Raul Montanari – Intervista sulla creatività
Raul Montanari è scrittore e docente di scrittura creativa. Spiega ai suoi allievi le tecniche applicate dagli scrittori. Si dedica allo studio teorico della creatività espressa attraverso la prosa narrativa e la sceneggiatura cinematografica. Con altri della sua generazione, ha attirato nel campo della narrativa un pubblico giovane che leggeva fumetti con un linguaggio molto avanzato e che era interessato ad espressioni anche estreme della narrativa. Si è espresso nel genere Noir, che si occupa del conflitto tra bene e male. Nel 1991 ha pubblicato il suo primo romanzo “Il buio divora la strada” portando il Noir all’attenzione dei grandi editori.
Gloria: Cos’è per te la creatività?
Raul Montanari: Ogni atto espressivo è creativo in sé. La scrittura creativa adopera una serie di stratagemmi perché è una creatività sottomessa a leggi molto precise volta a ottenere il massimo dell’efficacia per il lettore. Lo scopo? Che i sentimenti e i pensieri che l’autore vuole trasmettere diventino risonanti anche per il lettore, diventino pubblici, possano quindi avere un significato per gli altri. La creatività è una disposizione dello stare nel mondo molto diffusa. La creatività disciplinata, per potersi rivolgersi a un vero pubblico, comporta delle regole e difficoltà.
Arianna: Quali sono i principali ingredienti del processo creativo?
Raul Montanari: La creatività si esprime in vari ambiti. Nell’ambito della narrativa e dei formati espressivi del cinema e del fumetto ci sono due condizioni a monte dell’idea creativa e che appartengono alla persona creativa: uscire dalla propria vita ed incontrare la vita degli altri, perché la nostra vita non dà materiale sufficiente per scrivere un romanzo. Qui risiede anche la differenza tra prosa e poesia: poeti illustrissimi passano tutta la vita parlando solo di sé stessi, ma siccome nella poesia l’accento è messo sull’arte della parola, l’aspetto di apertura del mondo esterno può essere quasi superfluo. Invece, quando si scrive in prosa è impossibile scrivere solo attingendo alla propria vita; infatti, chi scrive vive, oltre alla sua vita, tutte le vite dei personaggi, e per poter moltiplicare i punti di vista occorre curiosità per la vita degli altri.
Per scrivere una buona prosa occorre attingere a tre magazzini: quello della propria vita, quello della vita degli altri che raccontano le proprie esperienze (e l’atto di ascoltare le storie degli altri è un’esperienza soggettiva) e infine quello comprendente tutto il resto (i libri che si leggono, i film che si vedono…).
Per fare un esempio, nel 2006 ho pubblicato un romanzo dal titolo “L’esistenza di Dio” il cui personaggio principale volevo fosse un ex detenuto, uscito dal carcere per presunto uxoricidio. Volevo che avesse una fobia e così ho esaminato le fobie che potessero andare bene per un personaggio del genere e ho pensato alla claustrofobia, la più temibile per un recluso. Nel primo magazzino sulla mia vita non trovavo niente su questa fobia, quindi ho esaminato il secondo magazzino e ci ho trovato mia madre, che mi ha parlato dei suoi problemi con la claustrofobia; nel terzo magazzino, attraverso ricerche, ho scoperto nuove curiosità su questo genere di paura.
Il secondo ingrediente a monte della creatività nella scrittura è il fascino per l’espressione di parola scritta che nasce leggendo: alle spalle di un grande scrittore infatti c’è sempre un grande lettore.
Gloria: Cosa avvia, come si sviluppa la tua creatività e in quali condizioni?
Raul Montanari: L’idea non ho mai capito da dove viene; sono sempre state usate metafore per descrivere lo scaturire del processo creativo, come ad esempio la metafora del Big Bang, ovvero qualcosa a cui nessuno ha assistito ma delle cui conseguenze noi tutti facciamo parte: non vedi nascere l’idea ma te la ritrovi lì.
