Noi non siamo nulla se non ricordiamo chi siamo stati

“Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi il mio dolore, i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io”. 

[Luigi Pirandello]

Scendere sottoterra è come morire, e io non sono ancora pronto.

Tuttavia all’improvviso inizia a piovere a dirotto e io, in questo tardo pomeriggio lavorativo a Tirana, ho solo due ore d’aria e di libertà. Quindi non mi rimane altra scelta, e mi avvio lungo i gradini di questa strana scala al contrario.

Che sia un bunker balza subito agli occhi. Avanzo lungo lo stretto corridoio e, in sottofondo, sento rumori di passi veloci e latrare di cani. Mi accompagneranno, da una serie di altoparlanti nascosti, fino all’uscita: è Arte, dice il cartello all’ingresso. E’ Memoria per le vittime del terrore comunista, capisco sempre più mentre percorro le varie stanze.

L’immagine degli occhi persi di Hatlije Tafai, morta dopo indicibili crudeltà. L’odore dei vestiti di lana, appesi alle pareti, dei prigionieri politici. Il suono della macchina da scrivere nella sala buia degli interrogatori. L’aria pesante che a tratti ti svuota i polmoni. …

Questa “esperienza di immedesimazione”, così forte per me quanto non programmata, mi rafforza nella idea che da lì a pochi giorni dovrà necessariamente diventare realtà.

Al carcere di Opera arriva “Lo strappo” e io – fino a quel momento – ero più che mai convinto che queste “Quattro chiacchiere sul crimine” dovessero necessariamente, in quel luogo così significativo, partire proprio dall’inizio. Per consentire a tutti i presenti di fare i conti con quella realtà inenarrabile.

Ma come riprodurre, appunto, una ferita mortale? Come rappresentare quel dramma che, all’improvviso, cambia le vite per sempre?

Convinto sì ma ancora dubbioso: il pericolo di una spettacolarizzazione del dolore e di una mancanza di rispetto per le vittime stesse mi sembrava sempre dietro l’angolo.

Eppure conobbi Manlio Milani il 20 Marzo 2010, a Milano…. arrivò alla Camera del Lavoro con alcuni files da caricare sul mio computer prima del suo intervento: alcune fotografie e l’audio originale dello scoppio della bomba in Piazza della Loggia, quella mattina del 28 maggio 1974 a Brescia. Rimasi colpito da questa sua intenzione e sollevato dal fatto che, per una serie di eventi, non ce ne fu poi l’occasione.

Solo anni dopo, avendo occasione di conversare a lungo con lui durante la registrazione della sua intervista per il nostro documentario, mi fu tutto più chiaro. Del resto le fotografie in bianco e nero dei minuti immediatamente successivi allo scoppio di quella bomba, come scrive Benedetta Tobagi e a differenza di quelle di altre stragi della storia del nostro Paese, “brulicano di persone. Gente che grida, corre, scappa, piange, resta impietrita. Manifestanti che soccorrono le vittime”. Immagini queste “simili soltanto alle incisioni di Goya o alla carne urlante delle crocifissioni di Bacon”.

Eccomi qui: mentre ripenso a tutte queste cose sono seduto  dietro ad un mixer accanto a Salvatore, detenuto al carcere di Opera con ergastolo. E’ con lui che sto prendendo accordi sempre più fitti, perché mancano 10 minuti e la sala del teatro è quasi tutta piena.

Lui – nel mio immaginario – dovrebbe essere l’esperto, anche di bilanciamenti di suoni e di accensioni di luci, ma alla fine la parte che avrei voluto evitare tocca proprio a me.

Schiacciare quel tasto.

Scorrono sullo schermo le frasi di bambini di 10 anni ma, nonostante questa speranza di un futuro migliore, tutto per me rimane difficile. Oggi come ieri.

Cosa si prova a far saltare per aria delle persone? In una piazza, o lungo la strada che costeggia Pizzolungo una mattina di 33 anni fa, o Capaci? Oppure in un teatro, che sia durante una rappresentazione come a Dubrovka oppure durante un concerto come al Bataclan?

Buio in sala.

Schiaccio, a fatica, quel tasto perché non c’è altro modo per far sentire a tutti quell’audio.

Sono 67 i secondi prima dello scoppio. Ripenso a mio figlio quando, raccontandogli di quelle persone che in carcere “stanno pensando agli errori che hanno fatto”, mi chiede: “papà, ma le persone in cielo sono contente che loro stanno pensando?”.

Non riesco a trovargli, ancora oggi, una risposta.

Ma poi ritorno a quella sera a Tirana quando, ringraziando all’uscita del ristorante lo chef Aldo per quelle superbe delicatezze di mare che aveva cucinato appositamente per noi, mi ero emozionato vedendo che aveva messo in vetrina – accanto ad un Dom Pérignon di una annata incredibile – una bottiglia di Hiso Telaray.

