Nunzio Galeotta
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I palazzi e il mio castello
L’arroganza è un tema che in questo ultimo periodo si sta trattando al gruppo e che mi porta a fare una ricerca su di me e i miei trascorsi. Io per primo penso di aver esagerato, anche perché un tempo non davo alla parola lo stesso significato che le do oggi. Infatti l’attribuivo a un personaggio arrogante, scorbutico, maleducato e fastidioso, senza accorgermi che nella descrizione rientravo anche io.
Quando ero giovane, a fine anni 80, mentre nell’hinterland milanese crescevano i palazzi, a Corsico-Buccinasco arrivavano famiglie nuove. Noi ragazzi di strada -dico così perché purtroppo io l’educazione l’ho appresa lì- facevamo capire a tutti che eravamo noi a comandare, con le buone o con le cattive maniere.
Quando ero piccolo mi domandavo perché gli altri avevano le cose e io no. Qualsiasi cosa, materiale o no, quando la volevo, dovevo averla punto e basta. Ditemi se non era questa arroganza! Durante l’adolescenza mi sentivo maturo e forte, in un modo sbagliato dico oggi, tanto che andavo in giro con persone molto più grandi di me. A 15 anni già avevo un’auto mia e, facendo il furbo, mi vestivo con gli abiti di mio padre per apparire più grande ed evitare i posti di blocco.
Gli anni passavano e la mia arroganza cresceva: avevo acquistato “rispetto” dagli altri, mi sentivo superiore e potente su tutti e questo era ciò che volevo. Oggi la vedo con altri occhiali, un tempo era pura ignoranza: parete dopo parete, mi ero costruito un castello, non sapendo che stavo tirando su la stanza dove sto chiuso da 20 anni.
Viste le mie esperienze negative passate e la consapevolezza di adesso, oggi cerco di non trascurare più nulla, apro le orecchie e ascolto gli altri e soprattutto me stesso, ho un nuovo modo di vedere la realtà e cerco di usare gli strumenti che un tempo avevo lasciato sotto la polvere.
Ho deciso di scrivere del mio passato perché penso che molte fasi della mia vita rispecchiano i temi che trattiamo al gruppo, qui in carcere e agli. incontri con i ragazzi delle scuole. Ad ogni modo, sono convinto che un briciolo di arroganza noi tutti l’abbiamo, ma sta a noi come utilizzarla. Ad esempio il proprietario di una ditta potrebbe usare la sua arroganza e il suo potere con i suoi dipendenti: ognuno ha il suo tasto o bottone di arroganza, se vuole lo preme, altrimenti no; anche qua in carcere può succedere e qui mi fermo.
Potrei andare avanti con tanti altri paragoni, però quello che mi dà fastidio è vedere tanti ragazzi insoddisfatti della vita, rovinarsi per niente, molti dei quali inconsapevoli di quello cui vanno incontro, proprio come la maggior parte di noi qua.
Tornando a parlare di me e della mia vita, anche io ho cominciato con il bullismo, cosa comune tra i ragazzi di oggi. Dopo un po’ il bullismo non basta più perché diventa la normalità e allora si passa a combinare cose più grandi che non ci si rende conto. E secondo te, uno da giovane si ferma a pensare? Macché!
Ogni giorno ne fai una più grossa. Ma oggi questo posso paragonarlo a un castello fatto di sabbia che con una semplice onda viene spazzato via, e così arrivi qua dove sto io, messo di fronte alle scelte sbagliate che sono state prese nella vita.
Se scrivi “carcere” e sposti due vocali, la parola diventa “cercare”, ed è proprio questo che sto facendo da qualche anno a questa parte, anche con l’aiuto del gruppo: cerco cosa mi ha spinto dentro questa cruda realtà che vivo ogni giorno. Oggi me ne rendo conto: un’adolescenza molto burrascosa, senza dare valore a quello che avevo davanti, tutto era normalità, dove sono cresciuto era così, l’arroganza regnava, la strada era quella, ho preso il vicolo sbagliato e si vede, e purtroppo tutt’oggi è ancora così per altri ragazzi.
Posso provare rammarico per il passato ma non per il mio presente. Se penso ai valori che ho acquisito durante questi anni, mi riprometto di non provocare dolore a chi mi è vicino, compresi voi membri del gruppo.
