamazov” è la storia dei complessi e dinamici intrecci tra i membri della famiglia Karamazov, che guidano anche i loro rapporti con tutte le figure circostanti, ognuna delle quali resterà, in misura diversa, incastrata in tali nodi e intrichi. Le complessità dei rapporti umani, il peso della responsabilità collettiva, il senso di colpa dovuto non ad atti ma a intenzioni, il peso e il dolore della fede e dell’assenza di fede, la difficoltà di intendere cosa sia e come vivere la libertà, l’elaborazione di dolori diversi per origine e intensità, l’inquietudine del dubbio. In questo romanzo c’è proprio tutto.

Elena Tribulato

I Conflitti della famiglia Karamazov

Il Credito e la Speranza di Dmitrij

Una parola, tanti significati, un <credito> che può essere variamente interpretato, a cui si può dare risposte diverse e da cui possono derivare conseguenze altamente diseguali. Fondamentale dinanzi ad un bivio è riuscire a percorrere il sentiero della bontà e della giustizia, quello del bene, come ha fatto Marisa.

Essenziale nel percorso è trovare un sano e credibile punto di riferimento che possa dare una svolta positiva alla propria vita e ritengo che, per rispondere alla domanda, questo sia l’obiettivo della mia ricerca: poter essere Speranza per chi quel credito ha pensato di riscuoterlo violando le regole di una sana convivenza, poter far loro capire che c’è chi li guarda con occhi diversi, che prova del bene, che è pronto a tender loro la mano per una sana rinascita e una corretta espiazione della pena, affinché sia la più consapevole ed educativa possibile. Cosa meglio di un dialogo che nasce per volere e non per dovere?

Nella vita non è mai troppo tardi per riscoprirsi, per scriversi una lettera di incoraggiamento come ha fatto Stefano, non è mai troppo tardi per scegliere il bene e l’onestà; nella vita non è mai troppo tardi per chiedere aiuto e allora io vorrò essere in questi incontri, e perché no, anche dopo, quel qualcuno che questo aiuto è felice di darlo, con un sorriso, con una parola, con la presenza, con un libro. 

Mi piace pensare che, nell’incontro di ieri, chi era lì detenuto ci abbia visti come ragazzi aperti, accoglienti e non escludenti, intenzionati a dare coraggio a chi sta riflettendo sui propri errori per non commetterne più.. credo che tutto questo sia Speranza!

Martina Bianchi

I Conflitti della famiglia Karamazov

Materiali per Delitto e castigo

Abbiamo trovato 43 studenti/esse di giurisprudenza per dare forma – dentro le mura del carcere di Opera – ad una singolare ricerca sul delitto e le sue molteplici conseguenze, dialogando insieme a chi ne ha già commessi parecchi e chi ne ha subiti alcuni.

Dopo la nostra lettera di invito, sono giunte moltissime candidature anche grazie ad un articolo di Luigi Ferrarella pubblicato sul Corriere della Sera.

Siamo, allo stesso tempo, ugualmente soddisfatti per avere ricevuto il dono delle copie di Delitto e castigo necessarie al progetto e destinate alle persone detenute: merito della sensibilità di molti tra i quali gli amici di Caterpillar (RAI RADIO2).

 

Mercoledì 2 novembre abbiamo iniziato … ecco i materiali per seguire la nostra ricerca anche fuori dal carcere:

Il resoconto dell’incontro del Gruppo della Trasgressione con il Prof. Fausto Malcovati su Dostoevskij  (5.7.2005)

Le suggestioni visive tratte da una trasposizione televisiva RAI del romanzo di Dostoevskij in 5 puntate

Le versioni di Delitto e Castigo per i piccoli lettori [di Abraham B. Yehoshua e Osamu Tezuka]

INTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

PRIMO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

SECONDO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

TERZO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

QUARTO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

QUINTO INCONTRO_SCHEDA MATERIALI_delitto e castigo al carcere di Opera_nov22

E – per chi volesse comprendere qualcosa di più sulla complessità della nostra ricerca – ecco lo sguardo attento, discreto e rispettoso di Maria Chiara Grandis per il suo reportage televisivo  [tratto da Tg2 Storie, puntata del 27.11.2022]:

Delitto e Castigo (contribuiti dei partecipanti)