Dalla terra bagnata di sangue l’uomo saggio può provare a far crescere qualcosa.

Mi aggrappo a questo. Manca 1 secondo. Io sono pronto a fare questo passo verso il 21 marzo 2018, mettendomi le scarpe di Manlio Milani e di Margherita Asta.

Grazie a voi e a tutti gli altri Familiari che ho avuto il dono di conoscere in questi ultimi 8 anni: per aver illuminato drammi che non riuscivo a vedere ed amplificato voci che non riuscivo a sentire (come pure la tecnologia – ostile anche al carcere di Opera – ha teatralmente fatto capire a tutti…. Alex che inizialmente non vedeva la pagina del libro Sola con te in un futuro aprile, Chiara che inizialmente non riusciva a farsi sentire sul testo di Vittime per sempre).

Ma soprattutto per aver avuto la forza di lasciare che le scarpe di quel giorno non appartenessero più (soltanto) a voi, evitando che diventassero sempre più pesanti ed insostenibili, come cemento che fa annegare.

Le luci in sala si riaccendono.

A distanza di più di venti giorni ancora mi rimangono – di tutta questa serata intorno al fuoco – emozioni forti. E contrastanti, quantomeno nella mia pancia, come l’effetto di quelle letture iniziali (scritte da alcuni Familiari di vittime) riflesse nelle parole che tutti hanno sentito uscire sincere dalla bocca di chi ha ucciso.

Ma quel buio, ora, forse fa meno paura a tutti.

La luce di Caravaggio

Lettera di ringraziamento
Antonio Tango

Egregio presidente,
egregi soci del Rotary Club Milano,

sono Antonio Tango e volevo ringraziarvi per la donazione. Non vi nascondo l’imbarazzo e la gioia che ho provato quando Gianpietro Borasio mi ha comunicato di aver proposto il mio nome. Il mio imbarazzo è dovuto al fatto che non penso di meritarmi le vostre attenzioni, in quanto ora riconosco che io per primo ho alzato un muro verso l’altro. Fin da piccolo, non ho fatto altro che costruirmi pregiudizi e soprattutto considerare l’altro la causa di tutti i miei mali, del mio dolore. Così ho preso come punto di riferimento il mio rancore verso tutti.

Quasi 10 anni fa ebbi la fortuna di incrociare sul mio percorso il gruppo della trasgressione, condotta dal dottor Angelo Aparo. In tutta sincerità, all’inizio considerai il gruppo come un mezzo per uscire prima di galera. Mi ricordo come se fosse ieri… si parlava di micro-scelte e di scelte. C’era lo storico dell’arte, professor Zuffi, che con le sue lezioni su Caravaggio cercò di farci conoscere ed esplorare le nostre emozioni in risposta a un dipinto. In quel periodo nasceva anche il nostro Mito di Sisifo e tanti altri argomenti.

Ogni volta attorno al tavolo ci si confrontava senza barriere o muri. Studenti, detenuti, liberi cittadini e professionisti, tutti allo stesso livello. Lì ebbe inizio la mia rivoluzione interna. Imparai a conoscere l’altro, nei suoi difetti e nei suoi pregi, ma quello che realmente ha aperto la mia gabbia mentale è stata la disarmante naturalezza con cui gli studenti mostravano la loro fragilità. Con il loro aiuto cominciai a capire che, in realtà, per più di 40 anni sono stato un burattino in mano a un burattinaio che si chiamava rancore.

Comprenderete che, se oggi riconosco l’altro come mio alleato e non come mio nemico, il merito è del dottor Aparo e del gruppo della trasgressione di cui Giampietro è un membro storico. Devo soprattutto a loro il meraviglioso legame che sto costruendo con mio figlio Michael.

Oggi vivo la gioia del riconoscimento, del rafforzamento dei legami, perché so di aver ancora bisogno di costruire relazioni. Più relazioni costruisco con l’altro, maggiore sarà il numero di appigli per non cadere dal precipizio.

E non solo, creo sempre di più dentro di me quel senso di responsabilità che mi porterà ad essere un uomo adulto. E chissà, forse un giorno riuscirò a realizzare il mio sogno: diventare cittadino del mondo come mio figlio Michael; lui è già sulla strada.

Permettetemi di ringraziarvi ancora per la donazione. Non vi nascondo il mio reale bisogno ma, credetemi, il vostro dono più prezioso è di avermi riconosciuto delle potenzialità, cosa di cui mi ricorderò quando, in certi momenti di malessere, io per primo dubito delle mie capacità.