Ciao a tutti,
Nunzio Galeotta
I Violini del mare contro l’indifferenza
Concerto Trsg.Band – 18/11/2023
Teatro della casa di reclusione di Milano-Opera
Come un’onda che risveglia le coscienze
Dal carcere di Milano-Opera e poi in giro per l’Italia, una serie di concerti che partono dalle parole di Don Luigi Ciotti (l’indifferenza nei confronti del male lo alimenta) e che, attraverso le canzoni di Fabrizio De André e gli interventi dei detenuti del Gruppo della Trasgressione, danno voce alla fragilità negata e all’importanza di riconoscerla come tratto che accomuna tutti gli uomini.
Le canzoni di Fabrizio De André vengono eseguite con gli arrangiamenti della Trsg.band e con alcuni degli strumenti ad arco che la liuteria de La Casa dello Spirito e delle Arti ha ricavato dal legno dei barconi dei migranti.
Ingresso gratuito; prenotazione obbligatoria entro il 10/11/2023.
Per prenotarsi, inviare fotocopia del proprio documento di identità a coord.liberamilano@gmail.com e ad associazione@trasgressione.net
I minorenni possono entrare solo se accompagnati da uno dei genitori o autorizzati con una dichiarazione firmata da uno dei due.
Presentarsi all’ingresso del carcere di Opera alle 18:45. Per sveltire le operazioni di ingresso è meglio non avere con sé cellulari e oggetti elettronici.
Nei giorni immediatamente precedenti il concerto verrà pubblicata su questa stessa pagina la lista delle persone autorizzate.
- La sedia di Lillà, Angelo Aparo
- 01/11/2023, Così proviamo a prevenire i reati, Viviana Daloisio,
- 13/10/2023, Noi tra il rogo e la danza, Francesco Cajani
- 27/06/2023, Caro Don Luigi, Vito Cosco
- 02/06/2023, Il progetto sui violini del mare, Gruppo della Trasgressione
- 13/02/2023, Una sfacciata irritante fragilità, Antonio Tango
- 16/11/2020, Fragilità e cooperativa, Adriano Sannino
- 01/07/2019, Un progetto su Vito Cosco, Valentina Marasco
- 23/06/2019, Una vicenda terribile e un’attività impegnativa, Angelo Aparo
- 29/04/2017, Vulnerabilità e fragilità, Ivan Puppo
Un suono diverso da prima
Anche oggi sono qui ad aprirmi con il Gruppo perché mi sembra giusto farvi sapere cosa penso. Il Dott. Aparo e Paolo mercoledì scorso dicevano di vedere molto cambiato nel Gruppo un ragazzo “ristretto” da 20 anni e che ora ne ha circa 50: non voglio sembrare presuntuoso ma mi sento chiamato in causa e mi rivedo molto in quella persona.
Io penso di avere oggi pensieri liberi per cercare di migliorarmi, per trasformarmi e riprendere la mia vita. Le mie generalità sono le stesse ma ho una mentalità diversa da quando ero entrato.
Arrivati ad una certa età, tutti possono fermarsi a ragionare. Guardandosi attorno si vede cosa si è seminato in passato, poi con il crescere, sempre se si vuole, si deve anche riconoscere, con consapevolezza, i propri errori ed anche l’indifferenza che si aveva verso prossimo.
Trovando gli strumenti e le guide giuste, facendo sedute su argomenti del Gruppo, con la mentalità che sta cambiando, essendo meno impulsivo e più riflessivo, ora mi diverto a fare più collegamenti su tutto, e a dire la mia al momento giusto.
Penso che ogni persona abbia da imparare. Uno come me non ha mai ascoltato e voluto consigli da nessuno, ed ecco gli esiti devastanti per me e per la società nello stesso tempo. Ora per far sì che questo non si ripeta ho deciso di migliorare, anche grazie al vostro contributo che mi sta facendo capire i valori veri di ogni persona.
Purtroppo il passato non lo può cancellare nessuno, ma io sto imparando a conoscermi meglio, valutando tutta la mia vita, e cercando di capire anche come ho potuto bruciarmi tutti questi anni. Ci sono voluti anni per arrivare fino a qua con questa testa, però vedete, ora aprirmi con voi mi viene più semplice anche perché non ho più nulla da nascondere.
So che con un impegno e sforzo maggiore posso dare di più, anche per evitare parte dei conflitti che spesso vivo durante i convegni e agli incontri del mercoledì e che però ora sono alleviati e sono più genuini: ora so cosa voglio dalla mia vita. Io con la mia storia sto cercando una possibilità per costruire un futuro diverso avendo ora consapevolezza di quello che ho vissuto.
