Perdonare per definizione non è cosa semplice. Tanto che, a ben guardare, il nostro concetto di perdono affonda le sue radici in complesse dinamiche religiose. Secondo la teologia cattolica rappresenta ciò che Dio concede al peccatore dopo che egli, sinceramente pentito, ha confessato le sue colpe. L’atto di perdonare consiste in un movimento che un Altro compie nei confronti di un primo soggetto che si riconosce colpevole. Difatti, anche nel linguaggio comune si è soliti dare questa accezione a tale concetto. “Mi perdonerai mai?” o “Io non riesco a perdonarmi” sono solo alcune delle espressioni che mettono in luce la dinamica di cui sopra. E, di certo, vogliamo sperare che prima o poi il perdono arrivi per tutti. Ma affinché questo possa avvenire è necessario che prima si sviluppino alcuni requisiti fondamentali: ascolto, dialogo e coscienza dell’Altro.
Nonostante questa dinamica bilaterale, il perdono non può però essere inteso solo come un’azione che un Altro compie nei nostri confronti, ma anche come gesto individuale da effettuare verso noi stessi. Il Gruppo della Trasgressione, per quanto ho potuto osservare, si configura come una concreta opportunità volta al raggiungimento di entrambi gli obiettivi: perdono dell’altro e perdono di sé. L’associazione si serve infatti di tutti gli strumenti positivi propri di un gruppo utili a liberare il nostro spirito dal peso che lo opprime.
Talvolta, oltre alla prigionia fisica, si può rimanere incastrati in una gabbia ben più soffocante e limitante, una gabbia costruita con perseveranza e alimentata da conferme fallaci. E infatti noi uomini siamo esseri alla costante ricerca di stabilità, non solo nel modo di rappresentare il mondo, ma soprattutto nel modo di vedere noi stessi. Per questo solo attraverso il confronto e la conoscenza dell’Altro diviene possibile concepire un modo diverso di pensare e interpretare la quotidianità. Questo è ciò che il gruppo fa.
“È stato l’incontro e il confronto con le studentesse a permettermi di iniziare il mio cambiamento interiore”
La potenza del gruppo risiede nella capacità di mettere in dialogo realtà differenti, di vedere attraverso gli occhi di qualcun altro e di vedere l’Altro. A tal proposito, mi hanno colpito le parole pronunciate da un ex detenuto: “queste persone mi hanno guardato con occhi diversi, hanno visto in me un uomo oltre il criminale”.
Appare centrale nel suo discorso il tema del riconoscimento, il quale passa, prima di tutto, dagli occhi degli altri. Un passaggio necessario per riuscire a scindere, all’interno della persona, azioni ed essenza. Non può avvenire perdono se prima non c’è coscienza, consapevolezza e comprensione. Perdonarsi, forse, significa proprio questo: rompere gli schemi preesistenti e imparare a vedersi in modo più comprensivo. È fondamentale, per sviluppare una narrazione di sé nuova e meno giudicante, riconoscere la propria storia, i propri bisogni più intimi e le proprie fragilità. Perché perdonarsi non significa giustificarsi o deresponsabilizzarsi, e questo i membri del gruppo lo sanno; perdonarsi significa, essenzialmente, darsi una seconda opportunità.
E dopotutto, anche perdonare gli altri non equivale forse a offrire una seconda possibilità? Infatti, non esiste cosa più generativa che costruire le fondamenta di una nuova vita. Il Gruppo della Trasgressione fa anche questo, permettendo a vittime e carnefici di comunicare e di abbattere l’enorme muro del silenzio, del rancore e del dolore.
Per me il gruppo è stato questo. Un confronto che mi ha insegnato, un pochino di più, a perdonare e a perdonarsi.
Sofia Castelletti
Nota: L’immagine è un particolare da “La primavera” di Sandro Botticelli