L’esperienza al carcere di Opera e il confronto con i detenuti presenti mi consente di superare il pregiudizio nei loro confronti. Si tende infatti a considerare il carcerato come una figura cattiva, priva di umanità e da emarginare; in realtà ascoltando le loro vite e gli errori che hanno commesso e poi il cambiamento che stanno attuando (frutto di grande lavoro, confronto con personale qualificato e specializzato e presa di coscienza delle proprie responsabilità) ci si rende conto che sono persone “buone”.
Non è da tutti ed è ammirevole il fatto che si siano dati la possibilità di mettersi in discussione, di avere scavato nel loro profondo e di aver avuto la forza di affrontare quei demoni che prima li facevano sentire invincibili e intoccabili ma soprattutto di aver riscoperto i bei valori come il lavoro e la famiglia.
Mi ha fatto riflettere e quasi intenerire l’immagine del detenuto che si commuove quando parla della mamma e sapere che anni prima invece non aveva alcun rimorso o problema a uccidere o rapinare o spacciare conoscendo le conseguenze delle sue azioni e il male che avrebbe procurato.
Sulla questione della coscienza io ritengo che sia impossibile per un essere umano dotato di libero arbitrio, di un cuore e di emozioni non comprendere ciò che sta facendo; penso invece che in alcuni casi la paura di non essere accettato dal gruppo, la sete di potere, l’idea di sentirsi importante prevalgano e nascondano la coscienza a favore del raggiungimento di un obiettivo che in quel momento per loro era giusto.
Io mi chiedo come possiamo fare noi giovani e futuri giuristi a prevenire tali situazioni e comportamenti e far sì che tutti si sentano accettati e importanti in un mondo dove purtroppo dilaga il pregiudizio, la paura del diverso, del carcerato che viene legato al suo errore anche quando egli mostra d’essersi pentito e di avere avuto un cambiamento.
Martina Mugnaini