Non è facile trasformare quello che ho vissuto e passato, ma grazie al Gruppo e agli stimoli che mi ha dato sono arrivato anche a ragionare su questo anche perché ho delle conferme interiori. Oggi penso che un bambino che ha vissuto l’infanzia come quella che ho avuto io avrebbe bisogno di essere seguito perché alla fine dei conti uno non ha il destino segnato a priori, ma se non lo si assiste, certe esperienze hanno un effetto negativo sul suo futuro.
Da qui ora posso dire come è nata la mia indifferenza mentre seminavo male e nello stesso tempo alimentavo altro male. Tutto deve avere un limite, cerco di accettarmi con tutti i pregi e difetti come tutti. Oggi mi nutro di natura e relazioni umane come questa.
La vita vera non offre facili risposte o rimedi immediati, ora cerco nel mio piccolo di essere utile quando è possibile, di dare qualche consiglio a qualche ragazzo tipo Paolo (della scuola di Brugherio).
Pensando alle barche parcheggiate qua fuori, anche noi siamo stati parcheggiati qua all’interno e ci sono momenti che mi sento un pezzo di legno delle barche. Spero anche che con un buon lavoro fatto su di me, anche io potrò essere uno dei nuovi violini, con un suono e una musica diversi da quello che sentivo prima.
Nunzio Galeotta
L’infinito senza stelle – Percorsi della devianza
I violini del mare contro l’indifferenza
La mia Aurora
E chi l’avrebbe mai detto, io che commento un dipinto di un artista!
Partecipando e guardando le diapositive con il dott. Zuffi, il quadro dove ci siamo più soffermati è “La vocazione di San Matteo” che si trova a Roma, presso la chiesa San Luigi dei Francesi.
Quello che risalta è l’illuminazione, con le luci, le ombre, le facce dei vari personaggi, da Gesù a San Matteo, ai fanciulli.
Accosto il dipinto alla mia vita attuale e anche io in questo periodo rivedo mia madre che mi chiama, oltre a mia moglie e mia figlia. E penso anch’io di essere stato illuminato. Mi spronano e cercano di farmi capire, come hanno sempre fatto, che ero su una strada sbagliata, mi rimarcavano sempre le mie malefatte. Bene o male, mi posso paragonare al personaggio di San Matteo: anche lui non è che era tanto un buon esempio, fare l’esattore e arricchirsi a spese del popolo!
Nelle mie riflessioni interiori, spesso mi capita di parlare tra me e me del passato; e mia mamma, anche adesso che non c’è più, mi ricorda ancora che facevo male agli altri, a chi mi sta vicino, ma anche a me stesso. Ho buttato via più della metà della vita per ora vissuta.
Pensando all’artista, ho fatto delle ricerche ed ho appreso che anche lui non è che sia stato un modello di persona, penso anche perché in tenera età ha perso il padre. Un punto di riferimento è fondamentale, specialmente in fase di crescita.
Poi, detto tra noi, ha anche avuto le sue avventure carcerarie a causa del suo carattere collerico. Fortuna sua che la natura l’ha dotato della capacità di dipingere, anche se molti quadri sono stati rimandati al mittente perché, da quanto ho capito, offendevano il ceto superiore.
Ha però avuto un’altra fortuna: il Cardinale del Monte ha sfruttato le sue qualità per suo tornaconto, ma lo ha anche protetto. Accostando questa sua vita a quello che capita al Gruppo, possiamo anche noi immaginarci nella stanza delle riunioni del Gruppo, dove c’è quella luce che arriva dalla finestra e noi che guardiamo il dottor Aparo che marca e ci rimarca sugli errori commessi in passato, stimolandoci con i suoi metodi apareschi, per farci apprendere i veri valori della vita.
In più il dipinto, più lo guardi, e più puoi avere altre interpretazioni, come lo sguardo su ogni faccia dei vari personaggi. Io mi posso immedesimare in ognuno di loro, tranne nel ruolo di Gesù Cristo. Ora interiormente mi sento più riflessivo, accetto volentieri consigli, in più mi piace molto ascoltare e scoprire cose nuove, come ora.
Scusatemi se torno indietro di qualche settimana, attorno a me sento fiducia, perché sto notando anche che sono più padrone di me stesso e in più certi miei pensieri corrispondono e camminano paralleli ai miei progetti.
Ringrazio tutti i componenti del Gruppo, quando parlo con voi sento segnali di affetto, non come quelli di mia moglie Cinzia e di Aurora, ma quasi.
Concludo, ringraziando il dottor Aparo per aver accolto la parte migliore di me e Aurora, che è mia figlia e che è la luce della chiamata, questa volta non di Caravaggio ma di Nunzio Galeotta.