Gianpietro, non so se mai un giorno riuscirò a sdebitarmi. Tu, il dottor Aparo e il gruppo siete stati per me e siete la luce del quadro di Caravaggio,  siete i miei fari nell’indicarmi la rotta da seguire. E ora, grazie a te, altri fari si sono riuniti per aiutarmi nel mio nuovo cammino.

Colgo l’occasione per augurarvi di tutto cuore buone feste.

Antonio Tango

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“La storia siamo noi” (e 15 compleanni ben lo dimostrano)

L’esperienza con i boyscout è alle nostre spalle, ma sento che gran parte del suo valore lo ritroveremo e lo spenderemo nel tempo che abbiamo davanti

(Milano, 28.3.2003)

Questo pomeriggio dentro il carcere di Opera sentirò raccontare delle storie, ma una storia ne ha sempre un’altra che la contiene…

Pausa in cambusa – duellanti [2003]
Juri canta De Andrè [2003]
Incontro con Luigi Pagano [2003]
Rielaborazione [2003]
Stato di arresto [2003]
Nel nome del Padre [2004]
Cerchio scout [2004]
Juri, sempre immerso [2004]
Evasione [2006]
Staff al completo [2006]
Gloria Manzelli interroga su “vita, morte e miracoli di San Vittore” [2007]
Pulsanti scout [2007]
Antitesi e tesi [2008]
Accettazione qui! [2009]
Reato o non reato? [2009]
Uscita dal Tribunale [2009]
Pranzo domenicale [2009]
8 marzo [2009]
Restituzione al Gruppo della Trasgressione [2009]
Scontro tra Istituzioni [2009]
Le rappresentazioni della Giustizia a Palazzo di Giustizia [2010]
I simboli della Giustizia a Palazzo di Giustizia [2010]
Prove tecniche di trasmissione all’UEPE [2010]
Prove tecniche di ascolto all’UEPE [2010]
Sole fuori da San Vittore [2010]
Il dono del calzino [2011]
La persona offesa al centro [2011]
10 anni [2012]
E!STATE LIBERI [2012]
Trasgressione [2012]
Caccia al tesoro [2012]
Luci e voci [2012]
Noi chiediamo rispetto! [2012]
Cosa cuoce in pentola [2012]
Vittime per sempre [2012]
Bilancia [2012]
Uscita da San Vittore [2012]
Incontro con Maria Rosa Bartocci [2012]
Sito Internet [2012]
Imparare ad imparare [2012]
Vittime nella nostra città [2013]
CAPITOLO PRIMO

Per quanto mi riguarda, il “c’era una volta” parte dal febbraio del 2002 quando – per i misteri della vita – mi sono ritrovato ad accompagnare una scolaresca in visita alla redazione de “Il due” nel carcere di San Vittore. Ricordo ancora perfettamente 40 minuti fitti fitti a sentire parlare, tra le altre cose, di uno psicologo che aveva fondato un Gruppo detto addirittura “della Trasgressione” e ad un certo punto, seduto fino a quel momento in silenzio intorno al tavolo, una voce che soddisfa la mia curiosità: “il dott. Aparo sarei io”.

E’ capitato a molti di scambiare Juri per un detenuto, e così è capitato a me fino a quando l’ho sentito prendere la parola.

E non è stato amore a prima vista, si badi bene….. questo lo ricordo sempre perché a quell’incontro ne seguì un altro, nei mesi successivi in un bar vicino al carcere, che suggellò quello che in altre occasioni ho definito “un patto tra macellai”.

Nella mia incoscienza educativa proposi uno scambio di prigionieri: carne giovane di giovani scout in cerca d’autore vs. carne meno giovane ma ugualmente interessante. I primi prigionieri dei preconcetti tipici dei loro 19/20 anni, i secondi prigionieri di mura troppo strette. Entrambi però desiderosi di evasione, e – sia pure in quella prima fase inconsapevolmente – di mettersi a nudo fino al punto di farsi tagliare a piccoli pezzi da questa prospettiva di cambiamento interiore.

In questa trattativa la frase più “gentile” che Juri mi attribuì fù la seguente: “tu puzzi troppo di cristiano”. Falso… e comunque, nel corso degli anni, le parti si sono invertite anche su questo tema.

Nonostante queste premesse e la circostanza che poi superai anche il concorso per magistratura, l’idea (nostra, perché in fondo in fondo so per certo che lui non aspettava altro per il Gruppo) risultò vincente: partimmo nel marzo dell’anno dopo (2003) con il primo incontro in carcere, e da quel momento non abbiamo mai smesso.