L’idea può venire dalla vita o dalla narrativa. Ad esempio, nel mio ultimo romanzo, l’idea è nata da una ragazza che esiste realmente e che si è presentata alla mia porta per vendermi un giornale; da questo episodio ho cominciato a chiedermi cosa potesse causare una simile epifania nella vita di un uomo solo; di solito ragiono per contrasti: cosa ci può essere di più contrastante tra una giovane ragazza raffigurante il massimo della socialità vendendo giornali alle porte delle case, e un uomo che si è chiuso a riccio nella sua solitudine?
Arianna: Che conseguenze ha sulle tue emozioni e sul tuo stato d’animo la produzione creativa?
Raul Montanari: Io mentre scrivo sto male. Il mio procedimento creativo è diviso in tre momenti: preparazione di circa un mese (scaletta cronologica, ricerche sui luoghi e su tutti gli aspetti coinvolti nella storia, creazione dei personaggi, scaletta dei capitoli), prima stesura in circa un altro mese, ed infine correzioni e aggiustamenti.
Il vero momento creativo è la prima stesura, il mettere sulle pagine delle parole che prima non esistevano. Questo atto di creazione lo reputo estremamente doloroso perché provoca una immensa astrazione dal mondo reale e lo stare dentro al mondo immaginario è alienante, corri anche il rischio di contaminare il mondo ideale col mondo reale e viceversa.
Diventi un vampiro della vita perché succhi energie alla vita per metterle nelle pagine del tuo romanzo.
Una volta concluso il romanzo sento delle dinamiche bellissime di rispecchiamento, mi rivedo nelle mie pagine. Ma anche il mancato rispecchiamento provoca un piacere narcisistico: anche se si racconta un episodio, una paura, un sogno che appartengono ad un’altra persona, lo si fa con le proprie parole.
Gloria: Che incidenza ha l’atto creativo sulla percezione di te stesso e sulla percezione dell’autore in generale?
Raul Montanari: La dimensione dell’autore ha conservato un prestigio enorme nonostante la scrittura sia antichissima, ormai, e nonostante il rapporto con il destinatario abbia degli spazi sempre più ristretti perché le persone hanno sempre meno tempo per leggere. Rimane questo fascino perché si sente che questa forma di creatività che passa attraverso la parola ha un carattere esplosivo.
Arianna: Nel rapporto con gli altri il tuo atto creativo cosa determina?
Raul Montanari: Per quanto riguarda le persone che entrano come personaggi nelle pagine, emerge l’aspetto vampiresco di cui parlavo prima: le persone sono spesso deluse da come vengono rappresentate in una narrazione. D’altronde, come scrittore tu non devi solamente obbedire alle leggi della vita ma anche alle leggi della narrazione: se ti serve che un personaggio sia stronzo e che metta in difficoltà il protagonista, devi fargli fare queste cose, è la storia stessa che ti detta le regole. Quando scrivi, oltre ad incontrare la vita degli altri, incontri anche una logica interna della storia che stai scrivendo e questa logica ti costringe a fare delle scelte, che spesso lasciano insoddisfatta la persona che si ritrova dentro il racconto.
Per quanto riguarda il rapporto con gli altri più in generale, io credo che la narrativa predisponga ad un’elevata capacità empatica. Una delle cose più difficili da fare quando si scrive una storia è per esempio tratteggiare il ruolo dell’antagonista, personaggio fondamentale perché la narrazione nasce sempre da un conflitto. Se si volesse fare una sintesi della narrativa, infatti, si potrebbe dire: un personaggio vuole far qualcosa ma fatica a farlo perché qualcuno si mette in mezzo. Per quanto riguarda l’ostacolo, vi possono essere tre tipi: l’antagonista, l’ambiente o un conflitto interiore. Tuttavia, nella maggioranza dei casi i diversi tipi di ostacoli vengono personificati in un antagonista: per esempio, si potrebbe dire che, se abbiamo un protagonista detenuto, il carcere è il suo ostacolo ambientale perché pone dei limiti fisici alla sua libertà. Tuttavia, è più facile identificare l’antagonista in una guardia sadica e cattiva, in questo caso l’ambiente diventa una persona.
