Questo “assegno” nasce da un debito nei confronti del gruppo. Sento di aver ricevuto tanto e di aver dato poco. Sicuramente non basterà ad andare in pari ma ho deciso di raccontare una breve storia, che poi è la mia storia. Sono contento di constatare che, attraverso vie per me non sempre chiare e comprensibili, si stia formando un gruppo di pari, uno spazio dov’è possibile parlare, confrontarsi, condividere pezzi di interiorità attraverso l’incontro/scontro di idee, visioni del mondo, esperienze di vita diverse. È molto arricchente e vi ringrazio. Ecco il mio piccolo racconto dal titolo:
“Un’altalena in cerca di albero”
Non si capisce bene dove si svolga la vicenda né chi siano i personaggi. La notte è appena giunta al termine e già si intravede il crepuscolo mattutino. Un’ombra spunta dall’orizzonte. Sembra un’automobile. Ma no, è troppo squadrata e piccola. Un mini-frigo forse? No, è una semplice asse di legno. No, no a guardarla bene è qualcosa di più, un’altalena forse? Sì, direi proprio che è un’altalena quella.
Dopo aver dondolato per un po’, l’altalena si ferma davanti a delle alte mura. Ecco che intravede un massiccio portone di bronzo semi aperto. Entra. Improvvisamente le mura scompaiono come per magia e si trova immersa in un grande campo. Pensa: “che bel campo, mi stabilirò qui”. Con il passare degli anni l’altalena si accorge che in realtà il suo campo non è poi così accogliente: è pieno di pietre, erbacce e rovi; le raffiche di vento sono continue e rovinose. Ha bisogno di un luogo sicuro dove legare le sue funi.
Un giorno finalmente intravede una possente quercia con una chioma molto rigogliosa, è proprio lì in un angolo. Era sempre stata lì ma lei non era mai riuscita a vederla, per quanto si sforzasse di guardare. Quella quercia diventa per l’altalena rifugio, luogo sicuro dove aggrapparsi e dove poter riposare dalle fatiche del campo. Questo è l’albero sul quale aveva sempre desiderato attaccarsi.
Un giorno quell’albero fu colpito da un fulmine e si incendiò velocemente. L’altalena uscì viva dalle fiamme ma era di nuovo in cerca di un albero. Vagava dondolandosi su e giù senza una meta in balìa dei venti e incontrava spesso sul suo cammino degli avventurieri che, passando, la spingevano forte, non curanti che in fin dei conti era solo un’altalena. Ogni tanto qualche bimbo decideva di salirci sopra e giocare. Lei era contenta perché si sentiva utile e donava loro un sorriso. Quei sorrisi le davano forza. Sì, la forza di darsi la spinta e tendere di nuovo verso un nuovo albero. Sapete però come sono fatte le altalene: più spinta dai in avanti e più ricevi una spinta uguale ma contraria verso l’indietro. Per l’altalena era molto frustante vedere come, appena tentasse di toccare con la punta della sue assi i rami più esterni di un albero, subito si attivasse il moto che la spingeva indietro, non al punto di partenza ma ancora più indietro!
Passarono gli anni e i tentativi dell’altalena proseguirono con gli stessi scarsi risultati. Un bel giorno, stanca di tutto questo dondolare e con un forte capogiro decide di fermarsi e di riflettere. Che cosa stava facendo? Aveva davvero bisogno di un nuovo ramo? Per la sua natura era in grado di darsi una spinta che non la facesse ritornare indietro? Aveva passato così tanto tempo a cercare un nuovo albero da non sapere più se fosse davvero necessario trovarne uno.
Si rese conto che il suo animo aveva ricevuto tutto il nutrimento necessario per affrontare il campo, che ora poteva proseguire da sola. Non restava che accettare la sua condizione di perenne dondolio: le altalene non sono fatte per stare ferme una volta per tutte, neppure sulla quercia più bella del campo. Nei momenti difficili, sapeva che poteva sempre pensare a quella vecchia quercia che l’aveva salvata ma che non aveva più bisogno di averla come sostegno. In fin dei conti, era già stata un’altalena tanto fortunata ad incontrarla.
Pensò: “Forse la vera condizione delle altalene è quella di dondolare infinitamente ma tutte le altalene dovrebbero poter trovare nella propria strada un albero come il mio a cui tendere, un albero da cui tornare, dove ricevere il nutrimento dell’anima, nutrimento che dà forma a quell’insieme di valori, affetti, pulsioni del cuore e tensioni della mente che chiamiamo interiorità. L’interiorità che ci rende altalene”.
Gabriele Ambrosio