Il nostro workshop scout sull’educazione alla legalità, dopo una prima esperienza nel 2001 completamente diversa ma ugualmente significativa, partiva proprio ponendo l’incontro con il Gruppo della Trasgressione al centro dei temi da affrontare insieme, anche grazie al prezioso supporto dell’Associazione Carcere Aperto di Monza, portata in dote a Milano da Silvia Consonni (compagna di clan prima e di studi universitari dopo, oggi Avvocato penalista) che in quei primi anni ebbe l’intuizione di utilizzare il tema carcere come “esca educativa”.

Il sabato pomeriggio, usciti dal carcere di San Vittore dopo quel primo incontro con il Gruppo, le emozioni di tutti i ragazzi partecipanti erano palpabili: passammo l’intera serata intorno a un grande cerchio, ciascuno raccontando di sé attraverso una canzone. Arrivò a sorpresa anche Juri con una chitarra, e cantò De Andrè (prove per i primi concerti della Trsg.band) per 4 volte di seguito (la capacità di sintesi del personaggio è nota). E io, ovviamente, De Gregori… ma, per me, bastava solo “La storia siamo noi”.

Nonostante questa ulteriore frattura (musicale), anno dopo anno, incontro dopo incontro, da Juri arrivò anche un complimento … meritato, perché rivolto (non certo a me ma) ai partecipanti dei primi quattro anni: “in carcere è entrato un fiume vitale, capace di moltiplicare le possibili combinazioni del desiderio di riconoscersi”.

Questo fiume vitale condusse, quale dono della moltiplicazione, all’approdo del Gruppo della Trasgressione in molti istituti scolastici. Ed impagabile fu per me il piacere di constatare che un gruppo di criminali riusciva ad incidere sull’indole di adolescenti, in 3 ore di “lezione” nelle classi, molto più di quanto gli insegnanti in un triennio.

Ma nonostante questa nuova forza (e, con essa, una sempre maggiore “dispersione positiva di energie”), con il Gruppo continuammo a progettare insieme nuove possibili combinazioni, financo a coinvolgere in questa esperienza di incontro – per ben due anni nel 2011 e 2013 – anche educatori scout provenienti da tutta Italia.

Fino ad allargare quel “desiderio di riconoscersi” alle vittime di reato

CAPITOLO SECONDO

Ma questa storia non avrebbe senso se non riconoscessi, anche qui, quello che mi sono portato a casa io.

Molte cose necessariamente dovranno rimanere, anche dopo 15 anni, ancora custodite in me: sono quelle storie (non mie) che alcuni ragazzi e ragazze hanno voluto affidarmi, adottandomi spesso come un fratello maggiore.

Altre le ho risistemate, in queste settimane, mettendole ad una ad una in fila in una bacheca elettronica e pescandole – per lo più – da alcuni miei appunti che poi hanno preso la forma di pensieri (spero) più strutturati ma soprattutto dai vecchi resoconti ancora online sulle pagine di trasgressione.net.

Di questi ultimi, alcune riflessioni finali dei partecipanti hanno avuto la forza di cambiare – insieme a me – anche il peso specifico del workshop stesso: penso, tra le tante, alle parole di Valeria e di Sofia… due visioni contrapposte che nel tempo hanno trovato una loro, oserei dire, mediazione.

Già… perché in tutto questo c’è anche un’altra data di questa storia: 30 giugno 2005. E’ proprio a quell’incontro sugli “obiettivi della punizione”, organizzato dal Gruppo della Trasgressione, che conobbi Walter Vannini e Guido Bertagna, entrambi amici di Juri.

Guido “incastrò” me l’anno dopo nell’organizzazione di una giornata con alcuni ragazzi sul tema delle vittime di reato, e io – che non sapevo poi come continuare da solo su questi temi ma che percepivo essere importanti (perché effettivamente “siamo più probabilmente vittime che probabilmente criminali”) – a mia volta “incastrai”, anche professionalmente, Walter.

A questo punto il passo verso il Centro per la giustizia riparativa e la mediazione del Comune di Milano è stato breve, fino a quella silenziosa lettura dei nomi delle vittime innocenti della mafia lo scorso 21 marzo all’interno del carcere di Opera.

E così, partendo da quella feconda idea di carcere come “esca educativa” per i ragazzi, siamo col tempo finalmente riusciti a regalare – in tre giorni dell’anno, tra febbraio ed aprile – occhiali per una visione prospettica su quello che succede quando viene commesso un reato: uno strappo nel tessuto sociale.

Uno strappo di cui, molto spesso, gli stessi ragazzi partecipanti sono stati vittime. E sono venuti al nostro workshop per iniziare ad afffontrare la fatica del ricucire, del rimettere insieme pezzi di carne. Anche se si sono ritrovati “dalla parte sbagliata”.

