Progetto Utopia

Premetto che nella mia esperienza, già prima di mettere piede all’interno del carcere, tutto quello che accade per un giovane che ha commesso un reato è sbagliato: è sbagliato il modo in cui il reo è arrestato; è sbagliato l’interrogatorio, spesso in assenza di supporto psicologico o di un avvocato, è sbagliata la traduzione in carcere, il tutto in mancanza delle vigenti normative ed applicazioni.

L’impatto con il carcere, a partire dall’ingresso e dalla immatricolazione, andrebbe accompagnato spiegando al detenuto l’iter e ciò che sta accedendo: la perquisizione solo alla presenza di agenti educati in ambito psicologico, che non siano bruschi nei modi con il detenuto e che cerchino di metterlo a suo agio, pur ottemperando alle modalità di legge. Occorre anche far capire a cosa servono l’esclusione di prodotti di igiene intima, di orologi, di valori e di quanto altro non consentito dall’istituto penitenziario. Questo primo passaggio è fondamentale per l’impatto con il carcere.

PROGETTO UTOPIA
Non è una grata a darmi responsabilità

REPARTO: tinteggiature con colori adeguati al contesto giovanile, porte e finestre e suppellettili in legno

CAMERE: TV almeno 24 pollici, computer in ogni camera con tutti gli accessori, connessione wi-fi compresa palestra in reparto, aule per la formazione al lavoro: elettrotecnica, idraulica, falegnameria, imbiancatura, etc. Partecipazione a scuole di vari livelli e formazione, compresa l’iscrizione e la frequenza universitaria, anche fuori dell’Istituto penitenziario. Naturalmente le persone devono avere la possibilità di alternare lo studio con il lavoro, anche part-time.

Fondamentale, almeno due volte la settimana, integrare con colloqui con psicologo e con corsi di riflessione (il gruppo della Trasgressione). Presenza quotidiana in reparto dell’educatore. Favorire e incentivare l’incontro dei nuovi giunti con detenuti e/o ex detenuti che nel corso degli anni passati in carcere abbiano acquisito consapevolezza di ciò che è stato il loro vissuto e che sono pertanto pronti ad essere reinseriti nella società civile. Gli incontri fra ex detenuti e nuovi giunti responsabilizzano i primi e permettono ai giovani nuovi giunti di chiedersi con persone ai loro occhi credibili quale potrà essere il loro futuro, se andranno avanti lungo la strada intrapresa. Occorre insomma che i giovani abbiano delle guide, con le quali potersi nutrire e dalle quali imparare il senso di responsabilità.

COLLOQUI:  consentire che le persone detenute possano effettuare due volte la settimana colloqui con i familiari in ambiente idoneo all’incontro (adeguata privacy sia per la famiglia che per la coppia) e, nel caso di minori in famiglia, sarebbe opportuno che il colloquio avvenisse a casa, con l’accompagnamento di un volontario/figura di supporto, per almeno tre ore.

Infine va sottolineato che la gestione del reparto sia affidata a personale di polizia penitenziaria formata ed addestrata con un approccio differente a quello convenzionale di solo controllo.

I modi e le condizioni per recuperare la persona che ha sbagliato sono importanti così come è fondamentale la volontà di chi è ristretto in carcere a farsi rieducare.

Giovan Battista Della Chiave

Reparto LA CHIAMATA

 

Il barattolo

Quando ero piccolo ero un arrampicatore, un ometto che riusciva a scalare gli scomparti della vecchia credenza a casa di mia nonna al mare.

Proprio nell’ultimo scomparto si trovavano dei barattoli di diversi colori, che contenevano una infinità di cose: caramelle, biscotti, cioccolatini, spezie…

Di frequente, con la mia famiglia e alcuni cugini, ci recavamo in quella casa. Eravamo tanti in quelle occasioni, più di una ventina. Lì prevalevano le regole ferree di mio nonno, un omone in pensione che aveva l’hobby della pesca. Per lui più che una passione era un lavoro. Ogni mattino infatti andava in mare, calava le reti per poi la sera ritirarle, svuotarle e quindi ributtarle in acqua. In una sorta di moto perpetuo.

A turno, reclutava uno dei nipoti per farsi aiutare a remare.

Lì entrava in gioco un barattolo di colore bianco, sempre pieno di caramelle, che venivano elargite a noi ragazzi come ricompensa. Inoltre, ricordo che al mattino presto arrivava “Cicino”, un garzone di un forno della zona, con la sua bicicletta con un grande cesto pieno di brioche zuccherate ancora calde.

In quell’atmosfera vivace, rumorosa e piena di vita, ero sempre attento nell’osservare gli adulti e ascoltare le chiacchiere, i sussurri e le discussioni intorno a me. lo aspettavo circospetto il momento giusto per scalare la credenza e raggiungere con fatica il famoso contenitore con il tappo bianco.

La vita, in un susseguirsi di incontri e di bei momenti, trascorreva con le sue stagioni e si consumava velocemente. Ad un tratto mi sono scoperto uomo: volevo solo vivere, correre e liquidare in fretta le tante domande che mi nascevano.

Il tempo si era portato via alcuni pezzi importanti della mia famiglia e mi ero creato nuovi legami e nuove amicizie. Dopo essermi ritirato da scuola avevo iniziato a lavorare. Ero cambiato e quando mi recavo a casa dei nonni in me prevaleva il senso dell’opportunità: andavo per farmi dare qualcosa di concreto.

La credenza era sempre al solito posto ma non era più il barattolo bianco ad attirare la mia attenzione. Era un contenitore grigio dove i miei nonni erano soliti mettere delle banconote da mille o duemila lire. Aspettavo solo che mi facessero un cenno per allungare la mano, afferrarlo e prendere qualche soldo. Ormai ero abbastanza alto e per me era diventato semplice raggiungere il barattolo.