Gloria: Quanto è importante l’apprezzamento degli altri per il prodotto creativo?
Raul Montanari: Varia molto, sia in base all’obiettivo dell’autore sia in base al tipo di espressione che ha scelto. Io conosco persone che producono atti creativi, i quali, ai loro occhi, hanno valore creativo in sé. Queste persone sono capaci di mettersi in una relazione con il loro prodotto creativo che non è mediata dal riconoscimento degli altri. Questo vale molto di più per la scrittura poetica, mentre la scrittura in prosa ha bisogno di un pubblico. A livello puramente economico, pubblicare un romanzo con una casa editrice ha dei costi e se tu/il tuo libro non piace, l’editore non guadagna nulla e tu ti estingui come narratore. Non ti pubblicano più! Per un romanziere quindi il pubblico è necessario. Ho conosciuto persone che avevano un rapporto molto intimo con il prodotto della loro creazione tanto da essere contenti così. Il riconoscimento altrui è un valore aggiuntivo di cui chiunque è felice. Sostanzialmente nessuno scrive solo per sé stesso, sostenere questo è solo un atteggiamento difensivo, paura del giudizio.
Arianna: Chi sono i principali fruitori del rapporto creativo e come ne traggono giovamento?
Raul Montanari: Nel caso della lettura ci sono lettori di ogni tipo, di conseguenza è impossibile piacere a tutti. In particolar modo è impressionante come quello che tu scrivi possa suscitare reazioni diverse nelle varie persone e soprattutto reazioni diverse da quelle che tu autore ti aspetti. Ogni cosa che scriviamo è sottoposta al famoso gioco della teoria dell’informazione: seduti intorno a un tavolo, tu riferisci una frase all’orecchio di una persona, la quale, a sua volta, la ripete al suo vicino e così via, fino a tornare a te ed è una frase completamente diversa dall’originale. Nella scrittura affrontare il giudizio degli altri porta anche a scoprire come ogni persona vedrà la tua narrazione a modo suo e prenderà dalla narrazione ciò che è entrato in contatto, in modo abrasivo o sintonico, con lei.
Gloria: Quale immagine ti viene in mente che possa ben rappresentare l’atto creativo?
Raul Montanari: La prima cosa è la solitudine: l’atto creativo è un atto di raccoglimento. Sia la scrittura che la lettura sono atti di isolamento, attività che nascono come antisociali. Al contrario di altre attività creative come guardare un film, ascoltare una canzone oppure visitare una mostra, le quali possono essere svolte in gruppo, la scrittura prevede un rapporto uno a uno. Tutto ciò che avviene prima (ricerche, immedesimazione negli altri) e dopo (incontro con i lettori) sono invece attività sociali.
Arianna: Pensi che esista una relazione tra depressione e creatività?
Raul Montanari: Negli anni ’90 ho fatto molte traduzioni letterarie. Il primo libro che ho tradotto era un memoir sulla depressione scritto da William Styron. Il libro s’intitola “Un’oscurità trasparente” ed è la storia personale della depressione dell’autore. Questa storia racconta dello sprofondamento nella depressione e poi della rinascita attraverso due espressioni di tipo creativo: la scrittura e la musica. Da una parte, infatti, l’atto della scrittura implica apertura e fiducia, oltre ad aiutarti ad oggettivare certe tensioni e conflitti interiori rappresentandole su carta. L’oggettivazione permette di attribuire le tue sofferenze a qualcun altro e di conseguenza riesci ad avere una visuale diversa. La musica, d’altra parte, ha permesso all’autore di riconoscere l’entità della sua malattia e lo ha spinto alla ricerca di un percorso di salvezza. In particolar modo, l’ascolto di un brano musicale estremamente triste ha suggerito a Styron una distinzione tra tristezza e depressione. La tristezza è un sentimento nobile e necessario per l’uomo, al contrario la depressione è un aspetto autodistruttivo, da cui scappare.