Non sempre però tutto è andato secondo le previsioni: ed anzi un incontro pubblico (durante il quale prese la parola anche un detenuto in permesso e in quel periodo ospite dell’Associazione Il Girasole) riuscì a mettere a dura prova le mie piccole capacità di uomo…. ma anche qui Juri è stato, come sempre, protettivo.

Protettivo nel senso di marcare sempre il campo di gioco per un confronto costruttivo…. ho recuperato gli appunti di quella domenica mattina e ho trovato anche la domanda di Juri a chi aveva appena concluso l’intervento: “se lei è un cristiano, come dice di essere, la vittima per definizione è suo parente… non le sembra quindi strano che lei non sappia come rivolgersi a quella persona che è morta, se non dirle che non si sente responsabile per quello che è successo? Perché è solo quando l’uomo cerca la sua responsabilità che diventa libero”.

Protettivo anche nei miei confronti, nel senso di togliere la parola ai detenuti quando tentavano di barattare l’immagine di me in carcere (cittadino come tutti gli altri, che si vuole porre delle domande di senso) con quella di una Autorità assente (che io non ho mai inteso, peraltro, difendere).

E poi ci sono stati anche gli spari in Tribunale a Milano, la mia Polizia Giudiziaria nei corridoi con le pistole di ordinanza in pugno e la mia amica Caterina, incinta e chiusa in una stanza insieme ad altre 40 persone. E la mia (seconda) fatica di passare oltre durante il workshop dell’anno successivo…

Ma tutti poi ci siamo rimessi in cammino, grazie a quella forza accumulata (come una piccola riserva interiore) durante gli anni precedenti, workshop dopo workshop.

CAPITOLO TERZO

Certo … fin dal 2003 parte essenziale in tutto questo camminare l’hanno fatta anche persone straordinarie come Luigi Pagano, Gloria Manzelli e Giacinto Siciliano che negli anni hanno voluto, anche loro, mettersi in gioco con noi.

Ad essi si aggiungono tutti coloro che, con spirito di servizio, hanno condiviso le fatiche organizzative e supportato/sopportato il tutto (sottoscritto compreso). Carlo Sbona in primis, che mi ha regalato il pallone per iniziare a giocare. Offrendomi così l’occasione concreta per rimettermi in cammino e senza del quale dunque – mi piace pensare anche oggi – io sarei rimasto vittima delle mie idee astratte (e, come tali, campate per aria).

Perché “una idea, un concetto, una idea fin che resta una idea è soltanto un’ astrazione”….  ed effettivamente, Gaber docet, siamo davvero riusciti a “mangiarci” questa idea, metabolizzandola e facendola camminare con le gambe di tutti i capi scout della staff organizzativa che, negli anni, hanno poi aggiunto idee su idee. Grazie anche a sensibilità diverse dovute a professioni diverse e a traiettorie esistenziali non pienamente sovrapponibili a quelle di un Pubblico Ministero e/o di un Avvocato penalista. E, tra queste idee, è pure fiorito Il Girasole che è diventata una realtà associativa all’avanguardia – a due passi dal carcere di San Vittore – anche nell’accogliere i familiari dei detenuti, familiari che scontano una analoga pena senza aver commesso il reato.

Ed, infine, parte ugualmente essenziale sono stati tutti quei professionisti che abbiamo scomodato, spesso al freddo ed in week end improponibili, per aiutare – con la loro presenza attiva durante tutte le varie fasi del workshop –  i ragazzi (ma, prima ancora, noi della staff). E tutti i Familiari che hanno voluto regalarci un pezzo della loro fatica nel rendere testimonianza ai loro cari uccisi.

Si capisce dunque che siamo oggi di fronte ad un “noi” molto numeroso, non più limitato a detenuti da una parte e ragazzi dall’altro.

In mezzo a questo “noi” ci sono (e ci sono sempre stato) anche io… e l’esercizio di rimettere tutto in ordine in quella bacheca, in uno con alcuni messaggi pervenuti per la festa di compleanno di domani, mi ha dato l’occasione di voltarmi per vedere limpidamente tutta la strada percorsa. E ho riscoperto il tesoro di questi 15 anni insieme, perché – altro tema ricorrente del coach Aparo e che ho riscritto sul mio taccuino di strada anche il 7 settembre scorso nel carcere di Opera con Marisa – “la riflessione è un lusso che non sempre l’essere umano si vuole concedere”.

Da buon macellaio che volevo essere, il primo che si è “fatto tagliare a pezzetti” da tutta questa storia sono stato io. Perché il Gruppo della Tragressione è stata una palestra vitale anche per il mio essere Pubblico Ministero, e di questo esercizio porto ancora con me il peso della maggior fatica nell’affrontare il mio ruolo istituzionale ogni giorno. Ma, come contrappeso, l’impagabile senso di una ritrovata profondità d’animo.

