Gabriele Tricomi
Avrei avuto tante cose da dire rispetto alla considerazione degli altri, specie per il fatto che degli altri faccio parte anch’io. Avrei anche voluto esprimere il disagio, l’imbarazzo che mi prende quando mi accorgo di quanto mi sono trasformato per merito del gruppo. A volte mi sento persino oppresso per averne fatto parte.
Ricordo che una volta un componente del gruppo aveva raccontato del matrimonio fra il figlio di un omicida e la figlia della vittima. Ricordo la sua ostinazione nel considerare quel matrimonio inaccettabile. Questo episodio, nonostante mi avvicini molto a quello che sono stato, mi fa anche riflettere su chi sono diventato. E così, tra richiami del passato e gioie nel vivere il presente, supero il senso di oppressione che mi affiora quando penso a cosa è stato per me il gruppo della trasgressione.
Sotto un mio murales nei corridoi del reparto nuovi giunti del carcere di opera (e credo sia ancora lì) ho citato un verso di Dante: “aver compagno al duol scema la pena.”
Oggi non posso distogliere i miei pensieri da ciò che vivo… e non so nemmeno spiegare Il mio passato. Finirei nel buco nero delle responsabilità e continuerei a dare colpe qua e là. Il mio passato mi parla, vive ancora dentro di me con il tormento, lui conosce e sente ancora il dolore delle ferite che l’essere distaccato dalla realtà ha provocato. Con il presente va cercando un accordo per una pacifica convivenza.
La coscienza no! Lei vive ai margini del mio presente, non sono ancora riuscito ad acquietarla. Ovviamente, non rinuncio a dialogare con lei, troverò forza e coraggio per trarne ulteriore guadagno. Voglio che la coscienza entri a far parte della mia vita imperfetta. Sicuramente ho ancora strada da fare prima di riuscire a trovare altri responsabili delle mie storie maledette. Nessuno però, almeno per adesso, potrà distogliermi dalla strada con l’altro.