Gloria: Quando un prodotto creativo è per te davvero concluso?
Raul Montanari: Secondo la teoria dell’opera aperta di Umberto Eco, l’atto creativo non è mai concluso. Manganelli diceva che pubblicare un libro è un modo per disfarsene, altrimenti vai avanti a correggerlo all’infinito. Il prodotto creativo può venire cristallizzato ad un certo punto, l’atto creativo al contrario è energia infinita. Nel mondo della scrittura abbondano metafore di tipo procreativo: è normale infatti paragonare il libro ad un bambino e comparare il lavoro di scrittura ad una gravidanza. Sono tutte metafore che indicano un apparentamento analogico tra la creatività universale e il tuo atto creativo personale.
Arianna: Pensi che la creatività possa avere una funzione sociale? Se sì, quale?
Raul Montanari: Sì, sotto ogni punto di vista. Tutte le funzioni dei prodotti creativi sono sociali; non ce n’è una che non sia sociale. Non siamo capaci di vivere senza “narrativizzare” il mondo: trasformiamo sempre il mondo in un racconto. Se guardiamo noi stessi e la memoria che abbiamo di noi stessi, possiamo notare in che modo vediamo la nostra vita: come fosse un romanzo, con i suoi personaggi, i suoi colpi di scena, i capitoli, le svolte, i cambiamenti di ruolo…
Dei nostri primi anni di vita, non abbiamo un ricordo così ben strutturato. Si potrebbe dire che viviamo i nostri primi anni con un atteggiamento più poetico che narrativo; abbiamo delle poesie, dei flash, delle piccole immagini che contengono un’emozione. Cominciamo ad organizzare narrativamente lo sguardo che abbiamo sulla nostra stessa vita intorno ai 9-10 anni. L’atteggiamento narrativo è antropologico, connaturato alla specie umana, che applica questo atteggiamento a tutta la realtà esterna. Perfino il complottismo è indizio della nostra tendenza a narrativizzare: abbiamo una tale ripugnanza a pensare che le cose possano accadere senza che ci sia dietro una trama, che ci attacchiamo anche alle spiegazioni più improbabili per costruirci una storia. Questo pensiero complottista è la versione a volte comica e a volte grottesca di una propensione narrativa.
Gloria: Pensi che la creatività sia un dono naturale e dunque un privilegio di pochi oppure una competenza accessibile a tutti che può essere allenata?
Raul Montanari: Penso che la creatività sia accessibile a tutti, altrimenti non avrei la scuola di scrittura creativa. Il talento esiste, ma l’atteggiamento creativo è universale. Ciò che fa davvero la differenza non è il talento, ma la determinazione, che è il vero carburante. La determinazione non va però confusa con la mitomania, che fa ottenere una soddisfazione parziale, temporanea, allucinatoria, ma spegne la volontà.
Arianna: Ritieni che la creatività possa avere un ruolo utile a scuola o nelle attività di recupero del condannato?
Raul Montanari: Sì, sicuramente. Innanzitutto, dal punto di vista psicologico, mette in moto dei meccanismi salutari come l’oggettivazione, il tentativo di entrare nei panni degli altri, che aiuta anche nell’organizzazione del proprio vissuto personale. Quando si rappresenta l’altro, naturalmente non in modo stereotipato in base alla sua funzione narrativa, ma come persona nella sua totalità, aiutiamo noi stessi a percepire il nostro vissuto, creando una nuova consapevolezza più salutare di quello che è il nostro ruolo nelle vite degli altri. Anche l’aspetto narcisistico non va trascurato: l’innalzamento dell’autostima che può seguire l’atto creativo può essere propedeutico a qualsiasi tipologia di recupero.
Intervista ed elaborazione di
Arianna Picco e Gloria Marchesi