E allora grazie a tutti per questa storia, che finalmente posso qui raccontare anche ai miei due piccoli tesori in carne ed ossa, anche se stasera li ritroverò già addormentati al mio ritorno a casa.

THE END

And in the end/the love you take/is equal to/the love you make”…. Forse Juri, questo pomeriggio, mi ricorderà pubblicamente che anche questa strofa puzza di cristiano, ma è sempre un altro evergreen della mia colonna sonora. E poi su una cosa anche sir. Paul sbaglia: dall’esperienza del Gruppo della Trasgressione io ho ricevuto più di quanto possa essere riuscito a dare!

Grazie quindi anche a te, caro Angelo detto Juri per motivi ancora a me non del tutto chiari (al di là di quanto tu sei solito professare): nonostante le incommensurabili distanze nel nostro apparire e al netto di questo mio resoconto storico strampalato, tu sai quanto sia stato per me importante tutto questo nostro incontrarsi, “dentro e fuori” dal carcere.

E, last but not least, grazie a tutti noi per questo bel regalo di compleanno che ci siamo fatti, in tutti questi 15 anni.

Un viaggio nell’adolescenza

Roberto Cannavò

L’esperienza che sto vivendo con gli studenti del Pia Marta è una forma di rivisitazione della mia, anzi mi permetto di dire, della nostra adolescenza. A differenza dell’esperienze che abbiamo fatto fino a oggi presso le varie scuole di Milano e Provincia, dove i confronti con gli studenti sono stati quasi sempre stati introdotti da rappresentazioni teatrali (il mito di Sisifo e altro), al Pia Marta abbiamo seguito un altro percorso, interagendo direttamente con alcuni studenti di circa 18 anni, segnalati per la loro “vivacità” dallo stesso Istituto.

Il 27 febbraio abbiamo avuto il primo incontro, durante il quale vi è stata una reciproca esplorazione tra loro e noi. Il 6 marzo, per essere più incisivi e per creare un po’ d’intimità, ci siamo divisi in 2 gruppi. In quello di cui faccio parte, l’inizio è stato, da parte degli studenti, solo di ascolto: nessuno di loro aveva rotto il guscio. Quindi, Massimo, componente del Gruppo della Trasgressione, ha iniziato a parlare della sua adolescenza e di tutte le scelte sbagliate, sicuramente fatte anche per colpe non sue, che lo hanno portato su percorsi devianti. Accanto a me era seduta una studentessa che aveva prodotto uno scritto, ma che, forse per mancanza di autostima, come in seguito mi confidò, non voleva fosse letto. Alla fine, tuttavia, siamo riusciti nell’intento di condividerlo.

Intanto che Massimo continuava a raccontarsi, cercavo di spiare nel modo più discreto possibile le emozioni di ogni singolo, compresi i miei compagni di gruppo. L’attenzione è stata altissima e mi ha fatto da apripista per raccontarmi un po’. Lo stesso hanno fatto altri miei compagni. Poi, durante una piccola pausa, ognuno di noi si è relazionato, a livello individuale, con uno studente e quando abbiamo ripreso l’incontro, come per magia, si sono rotte le corazze, così che abbiamo raccolto da ogni studente un pezzo della sua vita.

Ciò, secondo l’esperienza che sto facendo da anni con il gruppo, si è potuto realizzare (non avevo nessun dubbio in merito) in conseguenza del fatto che per primi ci siamo raccontati noi. I ragazzi prima si sono a tratti rispecchiati nelle stesse problematiche, poi è stato per loro quasi un dovere restituirci qualcosa del loro intimo.

Abbiamo creato così tanto feeling che il 20 marzo 2017, penultimo giorno dei nostri incontri con gli stessi studenti, abbiamo stabilito un patto: raccontare la nostra esperienza pubblicamente. Il “gioco”, se così lo possiamo definire, consisteva nell’essere protagonisti uno della storia dell’altro. Infatti, io ho raccontato, con il suo consenso, la storia di una ragazza e lei la mia. Lo stesso hanno fatto altri componenti del Gruppo della Trasgressione con altri studenti.

Sicuramente siamo all’inizio di un grande lavoro che condurrà i ragazzi e noi stessi verso la conquista di quei valori insiti in ognuno di noi, ma che sono stati abortiti nel corso del viaggio adolescenziale per ragioni che cercheremo di scoprire durante questo meraviglioso lavoro. Il tutto è così bello e promettente che auspico possa avere una continuità responsabilmente riconosciuta da parte delle Istituzioni.