Non avevo più bisogno di scegliere tra i vari colori: per me aveva importanza solo il contenitore grigio.

Un giorno mio nonno morì in un incidente d’auto. Da allora, tornando in quella casa, mi resi conto che era cambiata la disposizione dei barattoli ed anche il loro contenuto. La vita stessa era cambiata. Per me a quel punto scegliere era diventato difficile.

Mi incuriosì un barattolo di colore rosso. Un barattolo cui non avevo mai prestato attenzione. Così allungai la mano per prenderlo, lo aprii e al suo interno vi trovai del sale.

Giovanni Battista Della Chiave

RaccontiMicro e Macro-scelte

Il paese delle coscienze

Giro per le viuzze del centro
Sento una grande confusione
poca luce
C’è un grande patrimonio intorno

Mi accorgo che lui
mi segue
Scelgo di girare l’angolo
per una via più luminosa
cerco di seminarlo
ma non ci riesco

Forse quella scelta è stata un’illusione
Giro e rigiro la coscienza

Cercandomi piccolo
ritrovo sempre un bambino
che conosceva il suo sguardo
i suoi occhi parlavano con i miei
capivo bene
quando dovevo stare zitto
quando piangere
e quando correre

Ma spesso mi mancava la forza per scappare
non perché fossi affaticato
io
in quei momenti
ero solo stanco

Giovan Battista Della Chiave

Poesie

Restituzioni

Mi chiamo Giovan Battista Della Chiave, faccio parte del Gruppo della Trasgressione.

Mercoledì 05/06/2019 al teatro della C. R. di Milano Opera, il Gruppo della Trasgressione si è riunito con i familiari dei detenuti. Si tratta di una sorta di festa che viene fatta una volta all’anno per dare la possibilità alle famiglie di capire cosa avviene all’interno del gruppo negli incontri settimanali.

Come al solito, ad aprire la giornata è stato il Dott. Angelo Aparo, psicologo e moderatore del gruppo. L’incontro in teatro è partito con la lettura di uno scritto che Vito Cosco (da circa nove anni in carcere e da quasi un anno componente del Gruppo della Trasgressione) aveva presentato alla nostra riunione del mercoledì la settimana prima dell’incontro con i familiari.

Mentre Vito leggeva il suo scritto pubblicamente, erano presenti anche i suoi familiari: la moglie, il figlio di tredici anni e la figlia di venti. Lo scritto è molto forte, Vito ha cercato di mettersi a nudo e lo ha fatto davanti ai suoi figli, uno dei quali, stando a quanto diceva la madre, non sapeva nulla circa il motivo per il quale il padre si trova in carcere.

Conclusa la lettura, il Dott. Aparo ha chiamato molti dei detenuti e anche i familiari a commentare lo scritto e a esprimere le proprie impressioni. Ne è nato un bel dibattito al quale tutti hanno partecipato con interesse. Subito dopo il dott. Aparo ha chiamato il figlio tredicenne di Vito, chiedendogli di leggere un commento di Elisabetta Cipolloni. Il ragazzo con difficoltà ha letto il commento, ma l’emozione era alle stelle, tanto che alla domanda che gli è stata fatta: “ma tu sei orgoglioso oggi di tuo padre?” è scoppiato a piangere. Un pianto, credo, liberatorio del piccolo che certamente sapeva, ma che finalmente aveva udito dalla voce del padre il motivo per il quale lui si trova in carcere.

Ecco, la giornata è stata piena di emozioni rare, emozioni che fanno crollare tutte le barriere che molti di noi si costruiscono, una giornata dove Vito si è confrontato con molte persone a lui estranee e dove anche altri detenuti si sono sforzati di entrare nei panni di Vito.

Ecco cosa avviene quando la persona detenuta, anche se in regime di ostatività, trova il coraggio, la capacità, gli strumenti per mettersi in gioco. Nel nostro caso, lo strumento è un gruppo che, come dice il dott. Aparo, ha come principale obiettivo l’evoluzione dell’uomo. Vito, come tanti altri che frequentano il gruppo, è riuscito a tirare fuori, o meglio, a riportare alla luce delle diapositive archiviate e segregate in una parte remota del suo e del nostro cervello. Con il lavoro di gruppo al servizio dell’introspezione dentro ognuno di noi si possono ottenere risultati significativi e restituire alla società persone migliori.

Ecco, credo che Vito, dopo tanti anni, stia cercando proprio questo: sta cercando qualcuno che lo ascolti; lui con il suo scritto non sta chiedendo la grazia, ma sta cercando di rianimare l’uomo che è in lui. È chiaro che per crescere non si può e non si deve dimenticare il passato.

L’immenso lavoro che svolgono alcune persone volontarie nel fare evolvere l’uomo non è altro che quello che dice l’art. 27 O.P. *, ma che purtroppo viene realizzato solo in pochissimi penitenziari italiani. Quindi credo che in quel giorno 05/06/2019 sia stato fatto un enorme passo avanti da parte di Vito e che sia stato restituito un padre a un figlio.

° Art.27
Attività culturali, ricreative e sportive
Negli istituti devono essere favorite e organizzate attività culturali, sportive e ricreative e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati, anche nel quadro del trattamento rieducativo. Una commissione composta dal direttore dell’istituto, dagli educatori e dagli assistenti sociali e dai rappresentanti dei detenuti e degli internati cura la organizzazione delle attività di cui al precedente comma, anche mantenendo contatti con il mondo esterno utili al reinserimento sociale.

Giovan Battista Della Chiave e Angelo Aparo


Giovan Battista Della Chiave

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