“Quando senti alla televisione o ti capita di leggere sul giornale che una persona ha ucciso qualcuno come reagisci?”
… “Mi chiedo il perché, provo paura e rabbia” rispondono alcuni studenti.
Inizia così, la nostra mattinata al liceo artistico di Brera.
Quando andiamo nelle scuole l’obiettivo del Gruppo della Trasgressione consiste nel riportare esperienze devianti vissute da persone che oggi si impegnano e sono lì per raccontarle. L’obiettivo è proprio quello di lasciare un segno per contrastare il rischio che i ragazzi ripetano gli stessi errori dei detenuti. Credo proprio che ciò sia arrivato; gli studenti, con gli occhi fissi su chi parlava, lo hanno dimostrato.
… “Ma tu, saresti mai capace di commettere reati e di uccidere? E secondo te come e perché una persona può arrivare a commettere crimini fino al punto di uccidere? Cosa gli scatta nella testa?”
Ho qui citato alcuni quesiti posti nel corso della mattinata. Il primo è stato posto in particolare ai giovani, i quali sostengono che ciò sarebbe possibile nel caso in cui si dovesse crescere in un contesto di degrado, senza una figura genitoriale credibile e rispettabile e, di conseguenza, privi di strumenti per potersi difendere.
Rabbia mischiata a fragilità, dolore, arroganza e voglia di sentirsi potenti.
Il potere affascina, ne ottieni un po’, ne vuoi di più e non ti sazi mai. Un po’ come i tossicodipendenti cercano la dose; in quel momento non ti interessa guardare in faccia nessuno ed è lì che l’arroganza prende il sopravvento. Così lo descrivono i detenuti.
La maggior parte di coloro che si sono raccontati hanno affrontato questa fase di delirio di onnipotenza nell’adolescenza, quando è loro mancata una figura solida, credibile, rispettabile, insomma una guida che li mettesse sulla giusta via, e che non per forza deve essere un genitore.
Il potere ti dà rispetto, quello che magari fino a quel momento non hai mai avuto, e tutto ciò per un adolescente inizia a diventare la sua realtà. Una realtà in cui cominci ad avere un ruolo, ad essere qualcuno, ma che pian piano ti distrugge. Non avere un ruolo nella vita ti disorienta. Ti domandi quale sia il tuo scopo, ma nel frattempo sei privo di difese che ti possano proteggere e sei facilmente manipolabile da coloro che vogliono approfittare di te.
Tu non hai i mezzi per andare contro corrente, e il fatto che qualcuno comincia a darti un posto, a farti sentire importante e bravo nelle cose che fai, per te diventa un obiettivo allettante, seducente: “… amavo il potere più dei soldi. Non pagavo da nessuna parte perché le persone, sapendo quello che facevo, avevano paura di me”.
Alcuni si chiedono se sia effettivamente possibile un viaggio di ritorno da Marte sulla terra, altri ancora sono conviti che ciò non sia possibile menzionando il famoso detto “il lupo perde il pelo, ma non il vizio”. Ad oggi so per certo che ciò è possibile. Bisogna sicuramente affrontare un lungo e faticoso viaggio, ma d’altronde solo con la fatica e l’impegno si ottengono risultati.
Non si nasce delinquenti, lo si diventa, ma come lo si diventa, così si può smettere di esserlo.
“Come hai raccontato il motivo per cui sei in carcere ai tuoi figli?”
Dalle risposte piene di dolore dei detenuti ed ex detenuti è stato possibile distinguere due diversi tipi di reazioni, ossia da una parte un figlio che non ha capito gli errori del padre, non ha preso le distanze dai suoi comportamenti e, anzi, ne è orgoglioso, emula il suo comportamento e usa il nome del padre per vantarsi ed essere rispettato nel suo paese; dall’altra parte sono invece emersi degli atteggiamenti di presa di distanza dalle azioni devianti del padre e dal padre stesso.Emerge qui la vera importanza del ruolo di un padre nell’educare il proprio figlio, in quanto è inevitabile che i figli prendano esempio dai genitori.
Dai racconti mi è stato possibile percepire anche quella forza e quell’amore di una donna nell’aspettare il proprio uomo anche se condannato all’ergastolo; la sensibilità e l’intelligenza di una donna nell’andare oltre ciò che il suo uomo era ed amarlo per ciò che è oggi; l’innocenza di un bambino di dodici anni che apprezza suo nonno e riesce a sentire la sua anima pentita; la felicità di un uomo di cinquant’anni che prova ad essere per la prima volta un “padre” e che si sente al sicuro nelle braccia di una bambina di cinque anni…
… ma anche l’anima distrutta di un uomo che oggi non ha più la possibilità di dimostrare al proprio figlio che oggi guarda il mondo con altri occhi.
“Ho ucciso il bambino che era in me”
Questa frase detta da un detenuto mi ha particolarmente colpito. Ma io credo che il bambino che è in lui non è mai stato ucciso, ma è sempre stato soffocato, privato di parola, così come la sua coscienza, che non veniva ascoltata.
Ad oggi vedo degli uomini che si raccontano, a cui è stata strappata l’infanzia, l’adolescenza, la vita, ma hanno gli stessi occhi dei bambini, il primo giorno di scuola, felici di imparare a leggere e a scrivere, così come loro stanno imparato a vivere.
Grazie dell’immensa opportunità,
Ilaria Pinto