I nostri obiettivi sono quelli di fare emergere le fragilità e le insicurezze che portano tante volte a rispondere con condotte devianti e con alleanze con cui si scivola gradualmente verso la perdita dei valori morali, l’autoreclusione e, nei casi estremi, il suicidio: strade che, purtroppo, abbiamo percorso in passato noi detenuti del Gruppo della Trasgressione e che, oggi, chi crede realmente nel recupero dell’uomo e della sua dignità ci aiuta a ripercorrere in senso inverso.

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Il ponte

Adriano Sannino

È bello oggi raccogliere i frutti di quello che il Gruppo della Trasgressione ha cominciato a seminare nelle carceri milanesi venti anni fa: un progresso continuo nel rapporto fra detenuti e istituzione, nella relazione con alcuni licei e università della provincia di Milano, nell’alleanza con la Croce Rossa Italiana, che ha permesso ad alcuni detenuti di fare prima il corso di primo soccorso e poi, insieme a comuni cittadini, di seguire il Corso di “Operatore Sociale Generico”.

Cercherò di illustrare quello che il gruppo sta facendo in quest’ultimo periodo e quello che ha dato a me e ai miei compagni. Faccio parte da circa 6 anni del Gruppo della Trasgressione, che mi ha permesso di conoscere e interagire con migliaia di ragazzi di diverse scuole medie inferiori e superiori, di età tra i 13 e i 20 anni. Ma debbo dire che la relazione che si è creata con l’Istituto Piamarta e con la Croce Rossa Italiana è qualcosa di rivoluzionario sia per noi che per la società! Se miglioriamo noi che abbiamo contaminato tutto quello che toccavamo e se migliorano i ragazzi che dovranno occuparsi con le loro mani del mondo di domani, di sicuro i nostri figli avranno un futuro migliore.

Non pensavo che una persona come me, che ha fatto parte di una organizzazione camorristica, potesse diventare, insieme a studenti e psicologi del Gruppo della Trasgressione, utile a dei ragazzi con diverse problematiche ed essere per loro un Peer Support (educatore).

Entrare nell’edificio del Piamarta e trovare in un’aula circa 12 ragazzi, tra i 15/20 anni, con storie complicate, che ti aspettano per interagire con te, mentre nelle altre aulne si continuava a fare lezione, è meraviglioso. Nel vedere quel quadro così bello, sono tornato al passato, quando avevo 12/13 anni e frequentavo la scuola. La cosa che mi ha stupito di più è che quando ha suonato la campana per la pausa, i ragazzi non sono usciti dall’aula fin quando non abbiamo concluso il discorso.

Le storie di questi ragazzi vanno dal rapporto difficile con i loro genitori e con i loro professori fino al fascino dei falsi miti, all’uso di sostanze stupefacenti e al comportamento del bullo che indossa delle maschere per mettersi in mostra.

I ragazzi in un primo momento si sentivano osservati e studiati, poi noi abbiamo rotto il ghiaccio con il nostro metodo, cioè un tavolo unico, dove ognuno racconta, chi in modo scherzoso, chi con serietà e coinvolgimento, parte della propria vita. In questo modo, gli studenti hanno cominciato senza difficoltà a fare domande e a raccontare di sé.

Da lì in poi è partita una vera e propria maratona di riflessioni e di rivelazioni di segreti nascosti. Ognuno, con i propri tempi, ha dato il proprio contributo. Ci sono storie come quella di “G”, ma anche di altri ragazzi, che a soli 17 anni ha già avuto una vita travagliata, in quanto usava sin da piccola sostanze stupefacenti e ora si trova, da circa 9 mesi, a svolgere i servizi sociali.

Riflettere su queste storie mi porta a dire che io, per questioni meno complicate di loro, mi sono venduto, prostituito a dei falsi miti. Con il senno di poi penso che, se all’epoca avessi avuto l’opportunità di incontrare il Gruppo della Trasgressione, probabilmente non avrei svenduto i miei valori. Avrei scoperto che le fragilità fanno parte di ogni essere umano e che non vanno tenute nascoste; inoltre avrei capito che rispettare i limiti è una vera e propria “trasgressione positiva”.

Dopo gli incontri ci siamo confrontati anche con alcuni professori ed educatori dell’Istituto, che ci hanno detto che sono rimasti colpiti dal fatto che i ragazzi si sono aperti con noi senza conflitto e hanno trovato il coraggio di aprire i loro forzieri e raccontarci cose intime della loro vita familiare e non solo. A mio avviso, si sono aperti con noi perché non ci hanno visto come un’Istituzione o un’autorità, bensì come loro alleati.