Nunzio Galeotta
Il bambino che non sono mai stato
Buongiorno a tutti, sono Nunzio. Ultimamente al gruppo si è parlato molto del contesto sociale dal quale proviene una persona e delle scelte di “vita”. Ripenso alla mia adolescenza deviante e, in fondo, non vissuta: collegio, carcere minorile e a San Vittore a 20 anni. Ripenso a quello che mi ha portato in collegio, a quello che poi ha permesso alla mia rabbia di prevalere su quella che poteva essere un’infanzia più tranquilla. Ricordo che, in comune con quasi tutti i bambini del collegio, avevo i genitori separati e trascorrevo i weekend uno con mamma e uno con papà, alternandoli. Nelle volte in cui toccava al secondo, tante volte quel weekend si trasformava in paura, orrore, attese varie e alla fine pure in realtà: mio padre non ci veniva mai a prendere, stavamo lì alla finestra a vedere gli altri che andavano a casa… E stai lì a distrarre il mio fratellino e consolarlo.
Quando andavo con mamma a casa sua, c’era sempre suo fratello, che ai tempi era un delinquente affermato, uno dei capi della zona di Giambellino. Con la sua presenza e il suo “affetto”, riusciva a mettere in ombra l’assenza di mio padre, mi sentivo sicuro: il suo essere presente anche economicamente mi portava a pensare, sognare che anch’io un domani avrei potuto prendermi cura di mamma e del mio fratellino.
Qualche anno dopo feci la mia prima esperienza al Beccaria (carcere minorile) per furto con altri cinque ragazzi. Arrivati lì, neanche il tempo di entrare che le guardie mi fecero sapere che mio zio Michele aveva detto di stare tranquillo, che tra pochi giorni sarei tornato a casa e che lui era molto orgoglioso di me. Oltre al messaggio, mi depositò un milione di lire sul libretto, per poter aiutare qualcuno che era in difficoltà: una cosa normale per uno come lui, entusiasmante per me. Penso, anzi oggi ne sono certo, che il carcere minorile sia la scuola di delinquenza più grande in assoluto, quella che forma un vero delinquente. La cosa che mi colpì di più in tutto questo, che mi rese orgoglioso di me stesso, fu la considerazione che quel falso “mito” aveva da parte di tutti: sempre più spesso dove andavo mi sentivo dire non che ero il figlio di Giovanni, ma il nipote di Michele.
Questa è stata la costruzione del “mito” di me stesso. Inutile raccontare quanto la mia vita criminale sia stata sempre a crescere, tant’è che oggi sono un ergastolano. Non do minimamente colpa a mamma o papà o alla compagnia; mamma lavorava dalla mattina alla sera per non farci mancare nulla, papà aveva una piccola impresa artigianale e mi ha sempre voluto al suo fianco (solo al lavoro) però io avevo “scelto” altro e tutt’ora ne pago le conseguenze. Però, come dice il Dottor Aparo, col tempo trovi quello che coltivi nell’orto. Oggi, l’importante è che uno, dalle sofferenze che ha creato e sta patendo, trovi il modo per costruire un presente meno cupo, come le tante mattine che mi alzo, girando e camminando, ammazzando il tempo per anni, non giorni, senza meta.
Oggi quando sento dire che il contesto sociale è il “motivo” di devianza, mi fa un po’ rabbia, anche se, a guardarla così, il contesto dove sono cresciuto sarebbe per me un’attenuante per i reati che ho commesso. Penso che il contesto sociale possa favorire la devianza, tenendo però presente che la scintilla è dentro di noi. Sicuramente oggi ho la consapevolezza di riconoscerla nella rabbia accumulata da bambino, assieme alla delusione di un padre assente che potevo solo immaginare, mentre aspettavo alla finestra tra la rabbia e le lacrime che rendevano buia anche una giornata di sole.
Mercoledì, come altre volte, il Dottor Aparo ha notato che sembra che io non partecipi agli incontri. Le chiedo scusa, questa non è una mia scelta, ma la voglia di capire, di imparare, di riflettere e di guardarmi più in profondità. Come vede non lascio tutto al tavolo: lo porto con me, in me, in quello spazio vuoto che è il carcere, per riflessioni come queste. Scrivere è un modo certamente più facile per me, che non nascondo di essere un po’ timido, ma sono più concreto con carta e penna, perché mi aiuta anche ad ascoltare me stesso come non avevo mai fatto prima: fragile, debole, ma anche tanto curioso di scoprire e di scoprirmi curioso come quel bambino che non sono mai stato.
Nunzio Galeotta