Continuerò a lavorare insieme al Gruppo della Trasgressione affinché i ragazzi delle diverse scuole che incontriamo possano cercare le risorse e la motivazione per vivere con dignità e per costruire qualcosa di bello, invece di chiudersi da soli in una gabbia, come abbiamo fatto noi in passato. Forse noi detenuti del Gruppo della Trasgressione possiamo essere il ponte che collega i ragazzi problematici con le Istituzioni.

Come dicevo, l’altro incontro straordinario che ha segnato la mia vita e che mi ha fatto scoprire la libertà, non solo fisica ma anche mentale, è quello con la Croce Rossa. L’attestato che abbiamo ottenuto con il corso di “Operatore Sociale Generico” e il tirocinio che stiamo per iniziare con la Croce Rossa permetteranno ad alcuni detenuti del gruppo di fornare le “unità di strada”, gruppi di assistenza con cui cercheremo di restituire, nel nostro piccolo, qualcosa di significativo alla società.

Nel passato, quando avevo scelto di essere una bestia, volevo che l’ambulanza non arrivasse sui luoghi dei miei crimini. Oggi l’alleanza tra il Gruppo della Trasgressione e alcune istituzioni (il Rotary, la Croce Rossa, l’Amministrazione penitenziaria) mi fa sentire parte integrante di quella società che lavora per salvare gli altri. Sono fiero, nel mio piccolo, di avere incontrato un’Istituzione che da un secolo e mezzo, si prodiga in tutto il mondo per sostenere chi ha bisogno di aiuto.

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Dal ring del Coming out

Caro dottore, ho visto che quello che avevo scritto non le è bastato. Me lo ha modificato, aggiungendo per abuso il suo pensiero astruso.

Comunque l’ho compreso, il mio cervello è sempre in uso. A volte sono un po’ chiuso, ma di sicuro non ottuso. Se la rima che ho prodotto non le piace, la cambi pure lei, che é così sagace.

Io non possiedo la stabilità mentale con cui andar da solo in mezzo al mare, ma ho una zattera che non affonda e che mi permette di cavalcare l’onda 😁

Tanti saluti dal Coming out
Gabriele

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Lorenzo alle colonne d’Ercole

Gabriele Tricomi e Angelo Aparo

Son partito per capire dei concetti
Così ho iniziato a costruire dei muretti
Ma il mio piano era ancora un po’ confuso
Presi la zappa in mano e cominciai a farne uso

Tre persone vennero prima a lavorare
E poi Lorenzo, con le mani a ciondolare
Ma quel ragazzo che pareva ‘sì distante
Fra tutti divenne il più costante

Cominciammo a parlare, persino a progettare
Piccoli sentieri e aiuole da innaffiare…
Ma senza una fonte d’acqua corrente
La fatica diventava deprimente…

Un giorno arrivo con due tronchi
Su un furgone francamente sgangherato
Aparo li guarda e vede Ulisse,
Sagace, indomito e di sapere assetato

Ricorda il mito greco e il confine su quel mare
Lo stretto che l’impavido volle superare

Quei tronchi non sono da buttare
Neanche sedili su cui stare a riposare
Sono le colonne che vogliamo innalzare
Per segnare il confine e chiederci ogni volta
Perché lo vogliamo oltrepassare

D’improvviso ci prende un desiderio
Di giocare a rintracciare la semenza
Con cui di fianco a Ulisse proveremo
Finalmente a cercare conoscenza

Lorenzo, che come me non voleva rinunciare,
riprende la zappa e mi dice “non mollare”.

E così lavoriamo fino a sera,
quando ci allontaniamo dal terreno
con la speranza che domani sia sereno.

Adesso oltre il confine c’è un sentiero
Che puoi seguire da solo o in compagnia
Di un vecchio amico o dell’ultimo straniero

Te ne puoi persino allontanare
Se non dimentichi la voglia di legare
Quello che c’è al di qua e al di là del mare

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  • Abbozzi d'aiuola

Il mio bagaglio alle colonne d’Ercole

Buon giorno a tutti. Ho varcato la soglia delle colonne d’Ercole, già con l’idea di tornare con il mio bagaglio da esibire: ho visto Caino, l’ho visto rubare, gridare, deridere, uccidere. L”ho visto cantare, ballare, correre in riva al mare. L’ho visto in volto serio, compiaciuto, stolto. L’ho visto sfinito, perso, mesto. Ho visto un tuono, ho visto l’uomo.

Ieri mattina cosi per caso ho scritto “buon giorno a tutti”. È stato come gettare un masso nello stagno, le onde subito si sono propagate. In questo luogo ci sono esseri viventi, ma solo alcuni hanno risposto, i più solerti e molto attenti. Stanotte non ho dormito, questo è ciò che ho partorito. Ho pensato di ripetere l’esperimento, facendo a tutti un dono, l”aggiunta di un commento.

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